Società | Gastbeitrag

Nel mondo delle sex workers

Prostituzione, sfruttamento, violenza, ricatto, solitudine. La testimonianza diretta delle donne del progetto Alba dell’associazione La Strada-der Weg.
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Foto: upi

80 donne, vittime di tratta e di sfruttamento sessuale e/o lavorativo, hanno confidato agli operatori che le hanno accolte e accompagnate durante gli ultimi 15 anni del progetto Alba, curato dall’associazione La Strada-der Weg, le loro storie. Ecco alcuni stralci del loro racconto. Per motivi di privacy e sicurezza sono stati omessi, con gli asterischi, diversi dettagli.

 

La povertà

"Sono stata data da mia madre a una persona per cui lavoravo, in un ristorante, per cui non ho potuto andare a scuola. Poi mia madre si è ammalata, non poteva muoversi, e allora ho lasciato il lavoro per tornare dalla mamma che stava poco bene. Non c’erano soldi, non c’era niente, e qualcuno ha detto a mia mamma che c’erano delle persone che portavano le ragazze in viaggio. Le ho detto che ero disposta a andare, mia mamma non voleva lasciarmi, e ho insistito per avere la sua benedizione e andare […]. C’era un uomo che portava le ragazze, mia madre piangeva quando le ho detto che volevo andare e ha detto a quest’uomo che ero l’unica figlia che aiutava in casa e che quindi mi avrebbe fatto andare solo se fossi finita in un posto per bene, altrimenti avrebbe dovuto riportarmi indietro. E così sono partita…".

La prostituzione forzata

"La sera è arrivato un veicolo che ci ha portato via. Siamo arrivati in un posto che chiamano *****, lontano da dove venivo io. Ho sentito un sole che mi pungeva il corpo, come non lo avevo mai sentito a casa. Siamo rimasti lì sette mesi. In questi sette mesi ero io a occuparmi della casa, perché ero la più piccola. C’erano altre 6 donne con me. Avevo paura di uscire ma dovevo andare lo stesso, se non uscivo venivo picchiata. Poi un giorno è arrivata la Madame, parlava in inglese, e qualcuno mi ha spiegato che quella sera dovevo andare in un hotel a lavorare, a prostituirmi".

La violenza, lo sfruttamento sessuale, la schiavitù

"Il giorno dopo tutte facevamo le valige per partire, c’era un veicolo aperto e siamo salite, abbiamo attraversato il deserto… C’era solo sabbia. Il veicolo si è fermato per un guasto, siamo rimasti una settimana nel deserto, è finita l’acqua e il carburante e alcune persone che erano con me sono morte. All’arrivo nella città sono stata portata in una casa dove la signora ha detto che dovevo prostituirmi e mi ha picchiato. Dovevo anche restituire per la prima parte del viaggio 3500 dollari. Il viaggio in tutto è durato 8 mesi, durante i quali sono stata picchiata e mi hanno preso tutto quello che avevo. Sono stata poi venduta a una signora che ha chiesto 1200 (valuta locale). Vendeva qualcosa che si sniffa e alcool. Voleva che mi prostituissi altrimenti minacciavano di chiamare la polizia. Dopo una settimana è arrivato un cliente particolarmente violento che mi stuprava e picchiava, ma dopo un periodo è stato allontanato e ho conosciuto un uomo che mi avrebbe preso con sé e portato in Italia, se avessi accettato di sposarlo. Ho accettato […] quando siamo arrivati in Italia lui ha fatto amicizia e usciva, io stavo in casa. Poi ha iniziato a dirmi di uscire a fare soldi, a prostituirmi anche qui. Ho detto di no. Ha insistito che dovevo uscire e iniziare a frequentare un suo ospite. Io gli ho detto che dovevo essere sua moglie, non prostituirmi, al che lui mi ha ricordato il patto, mi ha gettato dell’acqua fredda addosso, ha detto che aveva pagato per portarmi qui e che io ora dovevo restituire i soldi. […] Lui ha detto che ha diritto su di me perché mi ha portata in questo paese. Un giorno ha deciso che dalla sera stessa sarei dovuta uscire a prostituirmi e basta, ed è tornato a casa con i preservativi".

