Mussolini sulla luna
In un volume scritto qualche anno fa sull'Europa, sul senso profondo e antinazionalistico dell'Unione Europea, scriveva Robert Menasse: «E chi non riesce ad immaginarsi tutto questo, dovrebbe almeno provare a immaginarsi cosa significa Auschwitz. E cosa significa questo per noi adesso e per sempre. Al che i nazionalisti ricominceranno a gridare con aria di scherno: “Rieccolo con la solita menata sul fascismo!” Il problema è il fascismo, non il suo ricordo».
Sono passati appena sette anni da allora, ma a quanto pare le cose si sono aggravate. Perché oggi il nodo tra la persistenza di atteggiamenti riconducibili al fascismo e la pratica del suo ricordo non è mai stato così intricato. Se ci fosse un ritorno possibile del fascismo sarebbe allora quello che passa dalla porta della banalizzazione e della dimenticanza incorporate nella frase “Mussolini ha fatto anche tante cose buone”. Proprio a questa frase lo storico trentino Francesco Filippi ha dedicato un piccolo libro di straordinario successo, capace di bruciare in poche settimane numerose ristampe (da marzo sono ben otto) e di finire per fortuna anche tra le mani di molti ragazzi. Un saggio agile e compatto, documentatissimo, ma che funziona anche come debunking prêt-à-porter delle numerose “idiozie” edulcoranti che circolano sulla figura del Duce e del suo ventennale regime.
Il libro verrà presentato dall'autore e dal giornalista Massimiliano Boschi domani, 31 maggio, alle ore 18.00, presso la Sala di Rappresentanza del Comune di Bolzano, in vicolo Gumer. Noi l'abbiamo intervistato.
Salto.bz: Com'è nata l'idea di scrivere questo libro?
Francesco Filippi: Faccio parte di un'associazione di promozione sociale, Deina, che da anni si occupa di organizzare progetti riguardanti la cittadinanza e la memoria attiva indirizzati ai ragazzi dai 17 anni in su in luoghi significativi dell'orrore del '900 europeo, come ad esempio Auschwitz. Parlando coi tutor dell'associazione – vale a dire coi ragazzi che, dopo aver fatto l'esperienza di viaggio come partecipanti, decidono di affiancare e guidare nel percorso formativo i propri compagni –, ci siamo interrogati su quali siano le fonti principali di informazioni storiche utilizzate dai giovani per costruirsi un'idea di passato. Abbiamo notato che il bacino principale di queste e altre informazioni era costituito dal web, dai social in particolare. Il problema è che proprio i social sono intasati di notizie storiche non attendibili, che vanno dai “meme” (immagini ironiche su figure iconiche, come per esempio Hitler e Mussolini) ai veri e propri articoli “falsificati”. Questo libro, da alcuni definito un vero e proprio manuale, nasce proprio dall'esigenza di combattere attraverso la ricerca più rigorosa le principali bufale che circolano in rete, ma anche fuori, sul fascismo.
Qual è l'ingrediente contenuto nel volume che ne ha determinato lo straordinario successo di vendite?
Come detto, da più parti si era già sottolineata la necessità di avere un testo che facesse chiarezza su alcune bufale storiche che circolano sul fascismo: negli anni la storiografia si è occupata lungamente di smontare le fake news attorno a Mussolini e i suoi, e in ambito accademico la maggior parte delle panzane che circolano attorno a temi come le “pensioni del duce” o i treni in orario sono oggetto di ironia, più che di ricerca. Però questo ambito di studi evidentemente non è riuscito a passare con efficacia la “barriera accademica”, e la gran parte della società italiana si trova ancora in balìa di bugie inventate dal fascismo stesso. In questo senso, occupandomi di formazione, pur essendo ovviamente felicissimo del successo del libro, devo registrare che esso è anche frutto di un problema di comunicazione tra il mondo della ricerca e quello della pubblica opinione. La storia non è l'unico settore in cui ciò si evidenzia, purtroppo: basti pensare alle stucchevoli polemiche sui vaccini.
Che idea si è fatto sulla genesi dell'edulcorazione alla quale è stato sottoposto il fascismo? A quale bisogno corrisponde, insomma, questa pervicace mistificazione della realtà storica?
