Ambiente | L'intervista

“Vi racconto il vino del futuro”

Dal successo dei lab unibz al Vinitaly al progetto sulla valorizzazione dei vini da vitigni resistenti. Il prof. Boselli: “Sulla tecnologia non bisogna essere monolitici”
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Emanuele Boselli
Foto: © Tiberio Sorvillo

Un’edizione del Vinitaly da incorniciare quella del 2023 per la Libera università di Bolzano che al più importante salone dedicato al vino e ai distillati per la prima volta ha partecipato con i suoi laboratori Food Tech al NOI Techpark insieme al Centro di Sperimentazione Laimburg. Occhi puntati - oltre che sulle ultime tendenze del settore e sull’uso e l’impatto delle tecnologie digitali nella filiera del vino - sulle ricerche in ambito enologico e le eccellenze espresse dal territorio altoatesino nonché sul corso di laurea in Scienze enogastronomiche di montagna sviluppato dall’unibz in collaborazione con lo chef tristellato Norbert Niederkofler e pensato per formare esperti di enogastronomia.

 

Prof. Boselli, un bilancio di questa prima esperienza come stand al Salone internazionale del Vino?

Avere uno stand nel padiglione dei servizi è stata senz’altro un’idea vincente. Per essere un ente che non si occupa di vendita del vino abbiamo avuto molti contatti, sia in termini di affluenza al nostro stand ma anche attraverso scambi con diverse aziende e con le quali potenzialmente innescare delle collaborazioni. Tra gli highlights, per fare qualche esempio, molto interessanti alcuni aspetti relativi al packaging - il vetro del resto è considerato l’elemento meno sostenibile della filiera del vino - oppure quelle aziende che propongono soluzioni “sartoriali” per ottenere vini totalmente o parzialmente dealcolati, un settore nuovo su cui peraltro è intervenuta di recente l’UE con il via libera alla produzione di vini sottoposti a un processo di dealcolazione totale.

La viticoltura di montagna che si pratica in Alto Adige può dare delle prospettive importanti alla produzione di vino più che in altre zone, perciò dobbiamo studiarla e migliorare la tecnologia esistente

C’è più curiosità o più diffidenza rispetto alle ultime innovazioni nel settore della tecnologia del vino?

Devo dire che c’è molta curiosità. Un gran numero di giovani studenti che non conosceva il Parco tecnologico di Bolzano ne è rimasto colpito e in più particolare interesse ha dimostrato per il corso di laurea dell’unibz in Scienze enogastronomiche di montagna che abbiamo avuto l’occasione di promuovere al Vinitaly. Proprio durante i giorni dell’evento si sono aggiunte diverse pre-iscrizioni.

Quali opportunità possono aprirsi per i ragazzi che scelgono di frequentare questo corso all’unibz?

Dunque, in Italia fra triennali e magistrali ci sono in tutto 17 corsi di laurea di gastronomia, quello di Bolzano è triennale e forma il gastronomo, ovvero una figura professionale con una preparazione multidisciplinare che non solo deve essere in grado di produrre specialità gastronomiche di elevata qualità sensoriale, ma deve anche possedere competenze umanistiche ed economiche. Il gastronomo è un tecnico che conosce il territorio e le sue specificità culturali, utilizza le relative materie prime - avendo peraltro un contatto diretto con i produttori - trasformandole in specialità gastronomiche, creando così una food experience per il consumatore finale. Il corso di laurea di Bolzano si caratterizza sostanzialmente per 3 fattori: c’è l’elemento vinicolo (che non tutti i corsi di gastronomia in Italia offrono); è trilingue e ha come oggetto la montagna, i suoi prodotti, la sostenibilità dell’economia montana e quindi lo sviluppo del territorio di montagna (non solo altoatesino); prevede la collaborazione con il team di Norbert Niederkofler la cui filosofia si basa sul principio da lui denominato “Cook the Mountain”, una cucina sostenibile di montagna. Il prossimo semestre lo chef tristellato terrà 30 ore di seminario, inoltre sono in programma 30 ore con ospiti tecnici del mondo del lavoro, cosicché i nostri studenti possano avere un contatto diretto con il futuro che li attende alla fine del ciclo formativo. Come noto il lavoro nel settore alberghiero è usurante, perciò avere in tasca un titolo di laurea può essere utile a questi ragazzi per potersi riqualificare.

Occorre far capire ai consumatori che bisogna approcciarsi ai vini Piwi con un’ottica diversa perché rappresentano il futuro, questa è la sfida

Tornando al Vinitaly che tipo di progetti avete presentato durante la manifestazione?

