Politica | AFFLUENZA

Urne vuote? La scuola parli di politica

L’importanza di andare a votare si impara già da piccoli con le elezioni dei propri rappresentati di classe, ma sentire la parola "Elezioni" sembra non piacere.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: upi

Con le elezioni politiche di domenica 25 settembre, l’Italia è riuscita a dimostrarsi ancora una volta la “nazione dei record”. Dopo i vari primati europei che hanno caratterizzato lo sport italiano degli ultimi due anni, ecco che, anche la politica, non voleva essere da meno. Mai si era scesi, dalla prima votazione della Repubblica italiana, ad un’affluenza alle urne sotto il 70% e, sino al 2008, mai sotto l’80%. Ma lo sappiamo, quando vogliamo fare le cose, noi italiani, le facciamo in grande: 63%. Un dato basso che, oltre a preoccupare, deve far riflettere. Il testo della nostra Costituzione recita: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.” Certamente, quindi, chi ha deciso di non presentarsi davanti alla commissione elettorale è ritenuto responsabile per non aver messo in atto un suo dovere; tuttavia, c’è qualcosa di più profondo su cui ragionare.

Manca il voto per i fuori sede

Sono varie le motivazioni per cui i cittadini non hanno segnato la famosa “X” sulle due schede. Queste vanno dalle più banali alle più interessanti, come la mancanza di una legge che garantisca il voto per studenti e lavoratori fuori sede, che svelano l’arretratezza del nostro Paese. È vero, vi erano delle agevolazioni sul prezzo del biglietto acquistato per tornare nella propria residenza, ma queste erano pur sempre parziali. Dunque mi chiedo: com’è possibile che io, studente fuori sede, per esercitare un mio diritto – e dovere civico – debba pagare, e, come me altri 5 milioni di italiani? Affianco a ciò, c’è sicuramente un altro aspetto, più importante, per nulla da sottovalutare: l’astensionismo. Se quest’ultimo – specie quello giovanile – è così alto, probabilmente c’è un problema alla radice, ovvero nel luogo in cui i valori della democrazia, del senso civico e dell’impegno civile sono - o meglio dovrebbero essere - insegnati: la scuola.

Quante volte sentiamo dire di “non tirare fuori temi di politica e di attualità in classe”? Ma allora, mi chiedo, cosa ci vanno a fare gli studenti a scuola?

Il discorso, alla fine, è sempre lo stesso: qual è l’obiettivo di questa istituzione? Far apprendere in maniera passiva contenuti e nozioni o, invece, formare ed educare cittadini? Nel caso in cui la riposta fosse la prima, allora possiamo dire che in Italia siamo già ad un buon punto, forse in alcuni casi bisogna migliorare il metodo di insegnamento, ma si può affermare che la scuola funziona abbastanza bene; perlomeno meglio che nel secondo caso. Se invece l’obiettivo fosse il secondo, allora possiamo considerarci ancora in alto mare.

 

"Un tentativo di indirizzamento politico"

Quante volte sentiamo dire di “non tirare fuori temi di politica e di attualità in classe”? Ma allora, mi chiedo, cosa ci vanno a fare gli studenti a scuola? Come pensiamo di poter crescere i giovani come cittadini, se poi le tematiche sensibili ai cittadini stessi non vengono trattate? È per questo che i titoli di testate che sottolineano come i giovani non siano interessati alla politica, dovrebbero essere sostituiti da altri, quali: “La scuola italiana ha fallito ancora”. Non intendo sicuramente dire che vi debba essere una propaganda politica nella scuola, ma che, invece, l’istituzione scolastica abbia il dovere di dare agli studenti gli strumenti per essere degli elettori che si informano e votano consapevolmente. Prima ancora, però, a scuola va insegnato il valore che possiedono la democrazia e la possibilità di poter andare a votare. Succede infatti che non solo non si parla di argomenti di politica in classe, ma si cerca addirittura di evitare perfino la parola “elezioni”. Nei giorni precedenti alle votazioni, avendo ricoperto per tanti anni il ruolo di rappresentante degli studenti e delle studentesse nella mia scuola e in Provincia, ho scritto una lettera agli studenti del mio vecchio Liceo, per sottolineare l’importanza della rappresentanza e la serietà con cui ciascuno studente avrebbe dovuto esprimere la sua preferenza durante l’elezione del rappresentante d’Istituto. Per fare ciò ho fatto un paragone: “una parte di voi andrà a votare per le elezioni dei nostri rappresentanti politici all’interno del Parlamento italiano e penso che tutti – o almeno lo spero –, una volta davanti alla scheda elettorale, voterete con coscienza […]. Ecco, anche se più in piccolo, non sottovalutate la rappresentanza all’interno dell’istituto e, leggermente più in grande, all’interno della rappresentanza studentesca provinciale.”

Questo riferimento è stato visto come un tentativo di indirizzamento politico e, per tale motivo, mi hanno chiesto di omettere qualunque riferimento alle votazioni dalla lettera stessa. Sarò io utopico o forse completamente fuori di testa, ma ero convinto che il valore della serietà della democrazia e della consapevolezza del fatto che il proprio voto, anche se uno su milioni, non deve essere buttato, fossero concetti da condividere all’interno delle mura delle classi e che fossero, soprattutto, necessari per la formazione dei cittadini di domani.
Adesso sta a noi tutti pensare al significato che diamo all’insegnamento; ciascuno di noi deve capire se incolpare i giovani che non sono andati a votare oppure spingerli ad informarsi e a portare argomenti di attualità nelle classi.