Società | Stereotipi

Women For Who?

L’Expo di Milano dedica una sezione intera alle donne che sembra porsi come un crocevia di luoghi comuni consolatori ancora ben lontani dall’essere superati.

La costola del mega evento dell’Expo 2015 di Milano saranno le donne, depositarie naturali di un compito specifico che è quello di “nutrire” (nutrimento infatti è una delle parole d’ordine della campagna mediatica dell’evento internazionale, insieme a sostenibilità ed equilibrio). La sezione del sito dedicata appositamente alle donne si chiamerà ">We-Women for Expo, una piattaforma che connetterà le parole, le ricette, le idee di tutte coloro che si uniranno per far crescere l’Italia, per dimostrare che sono loro a tramandare la tradizione di un popolo. Sulla pagina in questione si legge: “dire WE significa trasformare l’impegno di ognuno in un grande patrimonio collettivo. Vuol dire imparare a parlare al plurale. Le donne sanno come si fa. Saranno loro a spiegarlo al mondo”. Qualche femminista di vecchio (ma anche di nuovo) stampo forse avrebbe qualcosa da ridire sull'argomento, sembra ancora di sentirle mentre affollano le strade al grido di “non siamo le costole di nessuno!”.

 

 

Personalmente non credo affatto nel femminismo radicale degli anni 70, ma in ogni caso lo spot pensato per Women for Expo fa riflettere molto. Stilizzare quelle donne, farle apparire come eterne appagate solo dall'incarico naturale del concepimento, del dare la vita, di sacrificare loro stesse per la costruzione di una collettività, vuol dire favorire quel tipo di concezioni che le donne oggi generalmente respingono, impegnate - almeno molte di loro - per la difesa della propria legittimità di genere, rifiutando ogni relegazione a qualunque ruolo pre-costituito socialmente: la madre, la moglie, la lavoratrice sottopagata e sfruttata.

Non è solo il video che gira sul web a ribadire questi concetti stantii, ma anche alcune rappresentanti del “gentil sesso” stesso; la giornalista Cristina Parodi, ad esempio, sulla pagina facebook del portale scrive: “la donna, riguardo ad argomenti come cibo e nutrimento, ha più sensibilità, perché la vita ce l’ha dentro e la crea”. Una frase che un po’ fa rabbrividire, pericolosa perché rimanda a un immaginario ancora monolitico in questo Paese e in cui si pretende che la donna si rispecchi, nel quale non sono incluse le possibilità di dedicarsi a professioni altre da quelle della famiglia o a posizioni lavorative di un certo livello, ma continua a ribadire che il luogo della donna è la casa, lì può farla da padrona; la donna manda avanti la famiglia, sacrifica la propria esistenza con una vocazione imprescindibile al concepimento e alla crescita della prole. Messaggio veicolato proprio dallo spot di Women for Expo, dove ancora una volta sono le donne quelle che devono rimboccarsi le maniche ed insegnare a tutti e tutte che loro “lo sanno fare” perché loro hanno la vita nel grembo, regine indiscusse del focolare. L’Expo 2015 di Milano si costruisce e pretende di essere la vetrina dell’Italia nel mondo. Mi chiedo, quindi, è così che vogliamo mostrarci a quel mondo? È questa la vetrina che vogliono le donne?

Nello spot si dice le donne possono essere artiste o scrittrici. Non si menzionano altri lavori a cui la donna potrebbe aspirare,  come se le più vaste possibilità a disposizione del genere maschile fossero loro precluse. È questo che vogliamo far vedere al mondo? Io credo che dietro le vetrine dei negozi, dei vari Expo, delle case ci siano donne forti, indipendenti, che vogliono essere libere di scegliere, di desiderare, che hanno più capacità rispetto a quella di poter nutrire altre generazioni di donne-casalinghe. Io credo che dietro il vetro esistano donne che spesso passano inosservate e che vivono schiacciate da una società che non concede loro le stesse opportunità riservate alla controparte. Di fronte all’idea (pre)costruita dentro We-Women for Expo, mi viene da ribattere: di quali donne stiamo parlando? O meglio: di quali donne non stiamo parlando o non vogliamo parlare?