Lidia Menapace - Giuseppe Farias
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Politica | Avvenne domani

Il Mulino delle idee

A sessant’anni da un convegno che fece la storia dell’Alto Adige

C’è un fatto su cui potranno felicemente elucubrare gli appassionati della cabala politica. Per diversi decenni i mesi di ottobre e novembre degli anni con la cifra finale uno furono, per la politica altoatesina, densi in maniera particolare di avvenimenti, discussioni, polemiche e contrasti anche brucianti. Tornando all’indietro nel tempo basterà ricordare, come già abbiamo fatto recentemente su queste colonne, che, nell’ottobre del 1981, giunge al culmine la furibonda battaglia sul censimento etnico, con il dibattito parlamentare durato tre giorni e con il rilevamento delle dichiarazioni di appartenenza etnica a fine mese.
Dieci anni prima, e siamo all’autunno del 1971, sempre in Parlamento, si compie il destino della legge costituzionale che introduce, con il nuovo Statuto, il fondamento della seconda Autonomia. Si spengono i furori dell’ostruzionismo missino e il voto favorevole, in seconda lettura, da parte della sinistra blocca il progetto di un rischioso referendum confermativo.

Una tensione crescente che ha riportato in maniera brutale il problema altoatesino davanti agli occhi dell’opinione pubblica italiana ed internazionale

Ancora un salto all’indietro di dieci anni e piombiamo in uno dei periodi più tormentati e problematici dell’intera vicenda altoatesina di tutto il novecento. Quando, la mattina di sabato 4 novembre 1961, nell’aula del consiglio provinciale altoatesino, la cui concessione sottolineò ulteriormente l’eccezionalità dell’evento, si apre il convegno sulla realtà altoatesina voluto dalla prestigiosa rivista Il Mulino di Bologna, l’Alto Adige appare sprofondato in una realtà drammatica della quale i sintomi di una crisi politica ormai datata si mescolano con gli echi di un’ondata terroristica che ancora non accenna a placarsi. Sono passati meno di cinque mesi dalla “Feurnacht” e sono stati mesi contrassegnati dal ripetersi di atti di violenza e dalla dura repressione messa in atto dalle forze dell’ordine.
Una tensione crescente che ha riportato in maniera brutale il problema altoatesino davanti agli occhi dell’opinione pubblica italiana ed internazionale. Che in Alto Adige tirasse una brutta aria lo sapeva, chi voleva saperlo, ormai da anni. C’era agli atti la crisi ormai conclamata della Regione e il problema era atterrato, un anno prima, anche nell’aula delle Nazioni Unite, ma la dinamite di giugno aveva conferito all’intera questione un tratto di pericolosa urgenza. Una prima svolta, sul piano politico, si era verificata ancora nel mese di luglio quando il ministro dell’interno Scelba, fama sinistra di grande organizzatore della repressione di polizia, ma anche appassionato sostenitore, sin dagli studi universitari, dello sviluppo delle autonomie regionali, aveva offerto ai politici sudtirolesi il tavolo di una commissione, 19 membri in tutto, per esaminare, finalmente, le loro richieste. La commissione, presieduta dal socialdemocratico Paolo Rossi, si era insediata a metà settembre.
L’idea di raccogliere a Bolzano studiosi di fama nazionale e internazionale per interrogarsi sui motivi e i possibili rimedi della crisi divenuta così acuta, nasce all’interno del nucleo fondatore di un’iniziativa culturale ancor giovane come Il Mulino, ma già prestigiosa per il livello dei fondatori e delle firme ospitate nelle sue pubblicazioni. Elemento chiave, in tutta la vicenda, la figura di Giuseppe Farias, altoatesino di adozione, studioso di pedagogia con particolare riferimento al tema dell’istruzione professionale, all’epoca impegnato anche in politica. Assieme a Lidia Menapace aveva ricoperto il dedicato incarico di commissario della Democrazia Cristiana altoatesina, mettendo in minoranza la vecchia dirigenza arroccata su posizioni di forte polemica antitedesca ed avviando il partito verso quel ruolo di mediazione nella lunga trattativa per la nuova autonomia che si sarebbe sviluppata negli anni successivi.

Attorno a lui e a Lidia Menapace si sviluppa quindi il progetto di un’ampia discussione sulla tematica altoatesina, per raccogliere, in quei giorni di aspre tensioni e di incerta analisi sul piano politico, l’opinione di studiosi illustri e di metterla a confronto con quella di chi occupava un posto di proscenio sulla scena politica altoatesina del momento.

