Società | Povertà

A rischio la pace sociale

Lo studio dell’Afi evidenzia in misura eclatante quanto sia ormai diffusa la convinzione nella popolazione locale che la forbice tra ricchi e poveri si sia allargata.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: (c) Fabio Petrini

E’ anche un dato di fatto. Con l’impennata dell’inflazione questo squilibrio è inevitabilmente destinato ad allargarsi ulteriormente. Il carovita riduce, infatti, in maniera più pesante il potere d’acquisto dei redditi bassi, rispetto a quelli più alti.

Soprattutto il ceto medio basso si trova in difficolta di fronte a salari stagnanti e prezzi dei beni indispensabili in forte aumento. Il carello della spesa ha subito incrementi ben oltre il dato dell’inflazione medio.

In queste persone aumenta con il passare dei mesi la paura per il loro futuro e per quello dei figli. Qui si aprono crepe sociali che rischiano di spaccare la società. Da una parte si rischia la “guerra ai poveri” e dall’altra forti invidie nei confronti di chi sta meglio. Il risultato sono forme di populismo e di rabbia alimentate tra l’altro da una politica sempre attenta alle richieste di chi ha di più. Anche in Alto Adige le lobby monopolizzano sempre di più l’attenzione mediatica e le scelte della politica.

E i cittadini si allontanano sempre di più da una politica considerata lontana dai loro reali bisogni.

Per questo la politica deve riprendersi lo spazio che le compete e fare scelte lungimiranti ascoltando tutte le parti in causa e non solo quella parte che “conta”.

Per evitare le accuse di forme di parassitismo, di solito ingiustificate, nei confronti della parte più debole della società va rivisto lo stato sociale garantendo le prestazioni a chi ne ha veramente bisogno. Vanno senza ombra di dubbio anche analizzate le cause di alcuni disagi e trovati possibili rimedi.

Vanno infine stanati i furbi che accedono a prestazioni ingiustificate grazie alla loro abilità di rimanere sconosciuti al fisco e all’Inps. Una parte delle pensioni basse è sicuramente legata a questo fenomeno alimentando la rabbia di chi ha rispettato le norme a partire dal pagamento dei contributi e delle tasse.

Per dare risposte strutturali soprattutto ai giovani vanno creati posti di lavoro di qualità. Oltre a ciò la politica deve rivedere la legislazione sul lavoro recuperando quella parcellizzazione che penalizza molti giovani, anche con una buona formazione professionale. Su questo terreno la politica ha fatto delle scelte chiaramente a favore dei datori di lavoro impoverendo il mondo del lavoro ed alimentando una competizione negativa al suo interno.

Vanno aumentati i salari e le pensioni per contrastare un’inflazione che per due terzi è frutto di speculazioni provocando extraprofitti che arricchiscono ulteriormente chi ha già di più. La politica deve avere il coraggio di drenare buona parte di questi utili per restituire a chi si è visto svuotare il portafoglio da chi ha sfruttato dinamiche di mercato a lui favorevoli.

Va infine rivisto il sistema fiscale per il mondo del lavoro e delle pensioni e soprattutto per quella fascia di contribuenti che non sono ricchi, ma che versano la maggior parte delle imposte e è pure esclusa da tante prestazioni sociali.

Sono spesso lavoratori e pensionati che riescono a vivere dignitosamente, ma che non sono certamente ricchi. Sono i veri tartassati in questo paese e pagano le imposte alla fonte fino all’ultimo centesimo. Il fisco deve ritornare a essere fonte di redistribuzione del reddito.

Non a caso i padri costituenti hanno introdotto un sistema fiscale progressivo. Da tempo ci sono però tentativi di scardinare questo sistema con l’idea di una flat tax, che agevola però chi guadagna di più. Il sindacato su questo terreno è intenzionato a dare battaglia.

La formula che meno fisco per i benestanti provochi più investimenti e lavoro con vantaggi per tutti non ha mai funzionato. E’ proprio questa strategia che ha creato le diseguaglianze oggi esistenti e arricchito i mercati finanziari a scapito dell’economia reale. In Italia poi anche una parte consistente dell’evasione fiscale è diventato patrimonio detenuto dai privati, mentre lo Stato è stato dissanguato, come afferma la anche la Direzione delle Entrate.

 

Alfred Ebner