Società | Il commento

Cambiamento in extremis?

Per la diocesi l’esperienza del sinodo è stato un percorso a viso scoperto. Con obiettivo ultimo la sopravvivenza della chiesa locale.

Quale il bilancio del sinodo diocesano, giunto ormai a pochi passi dalla sua conclusione? 
Non è facile rispondere ma una cosa è certa: i partecipanti hanno il fiatone e sentono tutta la fatica di un percorso che per la gran parte è stato una scoperta, piena di colpi di scena inaspettati per tutti, clero in primis. E a sorprendersi nel clero è stato innanzitutto il vescovo Ivo Muser che, lo dobbiamo ricordare, quando indisse il sinodo mai si sarebbe aspettato che sui vertici della chiesa di lì a poco si sarebbe abbattuto il ciclone ‘rivoluzionario’ di papa Francesco. 
In ogni casa va detto che quella di chiamare a raccolta il popolo della chiesa locale non era una scelta obbligata. Quindi senz’altro il vescovo Muser ha avuto una buona dose di coraggio (e incoscienza) nell’indire il sinodo. 

Durante i lavori del sinodo il primo choc per la chiesa altoatesina è stato rappresentato dalla folla accorsa ai primi incontri ‘aperti’, celebrati due anni fa. Migliaia di persone inaspettatamente sono accorse per dire la loro, svegliando dal suo torpore il clero altoatesino un po’ assopito nel tran tran delle messe nelle chiese mezze vuote e  concentrato da anni sul medesimo mantra (“non ci sono più vocazioni, qualcosa dovremo fare, qualcosa dovremo fare…”). 
Ebbene: fin dal primo minuto la gente è arrivata per portare idee e fare proposte. Non solo: su certi temi negli incontri del sinodo l’esigenza di confronto ha trasformato le tranquille assemblee ecclesiali in una qualcosa di molto simile ad un incontro sportivo. Con i partecipanti a dividersi sui vari temi scottanti (celibato dei preti, comunione ai divorziati, sacerdozio femminile, pastorale per gli omosessuali) quasi a formare due tifoserie. E con i talebani di una ‘causa’ o dell’altra a battagliare come se la loro fosse l’unica che avessero senso di essere combattuta.  
Attoniti, i preti della diocesi, vertici in cima, nella scorsa primavera hanno assistito a veri e propri momenti di tifo da stadio, prima che il vescovo d’imperio decidesse che su certi temi non si sarebbe più votato facendo la conta. 

Come si ricorderà infatti le opinioni espresse a maggioranza dai sinodali sui temi scottanti  nella scorsa primavera andarono su tutta la stampa nazionale, indicando la diocesi di Bolzano Bressanone, suo malgrado, come vera e propria precorritrice della chiesa del futuro prefigurata da papa Francesco. Si trattò a suo tempo di uno strappo (e una forzatura) in grado di provocare un grande scompiglio, soprattutto nelle radici più tradizionaliste della diocesi altoatesina. Che però non si è persa d’animo e nel giro di tre mesi ha ripreso le fila. Non come se nulla fosse successo, ma operando di fatto un salto di qualità nel suo percorso di confronto interno. 

Ecco: il confronto interno. 
Chi tende a descrivere i lavori del sinodo come oscure ed esotiche elucubrazioni svolte da un’istituzione millenaria che ormai lascia il tempo che trova, forse farebbe meglio a riflettere sul fatto che, nel sinodo, almeno una cosa rivoluzionaria è senz’altro successa. E cioè che tedeschi e italiani si sono parlati. Non era e non è scontato, visto che stiamo parlando non solo di Alto Adige Sudtirolo ma anche della chiesa altoatesina che per decenni ha visto la coesistenza da separati in casa di due modi di intendere comunità ecclesiale e - parola tecnica, spesso incomprensibile ai ‘lontani’ - la ‘pastorale’ (Seelsorge in lunga tedesca). 

Ebbene: durante il sinodo i fedeli di madrelingua italiana e tedesca hanno avuto per la prima volta la possibilità di conoscere il mondo dell’altro. In una maniera senz’altro traumatica, ma pure senz’altro positiva. E anche nella chiesa altoatesina naturalmente si sono riprodotti i rapporti di forza propri della politica. Da una parte i tedeschi in maggioranza (e culturalmente più sicuri e determinati), dall’altra gli italiani in minoranza e spaesati anche a causa delle maggiori difficoltà con la lingua dell’altro. 

