Cronaca | Il caso

Una storia di dignità riconquistata

La Cassazione dà ragione a una lavoratrice disabile ingiustamente licenziata da un’azienda altoatesina. L’avvocata Martinelli: “Una sentenza che può tracciare un solco”.
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Giustizia
Foto: upi

Una “causa di principio, che parla di dignità del Lavoro” la definisce l’avvocata Arabella Martinelli, “e questa è una sentenza che, secondo noi, può fare giurisprudenza, tracciare un solco”. La sentenza in questione è quella della Cassazione che ha dato ragione alla Cgil/Agb per un ingiusto licenziamento durante il periodo di prova di una lavoratrice disabile, confermando anche il risarcimento economico del danno subito dalla lavoratrice stessa.


I fatti


La donna era stata assunta a tempo determinato (12 mesi), in un’azienda altoatesina operante nel settore della gomma plastica, mediante l’istituto del collocamento mirato. Tutte le aziende sopra i 15 dipendenti sono infatti obbligate ad assumere una quota di lavoratori disabili, e in tale ambito l’apposizione del patto di prova è legittima, come in qualunque contratto di lavoro.

Succede, nel caso di specie, che poco dopo l’inizio del rapporto di lavoro il datore di lavoro decida di risolverlo per mancato superamento del periodo di prova. Il licenziamento viene impugnato, nel 2017, dalla lavoratrice, assistita da Marzia Bonetto dell’Ufficio vertenze della Cgil/Agb, e dall’avvocato Karl Reiterer, in collaborazione con l’avvocata Arabella Martinelli.

Il nodo


Perché sia valido il patto di prova deve contenere l’indicazione specifica delle mansioni che vengono assegnate al lavoratore e sulle quali egli verrà esaminato, spiega l’avvocata. L’indicazione delle mansioni può avvenire anche “per relationem”, facendo cioè riferimento a quanto viene riportato nei contratti collettivi circa la mansione oggetto del rapporto di lavoro ma il richiamo dovrà essere sufficientemente specifico e fatto nella nozione più dettagliata.
Se l’indicazione della mansione è generica permane il rischio di delegittimazione del patto di prova. “In parole povere la funzione del patto di prova consiste nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, ovvero svolgere un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possano verificare la reciproca convenienza del contratto, ne consegue che per aversi affidamento in buona fede delle parti, la mansione oggetto della prova deve essere specifica” sottolinea l’avvocata Martinelli.

 

“In molti - prosegue - sono convinti che il licenziamento in prova non possa mai essere impugnato e invece non è così. Nel caso della nostra assistita, poi, i giudici di tutti i gradi di giudizio hanno ritenuto che sia nel contratto di assunzione sia nel contratto collettivo queste mansioni non fossero specifiche, dichiarando quindi nullo il patto di prova e per l’effetto riconoscendo illegittimo il licenziamento. Il datore di lavoro è stato dunque condannato al risarcimento del danno equiparato alle retribuzioni che la lavoratrice avrebbe maturato dal recesso fino alla scadenza del contratto”.

L’importanza di una sentenza


La Cassazione precisa, nella sua sentenza, un punto fondamentale, dice l’avvocata, ovvero che “il patto di prova merita di essere valutato con maggior rigore e attenzione qualora si tratti di un’assunzione di un lavoratore disabile, per cui la mansione deve essere compatibile con le proprie minorazioni e con le proprie capacità lavorative residue e, pertanto, a maggiore ragione la mansione deve essere specifica e nella nozione più dettagliata”.
La malattia - riflette l’avvocata - “non è una questione esclusivamente medica ma anche sociale (e la pandemia lo ha dimostrato), serve l’apporto di tutti. La recente sentenza della Cassazione va anche letta, benché non fosse né specifico oggetto né tema del presente caso trattato dai giudici, avendo come riferimento l’obiettivo di promuovere e garantire l’inclusione e l’accessibilità nel mondo del lavoro delle persone con disabilità, sulla scorta del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea, e in particolare della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità ratificata dall’Italia con la Legge 18 del 3 marzo 2009.
La pari dignità di tutti è uno degli assunti base dell’essere umani”.