Società | Storie

“Non voglio prostituirmi”

Helena, una giovane profuga, vive a Trento e ogni giorno viene a Bolzano per cercare un lavoro che non riesce a trovare. Ma fare sesso a pagamento non è un’opzione.

Helena ha 24 anni e ha visto più cose di quante un essere umano dovrebbe mai vederne in una vita intera. Helena (nome di fantasia) è una profuga, viene dalla Nigeria e, dopo essere fuggita in Libia, ora vive da tre anni a Trento. È arrivata in Italia su una di quelle imbarcazioni di fortuna che tentano continuamente di ammansire il Mediterraneo ostile, che invece troppo spesso si trasforma in fossa comune. Così spesso che l’abitudine quasi disattiva le coscienze stregandoci con l’osservazione muta e una riprovevole impassibilità. Helena è alla disperata ricerca di un lavoro, vive alla giornata e ha imparato presto che fare soldi “facili” è una strada possibile se si sceglie di percorrerla.

Helena, qual è la tua storia?
Sono originaria della Nigeria, ma sono scappata più di cinque anni fa perché lì non potevo più vivere. Le gente moriva di fame per strada e avevamo sempre paura della guerra. Laggiù c’è ancora la mia famiglia, le mie tre sorelle e i miei due fratelli ma io non ci tornerò mai più. Quando me ne sono andata mi sono stabilita in Libia dove ho vissuto per due anni. Stavo in una casa insieme ad altre quattro persone e per sopravvivere lavavo i vestiti.

E com’era la situazione in Libia? Ti sentivi al sicuro?
Prima della caduta di Gheddafi si stava bene, certo non era semplice ma riuscivo ad arrangiarmi. Quando è morto Gheddafi è scoppiato l’inferno, si è aperta una profonda crisi, i gruppi radicali islamici erano una minaccia costante e temevo per la mia vita tutti i giorni, non potevo più nemmeno lavorare.

Cos’hai fatto allora?
Sono fuggita anche da lì. Sono riuscita a salire su un barcone diretto in Italia. Sono stata in mare per tre giorni, da sola in mezzo a una folla di sconosciuti, ho visto molte persone morire sfiancate dalla fame, dalla sete e dal freddo, ma l’unica cosa che pensavo è che dovevo farcela.

E poi cos’è successo?
Sono arrivata in Italia e ho girovagato fino a fermarmi a Varese, alla Caritas. Ma lì non è stato facile, parlo poco l’italiano e loro non sapevano l’inglese, e siccome non riuscivamo a comunicare non venivamo trattati bene. Avere la pelle nera è ancora sinonimo di minaccia e di criminalità. È stato un periodo molto difficile. Poi mi sono spostata a Trento ma non sono più andata alla Caritas. Ho un permesso per restare in Italia cinque anni ma ho bisogno di un lavoro e a Trento, dove vivo ormai da tre anni, ci sono già troppi rifugiati. Anche trovare un impiego come cameriera è un’impresa, la gente non si fida.

Hai tentato la fortuna in altre città a quel punto?
Sì, vengo tutti i giorni a Bolzano sperando di trovare qualcosa, ho l’impressione che qui ci sia più possibilità ma la mia condizione oltre al fatto che parlo poco l’italiano e per niente il tedesco mi ha aperto solo strade che non voglio percorrere.

Che intendi?
Non riuscendo a trovare un’occupazione il più delle volte per poter sopravvivere chiedo l’elemosina. Ma alla gente qui non piace se vai in giro a mendicare, ti guardano storto. Capita però che qualcuno mi si avvicini per chiedermi di fare sesso in cambio di soldi.

È accaduto spesso?
Sì, ma non voglio farlo, non posso neanche pensarci.

Diresti che c’è molta ostilità nei tuoi confronti?
Mi sento più sicura qui rispetto a quando stavo a Varese. Certo capita che la gente mi insulti, a volte anche pesantemente, ma ormai non ci faccio neanche più caso, devo poter credere di costruirmi un futuro, qui.