Politica | Rappresentanza

La democrazia dimezzata

Può l’Autonomia avere un futuro senza rappresentanza politica legittima dei gruppi etnici?

Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Quella che è andata in scena ieri sera alla conferenza stampa di presentazione dei candidati del Pd per i collegi di Bolzano e Bassa Atesina è tecnicamente parlando la fine della rappresentanza politica italiana in provincia di Bolzano. Nel sistema parlamentare italiano, una comunità che non ha una rappresentanza territoriale è destinata a essere schiacciata o a diventare merce di scambio di logiche di negoziato politico che si collocano su altri livelli. I notabili del Pd provinciale, con il neosegretario Alessandro Huber in testa, fino a poche settimane fa spergiuravano quindi giustamente avrebbero fatto fronte compatto contro candidature paracadutate sul territorio secondo logiche nazionali. Sull’accettazione supina dei nomi di Boschi e Bressa da parte della direzione e della segreteria del Partito democratico però non vale troppo la pena soffermarsi perché i fatti parlano da sé.
Invece è più importante riflettere su altre questioni più importanti.
La prima riguarda il tema della rappresentanza politica dei gruppi etnici nell’architettura complessiva del sistema autonomistico provinciale. L’intero sistema è stato costruito per garantire la convivenza pacifica tra i gruppi salvaguardandone possibilità di crescita tutela dei valori, lingua e cultura. Per consentire il perseguimento di tale scopo è necessario che ogni gruppo abbia un’ adeguata rappresentanza politica, capace di salvaguardare i propri interessi e negoziare in un clima costruttivo una visione comune del futuro. Ora da anni ormai il peso numerico della comunità italiana è sottorappresentato in tutti i livelli decisionali da quelli dei Comuni fino al piano strategico della provincia. A livello provinciale l’unico assessore italiano rappresenta il 12,5% della giunta provinciale a fronte del 25% circa di italiani residenti in provincia. I consiglieri comunali sono l’11,4% del consiglio che diventano il 14,3% se in modo illecito si aggiunge ad essi la mistilingue Elena Artioli. La giustificazione per spiegare questo fenomeno è che gli italiani non votano, forse perchè antropologicamente più pigri e menefreghisti, e, elezione dopo elezione, aumentano a dismisura i livelli di astensionismo. Solo i numeri dei votanti del partito italiano rappresentato in giunta provinciale sono impietosi: nell’arco di un decennio si è perso più di un terzo di elettori.
E qui si apre un secondo problema che apparentemente riguarda solo la comunità italiana ma che gli osservatori più attenti consigliano di leggere in chiave più allargata. Chi sono i rappresentanti politici italiani oggi e quanto contano? La risposta se si guarda al fenomeno da questo punto di vista è avvilente. Uno dei due candidati alle prossime politiche è l’onorevole Gianclaudio Bressa, lo snodo dei rapporti tra governo e SVP. Di Bressa per presentare il profilo si può dire che è arrivato alla sesta legislatura. Il limite delle legislature previste dal Pd sarebbe due e quindi sorge spontanea la domanda: come ha fatto questo uomo a garantirsi una tale longevità politica? La risposta è che nel corso degli anni ha assunto la funzione di mediatore nel suk romano tra richieste di voti a sostegno del governo da un lato e aumento di competenze e autodeterminazione da parte della SVP dall’altro. Se analizziamo gli indicatori dello stato di benessere dell’autonomia provinciale si può dimostrare senza possibilità di contraddittorio che mentre la comunità tedesca è florida e cresce quella italiana è in declino demografico, economico e sociale. Bressa però giustamente interessato al rinnovo del suo scranno parlamentare riassume la questione con un’alzata di spalle. Probabilmente non sa non conosce e sicuramente non è interessato a approfondire le dinamiche di sviluppo, relazione e declino dei diversi gruppi etnici provinciali. Perché e cosa rappresenti dunque questo simpatico signore originario di Belluno non è facile capire.
