Politica | Padri & figli

Le colpe dei padri....

Trent'anni dopo torna, dalla Provincia Granda, l'arcinemico dell'autonomia.

Come mettere il lupo a custodire l'ovile. Questa la metafora che viene istintiva alla mente per commentare la notizia sulla nomina dell'alfaniano Enrico Costa alla carica di ministro delle regioni. L'esponente politico appartenente al gruppo " Area Popolare" si è fatto conoscere, infatti, per le sue posizioni duramente contrarie alla permanenza in vita delle regioni a statuto speciale e in particolare dell'autonomia altoatesina. Suo un disegno di legge, presentato ancora nel 2012, con il quale si prevede di far piazza pulita di tutte le autonomie speciali al fine di cancellarne, questo l'obiettivo dichiarato, ingiusti privilegi.

La vicenda politica di oggi non dovrebbe destare soverchio interesse se non celasse un retroscena storico e familiare sul quale vale forse la pena di soffermarsi. È un saggio principio quello di non caricare sulle spalle dei figli gli errori dei padri, ma quando i figli, come in questo caso, paiono ben felici di accollarsi il fardello, la questione indubbiamente cambia.

Il neo ministro è infatti figlio d'arte. Suo padre Raffaele Costa ha ricoperto per decenni i ruoli il parlamentare, europarlamentare, sottosegretario e ministro in vari governi. La famiglia Costa è originaria di Mondovì, un angolo del vecchio Piemonte che rientra in quella zona, con capoluogo Cuneo, che è riconosciuta da sempre come la "Provincia Granda".

Fedele ad una tradizione politica che ha avuto come massimi esponenti Cavour e Giolitti, Raffaele Costa ha militato per buona parte della sua vita politica nel Partito Liberale. Una realtà ridotta dal secondo dopoguerra in poi a ben poca cosa sul piano numerico ma che, come sempre accade in Italia, non rinunciava a dividersi in gruppi e correnti. Costa era un seguace di Giovanni Malagodi , per lunghi anni segretario, che di quella tradizione politica interpretava gli aspetti più conservatori e centralisti. Proprio in virtù di questo Costa, sul finire degli anni 80, iniziò una vigorosissima battaglia polemica contro il completamento dell'autonomia altoatesina che andava definendosi, tra vivaci polemiche, proprio in quel periodo. I suoi bersagli preferiti erano, allora, l'eccessiva generosità con la quale lo Stato riforniva di finanziamenti e competenze la provincia di Bolzano e la creazione di una struttura giuridico amministrativa che- sosteneva-  infliggeva torti e ingiustizie crescenti al gruppo di lingua italiana.

Tutto questo in un crescendo rossiniano che raggiunse l'acme sul finire dell'estate del 1988. Per l'Alto Adige furono mesi convulsi e inquietanti. Mentre i terroristi di "Ein Tirol" facevano sentire la loro voce sempre più spesso e il processo di completamento dell'autonomia languiva nelle stanze romane, a Bolzano era in pieno svolgimento la campagna elettorale per le provinciali d'autunno. Spronati dall'infaticabile Raffaele Costa, cui si affiancava con toni non meno virulenti un altro esponente dello stesso partito, il giornalista Egidio Sterpa, i liberali decisero di giocare una carta piuttosto estranea alla loro cultura e alla loro tradizione: quella della manifestazione di piazza. Per il 18 settembre fu indetta una marcia silenziosa, da piazza Verdi a piazza della Vittoria in segno, si disse, di solidarietà agli italiani dell'Alto Adige definiti come "stranieri in patria". Consci probabilmente di non poter contare su un grande seguito in sede locale, gli organizzatori puntarono decisamente sull'afflusso di attivisti reclutati e fatti venire da altre zone d'Italia. La manifestazione si tenne ma, nel ricordo di chi scrive e nelle cronache del tempo, non resta l'immagine di un grande trionfo popolare. Non che a Bolzano mancassero coloro che la pensavano, in termini politici, in maniera abbastanza simile a quella di chi sfilava, ma erano da sempre allineati disciplinatamente sotto le bandiere del Movimento Sociale Italiano che, infastidito dalla concorrenza politica più che inorgoglito dalla presenza di nuovi alleati, rimase alla finestra. Qualche settimana più tardi l'esito delle elezioni confermò le impressioni visive di quella giornata. L'MSI ottenne ben quattro consiglieri, mentre la lista liberale, con poco più di tremila voti, fu esclusa dal riparto dei seggi. L'imbarazzante fallimento elettorale mise fine in pratica anche alla campagna liberale per gli italiani dell'Alto Adige. Qualche anno più tardi a spazzare via tutto sarebbero venute la chiusura del "pacchetto" e, di lì a poco, la tempesta politico giudiziaria che mise fine alla cosiddetta prima repubblica. Raffaele Costa con gli altri liberali della sua corrente, continuò la sua attività politica confluendo nella invincibile armata di Silvio Berlusconi. Non è dato sapere se, memore delle sue passate iniziative, abbia condiviso l'amara delusione di diversi ex missini che presto dovettero rendersi conto che il nuovo governo di centro-destra non pensava, né punto né poco, a mantenere i tanti impegni presi di smantellare l'autonomia e restituire agli italiani dell'Alto Adige i privilegi perduti.

Ora, trent'anni dopo, con un tempismo da far invidia ai moschettieri di Alexandre Dumas, al padre subentra il figlio, armato delle stesse bellicose intenzioni e con progetti di legge che paiono realizzati con il copia e incolla da quelli del suo illustre genitore. La nomina ha ovviamente destato preoccupato scalpore a Bolzano e dintorni. È un bel regalo tutto sommato per tutto il mondo politico di lingua tedesca. Per chi ha trovato ancora un argomento per sostenere la necessità di un partito di raccolta e per chi, di contro, trova nella vicenda l'ennesima conferma che dall'Italia, centralista e antialtoatesina, bisogna scappare al più presto.

In realtà, a guardar bene le cose, il ministro Costa-figlio non sembra poter arrecare più danni di quanti non ne fece a suo tempo il ministro Costa-padre. La verità è che i veri nemici dell'autonomia non vengono dalla Provincia Granda ma stanno ben piazzati nella provincia autonoma.