Il debito/ricatto

"Fino al 2009 vivevo con mio marito e i nostri due figli, lavoravo come parrucchiera ma guadagnavo molto poco, troppo poco. Un giorno ho incontrato una mia conoscente che si chiama mama ***** e che mi ha parlato di lavoro e mi ha detto che potevo lavorare in Europa: sua sorella mi poteva aiutare a arrivare lì, ma non mi ha detto di che lavoro si trattava, solo che sua sorella avrebbe organizzato tutto. Per confermare l’accordo tra di noi ho accettato di fare un rito. Sono andata a casa del Native Doctor, dove c’era anche mama ***** e sua sorella. Mi hanno fatto mangiare il fegato di una gallina uccisa davanti a me e poi fatto bere del vino caldo. Mi è stato detto che non ero libera finché non pagavo il debito con mama *****, e non solo io ero legata a lei, ma anche la mia famiglia. Ho pagato il Native Doctor con 300 euro e 14 vestiti. Sono partita pochi giorni dopo, con due uomini che non conoscevo, ma che mi è stato detto che conoscevano la sorella di mama *****. Il viaggio è durato due mesi. [….]. Dopo due giorni, la signora mi ha portata a lavorare in strada: tutti i soldi che guadagnavo dovevo darli a lei o a suo marito, perché vivevo con loro. Diceva che dovevo pagare 200 euro per il posto in strada, 250 per l’affitto e altro per il mangiare. Se guadagnavo di più lei inventava scuse e mi faceva dare anche il resto dei soldi. A me non rimaneva mai niente. Avevo scritto su un foglio tutto quello che le davo, ma un giorno lo ha trovato e l’ha strappato. Sono sicura di averle dato almeno 15.000 euro, ma lei ne vuole di più, 40.000 in tutto, dice che è questo il mio debito".

Isolamento/solitudine

"Nel mese di marzo ho conosciuto a ***** una mia connazionale di 25 anni, che mi parlò del fatto che la sorella Ilenia viveva in Italia e poteva trovarmi un lavoro. Pochi giorni dopo mi fece conoscere una sua amica, che mi disse che conosceva una agenzia che si occupava del trasporto di persone verso l’Italia e che appena si sarebbero messe d’accordo sarei potuta partire. Ricevetti così il giorno ***** una telefonata, in cui mi chiesero se ero pronta a partire. Io chiesi che lavoro avrei poi dovuto svolgere, mi tranquillizzarono dicendo che ne avremmo parlato una volta arrivati. Sono arrivata a Treviso il giorno ***** e mi hanno portato poi in un appartamento dove mi hanno presentato un signore di nome Marco. Marco mi mostrò l’appartamento ma anche lui non mi spiegò che lavoro avrei fatto. Il giorno dopo ho rincontrato Ilenia che mi ha spiegato cosa avrei dovuto fare, ovvero che mi sarei dovuta prostituire in quell’appartamento. Al che dibattei che volevo immediatamente tornare nel mio paese ma lei ribatté che non avevo soldi e non potevo pagarmi il viaggio e che inoltre per giungere in Italia avevano dovuto spendere dei soldi che io avrei dovuto quantomeno restituire. Ilenia mi spiegò anche, per convincermi, che anche lei era venuta in Italia alcuni anni prima e che aveva iniziato a fare lo stesso lavoro, e che attraverso la prostituzione, era riuscita a migliorare le condizioni di vita proprie e della famiglia. A questo punto mi sono convinta che non potevo fare altro che prostituirmi perché ero senza scelta, lontana da casa, senza soldi. E così è andata per due settimane […]. Presto la mia ritrosia a soddisfare qualsiasi richiesta mi costò lamentele, insulti da parte dei clienti che mi venivano tradotti da Ilenia. […] Un giorno decisi di rifiutarmi, dissi che avevo lavorato abbastanza per pagare il mio debito e rientrare a casa, e allora Marco mi minacciò, mostrandomi una siringa, dicendomi che mi avrebbe ammazzato se io non avessi continuato a prostituirmi per lui […]".