Il caso dell’onorevole Bressa è emblematico di un modo di fare politica che la SVP guidata dall’onorevole Zeller ha da anni fatto proprio. Individuare singoli o gruppi ristretti di italiani da collocare in posizioni di vantaggio personale e utilizzare come rappresentanti politici della comunità italiana. I casi a livello locale sono meno ridondanti di quello paradossale dell’onorevole Bressa ma seguono la stessa logica. Carlo Costa per esempio che stacca annualmente assegni stimati nell’ordine di 400.000 euro oggetto ora di interpellanza da parte dei consiglieri dell’opposizione si colloca ai vertici del partito e svolge una funzione cardine di intermediazione tra sistema politico e economico provinciale e nazionale in virtù di un numero di cariche talmente alto da far chiedere a qualcuno come fisicamente sia possibile ricoprire tanti e tali ruoli da parte di una sola persona.
Ma è quasi l’intera oligarchia del Pd provinciale a essere interessata direttamente da posizioni di vantaggio personale nel ricoprire cariche decise formalmente “di concerto” ma nella sostanza univocamente dalla SVP.
L’aggressività della SVP nel determinare le rappresentanze politiche del gruppo italiano utilizzando l’enorme potere politico economico e sociale di cui dispone, costituisce una delle cause principali dell’allontanamento degli italiani dal voto. Il prossimo Comune a essere governato di questo passo dal partito di raccolta dei cittadini di lingua tedesca sarà Bolzano dove il sindaco Caramaschi, confondendo spesso la sua carica con quella di city manager, ha nei fatti oscurato la presenza e il contributo del Pd e ulteriormente indebolito la forza del partito che alle prossime elezioni rischierà di essere superato in termini di voti dalla stessa SVP.
La terza questione che lo spettacolo horror della presentazione delle liste per le elezioni politiche nazionali del Pd provinciale apre è quella del futuro della provincia e dell’Autonomia. Si può gestire un architettura delicatissima come quella autonomistica senza riconoscere un autonomia decisionale nella scelta dei propri rappresentanti ai diversi gruppi linguistici? Si può comprare finti rappresentanti che negoziano solo e esclusivamente per soddisfare i propri interessi lasciando crescere il rancore delle comunità che devono rappresentare? E’ possibile parlare di consapevolezza di un futuro autonomistico con una società spaccata in due su un fronte etnico? Non sarebbe ora di rottamare questo modo di fare politica e i politici coinvolti per lasciare spazio a una nuova stagione di rappresentanza vera degli interessi e di dialogo reale tra i gruppi?
L’Autonomia ha fino a oggi retto e prosperato perché è riuscita soprattutto con l’uso dei miliardi più che della lungimiranza a tenere sotto traccia il conflitto latente tra gruppi etnici. Ma le recenti uscite di destra tedesca e frange della SVP in tema di doppia cittadinanza, le rivendicazioni di nuove competenze in materia di ordine pubblico, il riemergere della questione della toponomastica lasciano intravedere come l’asticella delle richieste ormai è sfuggita completamente di controllo. Si può anche dire siano rivendicazioni legittime, e che il torto storico dell’annessione non è stato ancora dopo cento anni riparato. Sta di fatto che di nuovo il virus del nazionalismo, della rivendicazione identitaria e del razzismo sta dilagando in forme che rischiano di sfuggire di controllo e che si alimenta di uno strapotere e di una mancata rappresentanza del gruppo minoritario che è anticamera naturale del conflitto.
Bisognerebbe ricordare a tutti che oltre una certa soglia da negoziare con lo stato italiano non rimane più molto e che senza materia per negoziare il rischio è che rimanga solo rancore, frustrazione e nuove e più accese rivendicazioni. Ma sappiamo anche, purtroppo, che mentre le generazioni che hanno vissuto i drammi della guerra, del conflitto, delle opzioni, della migrazione forzata (è il caso di ricordare sia tedesca che italiana visto che si trattava di migrazione economica in larga parte) tendono a ricordare il passato e sono consapevoli dell’importanza di evitarne la riproposizione, le nuove generazioni hanno memoria corta e si lasciano affascinare da strade che si sa dove iniziano e non si sa dove finiscono.

Condivido la prima parte dell'analisi, ma non capisco l'altro argomento: se il gruppo locale di lingua italiana non riesce a fare squadra, se il PD locale è sotto controllo da Costa&co e non riesce ad emanciparsi dal braccio romano-fiorentino, è sempre la colpa d'Alfredo?

Mer, 01/31/2018 - 08:38 Collegamento permanente