Farias però era anche uno dei soci fondatori de Il Mulino, sul quale pubblicò in quegli anni numerosi e pregevoli interventi sui temi di ricerca che gli erano cari, quelli relativi alla scuola. Attorno a lui e a Lidia Menapace si sviluppa quindi il progetto di un’ampia discussione sulla tematica altoatesina, per raccogliere, in quei giorni di aspre tensioni e di incerta analisi sul piano politico, l’opinione di studiosi illustri e di metterla a confronto con quella di chi occupava un posto di proscenio sulla scena politica altoatesina del momento.
Il direttore de Il Mulino, Luigi Pedrazzi, nel suo discorso introduttivo vuole ricordare tra l’altro come il problema altoatesino, sia pur circoscritto geograficamente ad una zona limitata, sia tutt’altro che un problema minore: “esso – dice -è un problema che tocca la coscienza di tutti gli italiani che, sia pure con responsabilità meno definita, di tutti gli europei… “.*
Il convegno, come detto, dura due giorni e sul podio si alternano professori universitari e politici in attività di servizio. La posizione della politica sudtirolese viene riassunta, in un lungo intervento, dallo stesso Silvius Magnago. Una puntigliosa esposizione delle ragioni per le quali la SVP chiede un radicale rifacimento di tutto l’impianto autonomistico per assicurare una tutela reale alle minoranze tedesca e ladina. Un intervento al termine del quale Magnago non dimentica di soffermarsi, sia pur brevemente, sul problema del terrorismo. “Vorrei solo dire – afferma - che noi, indipendentemente dal fatto che gli atti di violenza ci giovino o ci danneggino (ci danneggiano naturalmente), dobbiamo per principio ripudiarli come strumenti di lotta per il raggiungimento di fini politici, per il semplice fatto delle nostre convinzioni”.

Ci vorranno molti anni ancora perché di quel “parlarsi” si vedano i frutti ma l’importanza di quel dibattito risiede nel fatto che ancor oggi molte delle cose che furono dette sessant’anni or sono hanno ancora, se rilette, un carattere di bruciante attualità.

Dopo quello di Magnago arriva l’intervento firmato congiuntamente da Giuseppe Farias e Lidia Menapace e che costituisce l’altro testo fondamentale sul quale si articola tutta l’analisi successiva. Le firme sotto i testi successivi, nel volume che Il Mulino stampa per raccogliere gli atti del convegno, sono quelle di uno dei padri dell’idea europea come Altiero Spinelli, di un giurista prestigioso come Pietro Rescigno, di un attento osservatore della realtà altoatesina come il filosofo Umberto Segre. La schiera dei politici che prendono la parola si arricchisce dei nomi di Alfons Benedikter, Anton Zelger e Peter Brugger per la SVP, mentre in campo italiano parlano tra gli altri Armando Bertorelle (DC), Andrea Mitolo (MSI), Renato Ballardini (PSI), Amilcare Mattioli (PCI). Le repliche, le risposte degli interrogativi emersi, le conclusioni sono ancora affidate agli interventi di Magnago, Farias e Menapace.
Due giorni di convegno che, non solo per il momento in cui sono caduti, ma anche per la sostanza delle posizioni rappresentate, costituiscono sicuramente un momento di riflessione importante, un contributo non indifferente a quel dialogo politico che, tra mille difficoltà ed altrettante incertezze, sta prendendo l’avvio. Ci vorranno molti anni ancora perché di quel “parlarsi” si vedano i frutti ma l’importanza di quel dibattito risiede nel fatto che ancor oggi molte delle cose che furono dette sessant’anni or sono hanno ancora, se rilette, un carattere di bruciante attualità.

*Le citazioni sono tratte dalla ristampa anastatica degli atti del Convegno contenuta nel volume “Un’idea esagerata di autonomia”, curato nel 2015 da Giorgio Delle Donne per le Edizioni Alpha Beta.

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Hartmuth Staffler Sab, 10/30/2021 - 15:12

Für alle Italiener ist es selbstverständlich, dass sie brutale Gewalt in Form eines üblen Aggressionskrieges gegen Südtirol anwenden konnten, um dieses Land zu erobern. Sie finden es aber schrecklich, wenn Südtiroler Gewalt angewendet haben, um sich gegen diese Aggression zu wehren.

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