La memoria del corpo
“Niente di più futile, di più finto, di più vano, niente di più necessario del teatro”, ha detto una volta il grande attore francese Louis Jouvet. Ma anche – stavolta è Paolo Conte a cantarlo - “Anticamente era l'idea di un teatro in mezzo al grano, come una bevanda sotto il sole...”. Il teatro come necessità ristoratrice, indispensabile e superfluo, dunque. Finzione che ci fa trovare la verità. Di tutto questo ne è perfettamente consapevole Verdiana Battaglia, attrice e insegnante ispirata al “metodo psicotecnico” di Gentian Stanislavskij. L'abbiamo incontrata in una domenica di lavoro, a Laives, mentre sta guidando uno dei suoi laboratori. Parliamo così di quello di cui si occupa in questo momento, di cosa la tiene in costante attività (quasi frenetica), dei suoi progetti futuri nella nostra provincia e in regione.
“Abito nel veronese, ma sono nata a Bologna”, esordisce tradendo l'inflessione remota. Racconta la sua formazione (“ho studiato l'oboe, anche se sono sempre stata un'oboista un po' particolare...”) e come poi, gradualmente ma anche decisamente, la passione per il teatro abbia preso il sopravvento, pur non cancellando la sua versalità espressiva. “In gioventù ho fatto un po' di tutto: prima intraprendendo un percorso che mi ha posto dietro al palcoscenico, grazie alla collaborazione con Giuseppe Caschetto e Bibi Ballandi, oppure occupandomi dell'organizzazione di eventi come il Pavarotti International o il Festival Bar, fino a che ho trovato la mia vera strada”. La vera strada si manifesta in modo inaspettato, in Africa. “A Malindi – ero in vacanza con mio padre – mi sono innamorata di un animatore e mi sono detta: perché non provare a giocare con questa cosa?”. Ma esiste niente di più serio del gioco? L'animazione diventa prima un lavoro, poi il trampolino che porta al teatro vero e proprio. La scintilla scatta a Roma, dove Verdiana entra in contatto con Michael Margotta, il famoso attore statunitense, dagli anni Novanta anche insegnante del metodo Stanislasvskij/Strasberg presso il prestigioso Lee Strasberg Theatre Institute di New York.
La cosa fondamentale è riacquistare uno sguardo primitivo sulle cose, andare nuovamente alla sorgente delle sensazioni che le hanno fatte affiorare per la prima volta nella coscienza
A Roma, ricorda Verdiana, Margotta aveva allestito un vero laboratorio ispirato ai principii dell'Actors studio. Era l'Actors Center, uno spazio in cui i giovani attori potevano incontrarsi eseguendo tecniche mirate esclusivamente alla crescita delle loro competenze, senza la pressione di un giudizio ma potendo al contrario avere tutto il tempo di strutturare una ricerca basata sia sulla percezione del proprio corpo che sulla resa dei personaggi (i due tempi o momenti di una concezione avvolgente del “fare teatro”, che costituiscono le colonne vere e proprie del “metodo”). “Ho assistito ad una giornata di lavoro e mi sono subito entusiasmata. Ho studiato con lui 4 anni, parallelamente lavorando per mantenermi. Poi la vita mi ha condotto in un piccolo, meraviglioso borgo veneto, e ho cercato di mettere a frutto quanto avevo appreso, cominciando io stessa – dieci anni fa - a insegnare in base al metodo...”.
Per capire, per entrare nel cuore della sua attività, Verdiana mi invita ad assistere ad una prova, o meglio agli esercizi mattutini dei suoi allievi. Il lavoro è sui ricordi delle cose più semplici, dei gesti quotidiani che, rammemorati ed eseguiti quasi al rallentatore, vengono risvegliati a una nuova freschezza. Non per essere trattenuti, quanto piuttosto al fine di allargare il repertorio della gestualità. C'è chi “finge” di bere un caffè, chi mima il gesto di farsi la doccia. “La cosa fondamentale è riacquistare uno sguardo primitivo sulle cose, andare nuovamente alla sorgente delle sensazioni che le hanno fatte affiorare per la prima volta nella coscienza”. In questo modo dovrebbe svilupparsi un'attitudine a capire le sensazioni dal loro “interno”. È grazie a questo lavoro di ricerca su di sé, sempre partendo dal corpo e dalla sua memoria sensoriale, che l'espressione può poi slanciarsi verso l'esterno, costruendo la veridicità dei personaggi.
Dico sempre che non sono un guru, svolgo il mio lavoro orientandomi alla rappresentazione teatrale, insegno a lavorare su un personaggio
Chiedo a Verdiana se durante il percorso di ricerca qualcuno possa tendere a scambiare questo tipo d'impostazione come una pratica terapeutica, un modo per ritrovare il senso profondo della propria esistenza. “Io non faccio terapia”, mi blocca subito. “Dico sempre che non sono un guru, svolgo il mio lavoro orientandomi alla rappresentazione teatrale, insegno a lavorare su un personaggio. Per farlo gli allievi devono accordare il corpo, come fosse uno strumento. Se poi da questo lavoro si genera anche un benessere complessivo ovviamente ne sono felice, ma non è lo scopo primario della nostra attività. Alla fine io cerco di proteggere le persone, dando loro tutto lo spazio possibile per esprimersi e tenendo lontano il rischio che un giudizio possa rovinarne la crescite. In quel caso preferisco perderle...”.
Verdiana Battaglia ha appena finito di contribuire al film Affittasi Vita, il nuovo lungometraggio del regista Stefano Usardi ambientato a Trieste. Prima di riprendere a settembre i suoi corsi in provincia di Bolzano, dal 6 all'8 luglio sarà nuovamente in regione, presso l'Hotel Rifugio Sores di Predala, in Val di Non. Anche in questo caso la proposta è un “seminario intensivo per attori”, si intitola Tutti possono recitare, con al centro una serie di passi mirati che – muovendo dal riscaldamento, dall'elaborazione di tecniche di rilassamento e d'improvvisazione teatrale – porteranno i partecipanti ad elaborare quelle “memorie sensoriali necessarie per plasmare la consapevolezza attoriale”. Due giorni per provare ad “essere” un personaggio, non solo limitarsi a “riprodurlo”. Perché nel teatro, come diceva Gigi Proietti, “tutto è finto, ma niente è falso”.