Politica | Gli scenari scolastici del prossimo futuro

La scuola trilingue non è più un miraggio?

Da quando è iniziata la lunga campagna elettorale per le elezioni provinciali d'autunno molti esponenti dell'SVP hanno espresso notevoli aperture su un possibile sviluppo plurilingue della scuola altoatesina. Negli ultimi giorni a prendere la parola è stato l'assessore Christian Tommasini affermando senza mezzi termini che la prossima legislatura potrebbe dare il definitivo via alla scuola trilingue. Lo abbiamo intervistato per cercare di capire cosa c'è di vero e, soprattutto, quali sono in merito i nodi ancora da sciogliere.

In queste ultime settimane si parla molto di scuola trilingue. Che succede? Non è più solo un miraggio?
Abbiamo fatto passi da gigante. Siamo pronti. Abbiamo come obiettivo concreto la scuola trilingue ma anche una società plurilingue. 

Dal dire al fare però... Come la mettiamo con il vincolo posto dall’art. 19 dello statuto di autonomia e la necessaria riorganizzazione del sistema scolastico locale?
Di fatto nella scuola primaria abbiamo già le sezioni trilingui. Abbiamo potenziamenti con 9 ore di tedesco e tre ore aggiuntive di CLIL. Poi partiamo con 2 ore di inglese dalla prima, che in certi casi diventano anche 3. 

Nella prossima legislatura ci sarà la possibilità di effettuare il passaggio epocale dal “di fatto” ad un qualcosa di più ufficiale e definitivo?
Quello che facciamo è già ufficiale. Non siamo più nella fase della sperimentazione, ma in quella dei progetti curricolari. Nelle scuole dell’infanzia abbiamo l’approccio ludico alla seconda lingua e quindi il bilinguismo precoce. Lì proponiamo un’alleanza con i genitori, diciamo loro: noi mettiamo nel gioco la seconda lingua e voi a casa dedicate del tempo a trasmettere un atteggiamento positivo nei confronti delle lingue, magari guardando insieme ai bambini i cartoni animati nella seconda lingua. 
I potenziamenti che abbiamo alle scuole primarie vogliamo poi estenderli potenzialmente a tutti. Ma per farlo abbiamo problemi più organizzativi che politici. Occorrono insegnanti di inglese, ad esempio, ma non è facile trovarne. E poi dobbiamo trovare collegi docenti che siano favorevoli a questi cambiamenti.

La scuola stessa tira indietro?
La società spinge ma per convincere i collegi docenti abbiamo dovuto lavorare molto. In passato ci sono state spesso delle resistenze perché ad esempio naturalmente la decisione di spostare alcune ore dall’italiano all’inglese ha delle conseguenze dirette sugli organici. Alcuni collegi in passato si erano detti contrari, non tanto per i posti di lavoro ma perché se ad un insegnante gli dici che il prossimo anno avrà meno ore in una classe ed allora dovrà lavorare su più classi non è detto che sia favorevole.

Queste resistenze potranno essere superate?
Abbiamo cercato di spiegare che la scelta di sistema sulla scuola trilingue è una scelta che produce anche posti di lavoro perché se la nostra scuola viene considerata una scuola all’avanguardia la gente si iscrive più volentieri. 

C’è un altro problema: se si fanno più ore in tedesco ed inglese forse si perdono anche un po’ di competenze in italiano.
È vero. Ma valutati i pro e i contro la scelta di sistema sulla scuola trilingue è senz’altro vincente. È sinonimo di un Alto Adige che si apre. Non solo per trovare lavoro ma anche per sentirsi a casa in questa terra come elemento di propria identità proiettata in Europa. 

C’è poi il problema della formazione degli insegnanti.
La sfida sarà quella di lavorare con la Facoltà di Scienze della Formazione della LUB, che secondo me dovrà essere sempre meno suddivisa nei due comparti italiano e tedesco. Dovremo studiare tirocini formativi attivi (TFA) trilingui, perché la sfida non è solo quella di portare nella scuola primaria il sistema a tutti, ma anche di allargarlo alle medie e alle superiori. Per fare questo ci servono insegnanti in grado di insegnare, ad esempio, la biologia in inglese. 

La cosa difficile è infatti fare in modo che in quello specifico frangente non sia la biologia a risentirne. 
Sappiamo come fare. C’è una parte politica molto importante: nel patto di coalizione della prossima legislatura come PD metteremo come condizione sine qua non la praticabilità di un ulteriore sviluppo. L’ulteriore sviluppo va inteso in due sensi: investimento nella formazione dei docenti ma anche interpretazione sempre più morbida dell’art.19. Almeno nella scuola italiana questo processo non dovrà essere osteggiato. 

In assenza di un via libera definitivo, nelle scuole dove si è sperimentato spesso si è verificato un problema di distribuzione delle risorse umane. Da un anno all’altro nei medesimi istituti le sezioni bilingui hanno richiesto energie che in qualche misura sono venute a mancare ad altre sezioni, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione del personale docente di maggior “qualità”.
Il plurilinguismo deve essere per tutti. Ma è anche, lo ripeto, una questione organizzativa e sindacale. Dobbiamo fare i conti sulle graduatorie che sono impostate su base nazionale. La nostra iintenzione è quella di andare dal prossimo ministro dell’istruzione per fare in modo che i TFA realizzati a Bolzano, Trento ed Innsbruck vengano riconosciuti nei concorsi.