Quando internet non esisteva

Un giorno, Claudio Saunt, professore di storia americana della University of Georgia, fece una curiosa scoperta: i meme virali sono vecchi di secoli. “Oggi sappiamo che la struttura dei social network influisce sui movimenti dell’informazione, ma i contenuti circolavano viralmente già nel Settecento e nell’Ottocento, quando i nodi e le reti erano più facili da modellare e capire”, ha spiegato Saunt al Washington Post. Partiamo, come si conviene, dal principio: il professore è co-ideatore insieme all’università che rappresenta e alla Georgia Tech di un sito interattivo, Us News Map, che studia la storia della viralità prima dell’arrivo del web.
Consultando l’archivio dei giornali digitalizzati (le copie disponibili si riferiscono al periodo di tempo compreso fra il 1836 e il 1924) alla Biblioteca del Congresso americano e trasferendo le pagine su una mappa, gli utenti possono vedere non solo "perché" ma anche "quando" e "dove" si evolvevano in passato le storie giornalistiche. Se si passa un po’ di tempo sulla mappa si potrà notare come gli scambi fra i giornali funzionassero più o meno come le moderne piattaforme social. Del resto, prima dell’invenzione del telegrafo, con questi scambi i giornali locali riuscivano a raccogliere le notizie: i direttori delle diverse testate si spedivano copie dei loro giornali a vicenda, formando una rete di quotidiani di dimensioni diverse con posizioni politiche simili. Accadeva di frequente che i direttori copiassero alla lettera gli articoli pubblicati sui giornali dello stesso orientamento politico (come un retweet, ma nel 1847 circa). Lo scambio postale, in sostanza, equivaleva a seguire qualcuno su Twitter o diventare amici su Facebook, solo che il collegamento era fra istituzioni e non fra persone e i tempi erano naturalmente più dilatati.
News Map ha scovato inoltre almeno un caso di bufala virale: nel 1864 un autore anonimo distribuì a New York alcuni pamphlet con l’intenzione di favorire una maggiore diffusione di relazioni interrazziali e coniò il termine “miscegenation” (“mescolanza razziale”). La parola fu ripresa da un giornale vicino ai Democratici e poi comparve su altri quotidiani della stessa parte politica finché fu adottata anche da quelli filorepubblicani. Quando ormai il termine era apparso in decine di giornali negli Stati Uniti qualcuno si accorse che il manifesto originale era stato scritto da autori satirici per ridicolizzare i loro avversari politici. L’articolo del Washington Post conclude citando le osservazione dell’Economist (un'edizione del 2011) riguardo la viralità degli scritti di Martin Lutero nel XVI secolo: “Le società moderne hanno la tendenza a considerarsi in qualche misura migliori delle precedenti, e il progresso tecnologico rinforza questo senso di superiorità. Ma la storia ci insegna che non c’è niente di nuovo sotto il sole”. Un buon argomento da usare la prossima volta che qualcuno si lamenta dello stato dei social media.
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