Società | Design e informazione

L'informazione ai tempi del design

Matteo Moretti, docente alla facoltà di Design e Arti dell'unibz, racconta il progetto visualjournalism.unibz.it. A luglio la prima summer school a Bolzano.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Raccontare fenomeni complessi e dalle molteplici sfaccettature rendendoli comprensibili e attrattivi, ma senza semplificazioni. Tutto questo con interventi di design, anche multimediale, avvalendosi della collaborazione di giornalisti, informatici ed esperti del settore e soprattutto con l’obiettivo di informare in maniera efficace, provando a stimolare una riflessione sul tema. Questa l’essenza dei lavori raccolti all’interno della piattaforma visualjournalism.unibz.it. Progetti realizzati dagli studenti, frutto della sinergia tra diversi insegnamenti impartiti all’interno della facoltà di Design e Arti dai docenti Kris Krois, Matteo Moretti, Gianluca Seta e Lisa Borgenheimer, che hanno saputo creare un “laboratorio permanente” di ricerca in visual journalism, alimentato dalle diverse collaborazioni tra le loro discipline. 

“Il progetto - racconta Matteo Moretti, docente di Interactive & motion graphics all’unibz  - nasce dal prof. Kris Krois, che negli anni ha portato avanti la sua ricerca sulla visualizzazione dei dati in ambito divulgativo assieme ai differenti collaboratori (oltre a me, Olocco, Seta e Borgenheimer). Nel corso degli ultimi semestri abbiamo ulteriormente ampliato l’ambito di ricerca, includendo giornalisti ed esperti del settore trattato, proprio per avere una maggiore profondità di indagine e lavorare in maniera più consistente sugli aspetti divulgativi. Cosi qualche anno fa Kris Krois ed io ci siamo detti “perchè non raccogliamo tutti i lavori fatti finora, affinché siano fruibili ad un pubblico più ampio?” e cosi è nata la piattaforma in questione, che raccoglie i progetti realizzati dagli studenti negli ultimi anni”.

Inoltre, l’1 e 2 luglio si terrà proprio all’Unibz la prima summer school in visual journalism con conferenze aperte a tutti e alcuni workshop dedicati ad un gruppo selezionato di 20 partecipanti. Tra gli ospiti, Andrea Nelson Mauro, giornalista e cofondatore di dataninja.it e datamediaHub.itAlexandre Léchenet, giornalista del quotidiano francese Liberation e Mirko Lorenz, giornalista e ideatore dell’app Datawrapper.

“Dal punto di vista dell’insegnamento - prosegue Moretti -  forniamo parallelamente sia strumenti tecnici che culturali: in base al tema ed al pubblico che si vuole raggiungere ci sono linguaggi e media diversi, ognuno con le sue specificità. Dopo un primo periodo in cui raccontiamo, ad esempio, agli studenti il contesto in cui nasce la data visualisation e come questa si sia evoluta da strumento cognitivo a strumento informativo, si passa alla scelta del tema ed alla conseguente ricerca”.  La parte più interessante, ma anche più delicata, riguarda proprio la fase di ricerca: “Il designer stesso  - racconta Moretti - diventa un portatore “sano” di informazione: significa lavorare a stretto giro con i giornalisti e con gli esperti del settore per costruirsi il bagaglio culturale necessario per poter poi sintetizzare in forma visiva l’argomento. Questa è anche una parte molto delicata: è sempre difficile districarsi tra dati, leggi, storie, esperienze personali, cliché e luoghi comuni; i nostri studenti si immergono totalmente nel tema, subendo anche il classico “information overwhelming” che affligge buona parte dei lettori odierni e che il nostro lavoro cerca di ridurre, fornendo un lavoro il quanto più leggero possibile, conciso, che non semplifichi e che sia in grado di restituire la complessità dell’argomento trattato.Durante questa fase, gli studenti imparano anche a estrarre storie attraverso i dati, scovando analogie, curiosità o controsensi che altrimenti sarebbero difficili da individuare”. Successivamente, si passa quindi alla produzione, “una fase in cui ogni scelta è dettata dal fine principale, informare in maniera efficace senza appesantire o annoiare cercando inoltre di stimolare una riflessione sulla tematica trattata”.

