“Ho finito dove tutto è cominciato”
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Quattro Olimpiadi, tredici medaglie mondiali, sedici medaglie europee, 31 volte campionessa italiana in varie specialità. La carriera e il palmarès di Eva Lechner lasciano di stucco. La campionessa di mountain bike, di ciclocross e, sì, anche di ciclismo su strada, a 39 anni dirà definitivamente addio alle due ruote alla fine dell’inverno. Intanto, sabato 24 agosto, ha corso a Collepietra l’ultima gara di mountain bike di sempre, la sua disciplina per eccellenza.
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SALTO: La sua ultima gara di mountain bike è stata la Südtirol cup, che è proprio la prima competizione a cui, da giovanissima, prese parte. Che sensazioni ha provato?
Eva Lechner: Ho finito dove tutto è cominciato. Il risultato non era importante, ma sono comunque riuscita a portare a casa un secondo posto. È stata una bella conclusione, la comunità della mountain bike mi ha dedicato un saluto e, vicino a me, nella mia ultima gara di questa specialità, c’erano i miei famigliari. Si è creato un bel clima.
Un saluto alla mountain bike che però non è un saluto definitivo al ciclismo e al mondo delle due ruote. Che progetti ha nel breve e lungo periodo?La disciplina che ho sempre sentito più mia è la mountain bike ma, negli anni, ho praticato anche altro. Dal 2009, per esempio, pratico ciclocross un po’ a singhiozzo. E questo inverno farò la mia ultima stagione. Anche su strada sono riuscita a togliermi qualche soddisfazione, ho partecipato alle Fiandre, alla Freccia Vallone, ho corso al Giro Donne e ho indossato il tricolore. Infine sono stata anche convocata ai mondiali di Varese 2008. Insomma, ho fatto belle cose, ma mi reputo un’atleta da fuoristrada. Mi diverto sul fango e sui sentieri.
In futuro mi piacerebbe rimanere nel mondo del ciclismo, dando una mano alle giovani donne che praticano questo sport.Nessun altro evento fa vivere le emozioni delle Olimpiadi
A proposito, si è spesso parlato della differenza salariale tra ciclismo maschile e quello femminile. Cosa ne pensa? E quanto ha contribuito nei suoi successi sportivi l’essere parte del Gruppo Sportivo dell’Esercito?
Il ciclismo maschile è senza dubbio più sviluppato, soprattutto in termini economici. Anche per questo ci sono molte più donne che entrano nei gruppi sportivi rispetti ai colleghi uomini. Quindi sono sostegni fondamentali per chi fa sport, ad esclusione di calcio e tennis. Ultimamente, però, il ciclismo femminile su strada si sta ampliando molto.
Ha partecipato a ben quattro edizioni delle Olimpiadi nella disciplina “cross country”: Pechino, Londra, Rio de Janeiro e infine Tokyo.
I Giochi sono speciali. L’emozione che si prova durante le cerimonie è unica: vedere tutte quelle persone rende l’idea dell’enormità di questo evento. Ho incontrato atleti provenienti da tutte le parti del mondo: si rimane davvero impressionati. Nessun altro evento fa vivere quelle emozioni.
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Alcuni ricordano che nel 2018 subì un infortunio perché andò a cavallo. L’equitazione è ancora oggi una sua passione?
Parlare di infortunio l’ho trovato eccessivo. Sono semplicemente caduta da cavallo e, successivamente, non ho praticato ciclismo perché avevo meno appuntamenti e gare, non perché mi fossi fatta male. Sono stata molto fortunata: non ho mai subito infortuni gravi durante la mia carriera. E, comunque, sì, andare a cavallo mi fa sentire bene, è qualcosa che coltivo ormai da tempo e che continuerò a fare.
Il momento più bello di tutti questi anni, sportivamente parlando?
Senza dubbio l’argento al mondiale del 2020. È stato il mio miglior risultato. Arrivavo da un periodo difficile e, nel finale di gara, sono riuscita ad avere la meglio sull’australiana. Vincere a 35 anni mi ha emozionato ancora di più. Non pensavo di poter arrivare così in alto a quell’età. Figuriamoci vincere una medaglia!
Ho lavorato con diversi mental coach: trovare quello giusto non è semplice
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Cosa l’ha portata a vivere un momento difficile?
Prima delle olimpiadi di Rio 2016 ho sofferto di overtraining. Non è stato il periodo migliore per trovarmi in quella situazione. Ci ho messo parecchio tempo a recuperare. Ma, in qualche maniera, ho continuato ad allenarmi. Ritornare ad alti livelli non è stato facile, anche per questo ho gioito moltissimo per la medaglia ai mondiali 2020.
È stato necessario un aiuto psicologico?
Si, durante la mia carriere senz’altro. Ho lavorato con diversi mental coach: trovare quello giusto non è semplice. Ognuno, però, mi ha dato qualcosa che mi ha arricchita e mi sono sempre portata dietro. Un po’ come i consigli di un allenatore: si imparano cose nuove che rimangono a lungo. L’allenamento infatti è anche mentale, non solo fisico.
Lei è cresciuta in una famiglia molto credente. Come ha influito nel suo lavoro?
Assolutamente. Ad esempio mi ha aiutato a vedere il ciclismo non come un lavoro ma come un talento da coltivare che mi è stato donato da Dio. Ho sempre cercato di pedalare con gioia, senza mai sentire il peso di “lavorare” e allenarmi a tutti i costi. È una opportunità non scontata avere il proprio hobby come professione. Sono molto grata a Dio per questo.