Cito ad esempio un progetto a tutto campo che coinvolge il nostro laboratorio, gli ingegneri della Logistica e la sociologia economica della Facoltà di Scienze della Formazione, sulla valorizzazione dei vini da varietà di uve resistenti, i cosiddetti Piwi. Questi vini non si conservano per lungo tempo in quanto le uve utilizzate non sono quelle maggiormente vocate alla produzione di vino, e si ottengono con incroci tra varietà di Vitis vinifera e Vitis di origine americana, asiatica ecc. Stiamo quindi studiando come migliorare la tecnologia, la qualità di tali vini e come allungarne la vita. Nello stesso tempo i miei colleghi ingegneri sono al lavoro sulla Life cycle assessment per valutare l’impronta ambientale di una riduzione dell’uso dei pesticidi che l’utilizzo di queste varietà di uve permette, mentre la professoressa Viganò della Facoltà di Scienze della Formazione si occupa di tutte le implicazioni sociali sia dal punto di vista della contrattualistica per i lavoratori sia da quello della preferenza dei consumatori verso i vini resistenti, ancora non molto conosciuti in Italia, eccezion fatta per l’Alto Adige e il Triveneto. Occorre far capire ai consumatori che bisogna approcciarsi ai vini Piwi con un’ottica diversa perché rappresentano il futuro, questa è la sfida. Ricordiamo anche che i Piwi sono stati ammessi nelle DOC e che si adattano all’idea del Green Deal europeo per la riduzione dell’uso dei pesticidi del 50% entro il 2030.
Siamo in contatto con i produttori dei Piwi e a fine novembre organizzeremo un convegno internazionale sul tema. In Alto Adige esiste una delle più grandi associazioni mondiali di produttori per la valorizzazione di questi vini. Aggiungo che pochi giorni fa abbiamo pubblicato sulla più importante rivista scientifica del settore Food Science una review, ovvero un articolo che passa in rassegna tutti gli studi precedenti sui vini da uve resistenti, così da avere una libreria di riferimento, preziosa soprattutto per chi fa ricerca. Abbiamo letto e raccolto tutti gli studi che parlano di vini Piwi, delle loro caratteristiche positive e negative e di come hanno fatto altre università o altri gruppi di ricerca o privati a migliorarne la qualità.

 

Al centro dell’evento immancabilmente il cambiamento climatico, essendo il principale responsabile delle difficoltà di oggi in vigna.

Assolutamente sì. Tra l’altro l’Alto Adige da questo punto di vista ha dei vantaggi rispetto ad altre zone del pianeta. La temperatura aumenta ma qui i vigneti si possono cominciare a impiantare ad altitudini maggiori, nella zona del Bordeaux per esempio questo non è possibile. E infatti la regione del vino francese più prestigioso aI mondo è in crisi. Alcuni colleghi di Bordeaux ci dicono che a causa del riscaldamento climatico il Merlot e il Cabernet probabilmente non sono più adatti a essere coltivati in quei territori e quindi stanno cercando nuove varietà di uve da sostituire o integrare a quelle tradizionali. La viticoltura di montagna che si pratica in Alto Adige può dare delle prospettive importanti alla produzione di vino più che in altre zone, perciò dobbiamo studiarla e migliorare la tecnologia esistente.

Non si può essere monolitici, bisogna sperimentare

Grazie all’uso della tecnologia si ottengono vini migliori o peggiori rispetto a quelli fatti seguendo i procedimenti tradizionali?

Dobbiamo sicuramente puntare a un miglioramento della qualità. Bisogna andare per gradi, cominciare a inserire nei vini tradizionali, anche se DOC, piccole quantità di questi mosti da uve resistenti e vedere piano piano come si comportano. Si tratta di uno studio a lungo termine, che non può certo esaurirsi in pochi mesi, è un processo appena iniziato che durerà anni. Vede, da un punto di vita dello sviluppo degli incroci, tali vini hanno cominciato a essere prodotti a fine ‘800 quando sorse il problema della fillossera, in seguito, quando la chimica di sintesi ha prevalso, si sono abbandonati questi studi sui vitigni resistenti, che oggi invece tornano in auge e sono stati recuperati al fine di perseguire l’obiettivo di diminuire l’utilizzo di pesticidi. Si mettono a punto varietà sempre nuove per accelerare il processo di miglioramento della qualità del vino. In sostanza: con la riduzione dell’uso dei pesticidi avremo più sicurezza per i consumatori, sul fronte della qualità sensoriale bisogna ancora lavorare.

Insomma la morale è: non chiudere gli occhi di fronte alla tecnologia.

Non si può essere monolitici, bisogna sperimentare. Non si può affermare che questi vini sostituiranno quelli tradizionali però va colta e sfruttata la possibilità di studiarli.