 

Tra gli ultimi elaborati prodotti, Moretti ne illustra due, “Psicosi e lenticchie” e #parliamone (qui un articolo già uscito su Salto, ndr): “Per quello che riguarda la mia parte di insegnamento, gli ultimi lavori realizzati trattano il tema dell’informazione online, e come questa, frequentemente, sia veicolo di disinformazione. Sembra un controsenso, ma è così. Sempre più spesso le notizie che leggiamo non sono precise: non riportano le fonti e magari contengono veri e propri errori nei contenuti. In certi casi basta un’imprecisione per cambiare il senso di una notizia. In questo contesto, due progetti che i nostri studenti hanno realizzato sono molto calzanti.

"Psicosi e lenticchie” nasce da un’analisi svolta dalla giornalista Marianna Bruschi che ha raccolto nel mese successivo agli attacchi di Parigi una serie di falsi allarmi bomba apparsi in Italia. Oggetti quotidiani come valige, ombrelli, barattoli, dimenticati sui binari di qualche stazione, in aeroporto o semplicemente per strada, da un momento all'altro sono diventati portatori di terrore. Una volta fatti brillare hanno ovviamente rivelato la propria natura innocua. Da questo lavoro, nasce così il progetto di Simone Melis ed Andrea La Scala, coordinati dal prof. Camuffo e da me, che facendo tesoro dei dati raccolti dalla giornalista, hanno portato avanti la ricerca, per tutto il mese successivo, creando poi un’installazione nello spazio pubblico. Il progetto, nonostante un titolo apparentemente ironico, apre un dibattito su due argomenti molto importanti”, spiega Moretti. “Come la paura modifichi la nostra nostra vita, a partire dalla percezione di oggetti d’uso comune e come l’informazione online funzioni da ripetitore ed amplificatore di questa, contribuendo suo malgrado a creare una realtà parallela”. 

"Assistiamo sempre più spesso ad uno scollamento tra la realtà percepita quotidianamente e quella raccontata da alcuni media", aggiunge Moretti. "Questo non aiuta affatto il quieto vivere sociale. Un esempio viene da un secondo progetto, #parliamone, in cui Noemi Biasetton ha creato un sistema per aprire un dibattito sulla qualità dell’informazione online e cercare di sconfiggere alcuni dei più grossolani cliches sulla migrazione. Attraverso la collaborazione con “Valigia Blu” e “Open Migration”, due tra i progetti online più importanti quando si parla di giornalismo e informazione trasparente sulla migrazione, Noemi ha potuto cosi formarsi e successivamente coinvolgere alcuni tra i più importanti youtuber italiani per far raccontare loro, per un giorno, qualcosa di diverso ed importante. Youtuber che di solito recensiscono film o videogiochi, hanno deciso “impegnarsi”, sfatando alcuni dei più evidenti cliches che riguardano i migranti, come quello relativo al fatto che “guadagnano 35€ al giorno”, oppure che “scappano tutti dalla guerra”, o ancora che "ci stiano rubando il lavoro”. 

Raggiungere un pubblico più ampio, però, non è sempre facile e talvolta c'è il rischio che la platea sia composta sempre da persone con un grado di informazione e consapevolezza medio-alto: “ Il rischio di rivolgersi sempre a persone affini al tema trattato è una realtà, non è un rischio”, commenta Moretti.  “Leggiamo notizie affini al nostro pensiero e che in qualche modo gratifichino e rinforzino la nostra posizione, le nostre sicurezze. Questa attitudine ovviamente non garantisce una visione più ampia e variegata dell’argomento che leggiamo. Proprio per questo motivo stiamo cercando nuove forme di divulgazione che permettano di andare a parlare con settori della società che difficilmente riusciremmo a contattare. "Psicosi e lenticchie" lo fa andando in strada, aprendosi ad un pubblico eterogeneo. “#Parliamone", invece, agisce online, attraverso gli youtuber, proprio perchè vuole rivolgersi ai giovani, indistintamente dal loro orientamento politico. Bisognerebbe intervenire con il proprio progetto proprio dove il luogo comune nasce, ma no né sempre possibile, ed a volte anche se accade, non è detto che serva a sconfiggerlo. L’importante è  cercare di stimolare una riflessione, per quanto possibile; creare quello squilibrio che ci porti a mettere in dubbio la nostra posizione: non è tutto vero quel che leggiamo”.