Se i lavori del sinodo hanno dunque messo in luce soprattutto le differenze culturali tra i due modi di vivere la diocesi, gli stessi hanno però avuto, lo ripetiamo, la possibilità di vedersi e calibrarsi vicendevolmente, seguendo il comune scopo di dare risposte plausibili alla necessità di riorganizzare la diocesi.  

Nei lavori è risultata evidente la maggiore apertura da parte dei laici di lingua tedesca. Nel mondo di lingua italiana, infatti, non vi è mai stata traccia di movimenti come quello per la Chiesa più umana promosso anni orsono da Robert Hochgruber. 

Un altro aspetto ‘antropologicamente’ diverso se non opposto, è stato quello del differente atteggiamento di italiani e tedeschi nei confronti delle regole. Dovendo il sinodo prefigurare una nuova struttura della diocesi, molto presto è risultato evidente che per i tedeschi ogni cambiamento si deve accompagnare con nuove regole mentre, come sappiamo l’atteggiamento degli italiani è molto diverso in merito. 

Altri elementi in cui italiani e tedeschi per potersi confrontare sul medesimo piano hanno dovuto calibrarsi sono stati i concetti di comunità (contesto rurale e contesto urbano) e di lavoro pastorale con i giovani. 
Anche in merito al ruolo dei laici nelle parrocchie il confronto tra le due ‘anime’ è stato molto duro, visto che per la parte tedesca della diocesi viene data ormai per assodata la figura dell’assistente pastorale stipendiato nelle parrocchie, mentre nella parte italiana in questo senso permangono culturalmente molte resistenze. 

In definitiva i due anni sinodo per la chiesa altoatesina sono stati un percorso sorprendente. Che nelle intenzioni dei sinodali dovrebbe portare entro il 1 agosto 2017 ad un vero superamento dei compartimenti stagni che fino ad oggi hanno tenuto distanti i due settori italiano e tedesco della diocesi. Entro quella data ogni organismo della curia che da sempre (la nascita della diocesi nel 1964) è duplicato per italiani e tedeschi dovrà essere riunito (compreso vicariato e uffici pastorali). Questo è stato deciso, e per dare ulteriore spessore al ‘miteinander’ è stata anche decretata la unificazione dei consigli parrocchiali finora separati nelle circa 20 parrocchie altoatesine concretamente bilingui. 

Insomma: il sinodo diocesano, pur con il peccato originale di essere partito soprattutto per cercare di dare una risposta alla cronica mancanza di preti, alla fine ha dovuto fare i conti con la gente che, forse inaspettatamente e quasi fuori tempo massimo, ha voluto manifestare la sua voglia di essere chiesa. E il clero diocesano, guidato da un vescovo in molti frangenti frastornato ma supportato da un gruppo di collaboratori a cui il coraggio non manca, ha ascoltato e preso atto. Pur arrossendo il vescovo alla fine ha deciso infatti di pubblicare sul sito della diocesi tutti gli interventi dei sinodali, anche quelli più lontani dall’ortodossia. 
Non solo. Negli ultimi giorni l’episodio del vescovo, messo in minoranza nella decisione di inserire anche la parola ‘coppie’ nel titolo della relazione su matrimonio e famiglia, la dice lunga sul fatto che il percorso sinodale per lo meno sulla carta abbia rappresentato un esperienza forte e significativa per il centro della chiesa altoatesina. 

Si tratterà ora solo di vedere cosa ne sarà dell’intero ‘sistema’ ecclesiale altoatesino. 
Da sempre la diocesi vive uno scollamento notevole tra il centro (e cioè la curia) e le parrocchie. La rivoluzione che sta per essere varata con ogni probabilità rischierà di mettere ancora più alla prova la geografia strutturale della chiesa altoatesina. Con esiti imprevedibili e sempre più legati al ruolo dei laici, volenti o nolenti. Che molto spesso com’è noto riescono ad essere più clericali dei preti. In bocca al lupo allora.