Il fascismo fu un fenomeno di massa, ovviamente. In soldoni significa che ne fu coinvolta una parte assai consistente – e per lunghi periodi maggioritaria – della popolazione italiana. A fine guerra, per molti motivi, il progresso di consapevolezza su cosa fu in effetti questo fenomeno storico e politico subì un arresto: una guerra civile combattuta da minoranza attive, come la Resistenza, a cui fece da contraltare la massa della popolazione che assistette allo svolgersi degli eventi più passivamente; la guerra fredda incombente che compresse le possibilità di una discussione ampia, corale e meno ideologica del Ventennio; il fatto stesso che per molti il passato regime, ormai vituperato, fosse una fase della storia nazionale vergognosa, di cui disfarsi; la voglia di voltare pagina, semplicemente, dopo gli anni della dittatura e della guerra; tutti questi elementi hanno probabilmente contribuito a impedire che in Italia si facessero davvero i conti con il fascismo. Negli corso degli anni, poi, quel passato non raccontabile finì per rimanere imprigionato nelle memorie private e nella nostalgia di chi, in sostanza, aveva motivi sufficienti per aggrapparsi al “quando c'era LVI” come moto di critica del presente. Una tendenza proseguita fino ai giorni nostri.
Tra le “dicerie positive” che vengono ripetute sul conto di Mussolini quali sono quelle più manifestamente false o particolarmente resistenti?
Probabilmente la madre di tutte le bufale è quella che vuole Mussolini come un dittatore che ha “amato gli italiani”. Da questa percezione paternalistica e sostanzialmente errata nascono a cascata tutte le altre castronerie. Un Duce buono, che vuole solo il bene del proprio popolo, è immagine smentita dai fatti: la distruzione delle libertà, il calo sistematico del benessere, le vergognose campagne internazionali che lesero per sempre l'onore italiano, le leggi razziali contro cittadini italiani a tutti gli effetti e una serie di guerre insensate che portarono alla più grande strage di italiani nella storia, ce n'è abbastanza per smentire l'idea di un dittatore attento alle esigenze dei sudditi; ma a sostenere questa lettura concorrono le parole dello stesso Mussolini, che più volte disprezzò apertamente gli italiani incapaci di seguirlo nel suo folle progetto totalitario.
È possibile tuttavia dire che qualcosa di buono l'abbia veramente fatto, Mussolini, oppure davanti all'opera complessiva di un dittatore è giusto non differenziare, è sempre opportuno condannare senza appello?
La cosa “giusta” da fare è analizzare, e riflettere su quanto il regime costò, in termini di avanzamento sociale, culturale ed economico, al Paese. A chi dice per esempio che un'opera come la stazione dei treni di Milano fu una “cosa buona” del fascismo, si potrebbe chiedere innanzitutto se si ritiene che un sistema come quello liberale non sarebbe riuscito a dotare di infrastrutture valide l'Italia. Sarebbe del tutto assurdo asserire che solo attraverso la tirannide si possono conseguire risultati di progresso materiale (progresso che peraltro il fascismo neppure riuscì a dare). Insomma, la domanda è: valeva davvero la pena perdere il diritto di voto e di rappresentanza, subire una serie di guerre inutili, opprimere biecamente intere popolazioni, perdere centinaia di migliaia di uomini al fronte e altre centinaia di migliaia sotto i bombardamenti, vedere rase al suolo milioni di case e al contempo distrutto il dibattito pubblico e zittite con la violenza intere generazioni di intellettuali, valeva la pena avere tutto questo per una stazione dei treni?
Ma da cosa dipende, allora, questa ricorrente attrazione che Mussolini esercita nel discorso pubblico, perché non riusciamo a liberarcene?
Perché una certa retorica è ancora influente: di fronte a crisi di carattere economico e sociale si è ancora tentati di perseguire le vie semplici di risposte dirette, calate dall'alto. Di fronte alle difficoltà di una democrazia complessa e sicuramente perfettibile qualcuno ancora oggi può pensare che “l'uomo forte” sia una risposta percorribile. Il fascismo è una malattia cronica della democrazia, un suo decadimento, ed è purtroppo naturale che in momenti non facili, di passaggio, alcuni suoi sintomi si ripropongano.
Lei parla del fascismo come di una “malattia cronica”, altri l'hanno interpretato come una “costante storica”. Di contro, abbiamo storici assai competenti, come ad esempio Emilio Gentile, che invitano a distinguere, a non abusare del termine. Chi ha ragione?
Dipende dalla lettura che si vuole dare di un termine che ormai fa parte dell'immaginario collettivo: se intendiamo per fascismo il fenomeno totalitario nato in Italia agli inizi del '900, hanno perfettamente ragione gli storici che invitano alla cautela, attribuendo cioè l'etichetta solo al regime peculiare incentrato sul predominio del capo, che è nato e morto con Benito Mussolini. Se però adottiamo la lettura di Umberto Eco, che definisce il fascismo non come “una filosofia”, cioè un modo ideale di pensare il mondo, un'ideologia vera e propria, ma come “una retorica”, cioè un modo di raccontare il mondo, allora non si può negare che anche adesso, nel nostro Paese, vi siano movimenti e gruppi che si rifanno al fascismo richiamandone modalità e parole d'ordine. Le parole, certe parole non andrebbero mai sottovalutate.
Trasfigurare il passato, anche quello più nefasto, diffondere notizie false è oggi un'attitudine particolarmente sviluppata e resa possibile dalla tecnologia informatica. Il suo libro è un caso riuscito di “debunking”, affidato peraltro al vecchio medium della carta stampata. Qual è la strategia più efficace per contrastare il veleno delle fake news e rafforzare l'amore per la ricerca della verità?
Intanto arrendersi al fatto che, almeno nel campo della ricerca storiografica, la Verità con la maiuscola, vale a dire assoluta e immutabile, non esiste. Esiste l'interpretazione del passato, ossia il rapporto dinamico tra i fatti storici e chi li studia: “tutta la storia è storia contemporanea” diceva Croce, e i fatti storici vengono utilizzati per lo più per il loro valore interpretativo sul presente. I punti di vista di partenza cambiano a seconda di chi interpreta un dato evento passato. Con il fatto che in storia esistano punti di analisi e quindi interpretazioni diversi dobbiamo tutti imparare a fare i conti. Si tratta di acquisizioni perfettamente normali e direi anche proficue per mantenere vivo il dibattito storico. Per questo è importante però mantenere in un certo senso “pulite” le fonti storiche, i documenti, demolendo le fake news che mentono sul passato: per permettere un'interpretazione il più possibile libera e obiettiva del passato attraverso cui costruire una lettura utile del presente.
Un richiamo più che sensato all'etica dell'interpretazione, intanto però le fake news continueranno sempre a proliferare...
Certo, le fake news sfruttano la velocità e la semplicità insita nella loro fruizione: ci capita così per caso di leggere una breve nota su Mussolini scappato sulla luna, magari dal cellulare, facendo scorrere questa insieme ad altre migliaia di notizie, senza avere il tempo e la voglia di approfondire, e poi alimentiamo la bufala condividendola. Essa diventa così una notizia come le altre, finisce cioè nella melma del web, “vera” al pari di tutte le altre. E a smentirla si finisce persino per correre il rischio di essere etichettati come assassini della libertà di pensiero. Per uscire da questa trappola fatta di semplicità e velocità, a mio avviso, occorre applicare il metodo contrario: rallentare, e cercare sempre la complessità. Approfondire quanto si apprende, fermandosi a valutare quello che ci viene raccontato, anche perché le informazioni che apprendiamo sono una parte molto consistente del modo in cui leggiamo il mondo. Può sembrare una perdita di tempo, anche perché la maggior parte di noi difficilmente ammette di essere vittima di bufale del tutto assurde. Qualcuno avrà sorriso leggendo la notizia del “Duce sulla Luna”, eppure storiograficamente non è una sparata molto più assurda rispetto a quella, a cui in molti ancora credono, di Mussolini che ci ha regalato le pensioni. Fermiamoci a riflettere su quanto ci viene raccontato, e chiediamoci perché ci viene raccontato. Non si tratta neppure di un'operazione particolarmente lunga e noiosa: utilizzando gli strumenti della scienza storica, io ho impiegato appena tre pagine per smascherare la favola delle pensioni del Duce.