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Politica | Avvenne domani

Il laboratorio degli astenuti

Qualche considerazione sul voto di Laives e dintorni
  • A metà degli anni 90, in quel di Bronzolo, fu eletto un Sindaco, Georg Mamming, che non aveva la tessera della Südtiroler Volkspartei. La cosa destò grande interesse perché costituiva un’eccezione ad una regola, che allora pareva infrangibile, secondo la quale, tra i sudtirolesi, solo i primi cittadini con l’imprimatur della Stella Alpina potevano assurgere a cariche di governo. Si parlò allora di quel piccolo paese della Bassa Atesina come di una sorta di laboratorio dove la politica distillava nuove mescolanze che avrebbero potuto trovare ulteriore fortuna. Così non fu e noi, giornalisti che bazzicavano il mondo della politica, ci rendemmo conto che il laboratorio, se mai c’era stato, iniziava e finiva sul territorio di quel Comune e tutta la vicenda nasceva e moriva sul contestato progetto di una discarica degli inerti che qualcuno, a Bolzano, aveva deciso di piazzare proprio a monte del paese. Torna in mente la storia nei giorni in cui ci si è affrettati a interpretare l’esito delle elezioni comunali di Laives come una sorta di possibile anticipazione, riecco spuntare il laboratorio, di equilibri inusitati che potrebbero formarsi il prossimo anno a Bolzano e in futuro anche altrove.

    Il ragionamento può avere un suo fondamento solo se lo si ricollega a quanto avvenne, sempre a Laives, una decina d’anni fa. Allora, in effetti, pochi chilometri a sud di Bolzano si registrò un sommovimento politico che spalancò gli orizzonti su quanto sarebbe successo poi anche a livello provinciale. Avvenne allora, e lo ricordiamo per i distratti o i troppo giovani, che in piena bagarre per il ballottaggio tra la sindaca uscente di centro-sinistra Liliana Di Fede e il suo avversario di centrodestra Christian Bianchi, la Südtiroler Volkspartei, anche allora guidata dal trionfatore nel voto di domenica Giovanni Seppi, buttasse a mare senza troppi complimenti i vecchi alleati e inaugurasse una nuova alleanza con la destra italiana. Uno scatto brutale, reso ancor più penoso, per chi dovette prendere atto del benservito, dal fatto che all’epoca Liliana Di Fede era anche la Segretaria provinciale del PD, allora alleato della SVP in Provincia. La svolta di Laives anticipò, assieme a quelle di altri comuni come Bronzolo, quel che doveva succedere a Palazzo Widmann del 2018 con la fine dell’alleanza tra Südtiroler Volkspartei e centro-sinistra e l’ingresso in maggioranza della Lega di Salvini, affiancata e poi doppiata in questa legislatura dai Fratelli d’Italia.

    In attesa dell’esito tutt’altro che scontato del ballottaggio tra la candidata del centrodestra e il vittorioso esponente della SVP, ci si domanda dunque se gli equilibri che andranno a crearsi potranno in qualche misura prefigurare quello che potrebbe accadere tra un anno a Bolzano.

  • La festa dell’astensione

    Una cosa è comunque ben chiara sin d’ora: il mutamento degli equilibri politici che si è registrato domenica scorsa a Laives è determinato assai più dalla crescita esponenziale del numero di astenuti che dallo spostamento di scelte di voto da un partito all’altro. Proviamo, come al solito, a tornare indietro nel tempo. Alle elezioni politiche del 2006, meno di vent’anni fa quindi, a Laives andò a votare l’89,6% degli aventi diritto. Alle comunali del 2000 la percentuale era di poco inferiore, 81,3%. La percentuale delle affluenze rimase abbastanza alta per parecchio tempo: alle politiche del 2018, sempre a Laives, andò a votare il 79% degli aventi diritto. Poi, in un ipotetico grafico, la curva precipita verso il basso. Alle comunali del 2020 l’affluenza al voto è solo del 66,3% e scende al 57,8% alle ultime provinciali. Domenica, come tutti sanno, ci si è fermati al 52,4%. Non occorre possedere doti profetiche per ipotizzare che la percentuale potrebbe scendere sotto il “muro” del 50% con il ballottaggio, per non parlare del voto europeo che tradizionalmente infiamma poco i cittadini-elettori.

    La sequenza riguarda Laives ma potremmo riproporla, con qualche lieve differenza nei numeri, per tutti i centri della provincia dove vive la maggior parte della popolazione di madrelingua italiana. Un altro dato incontrovertibile è, per l’appunto, quello che riguarda la ripartizione etnica in questo fenomeno. Con l’unica eccezione delle provinciali del 2018 che videro in effetti una marcata disaffezione al voto anche nel mondo di lingua tedesca, la progressiva erosione dell’attitudine a deporre la scheda nell’urna riguarda sostanzialmente solo il gruppo italiano.

    Sulle cause del fenomeno, anche all’indomani del voto di domenica, gli esponenti del mondo politico si sono impegnati in analisi che spesso risentono ancora dell’acrimonia tra liste concorrenti tipica di una campagna elettorale ancora in corso. In realtà, se ci si permette di guardare alle cose in una prospettiva appena un po’ più vasta di quella della singola località, si vede facilmente come il calo continuo dell’afflusso al voto riguardi tutti i centri del nostro paese. Domenica, ad esempio, si è votato di meno anche a Rovereto dove nel centrodestra non c’erano le divisioni di Laives. Il fatto è che l’elettorato italiano e sempre meno interessato ad esprimere un voto, sia che si parli di elezioni nazionali ed europee sia che ci sia da decidere il futuro governo di un comune che pure, in teoria, dovrebbe essere una dimensione talmente piccola e vicina al cittadino da invogliarlo a prendere una posizione e a fare delle scelte.

    Sicuramente in Alto Adige il fenomeno, con la distinzione etnica di cui si diceva, assume caratteristiche del tutto particolari. In un’autonomia che impone in pratica il governo congiunto dei vari gruppi linguistici il fatto che uno di essi si ritiri su un Aventino di sfiducia e di disinteresse non può che prefigurare un clima politico sempre meno sereno.

  • Disagiati o disinteressati?

    Per sgombrare il campo da una questione preliminare, va detto subito che il fatto che anche domenica a Laives si sia verificato il travaso di un numero rilevante di voti italiani nell’urna SVP è da considerare del tutto normale. Succede da tempo, specie nelle zone mistilingui che il voto vada oltre gli schieramenti etnici. I voti sudtirolesi alla Lega di Salvini o addirittura quelli, particolarmente presenti nelle valli ladine per Berlusconi ne sono esempi storicamente accertati, a prescindere alla presenza di liste o partiti che hanno fatto la loro interetnicità una bandiera come i Verdi.

    Il secondo elemento da prendere in considerazione è quello relativo al cosiddetto voto etnico. È abbastanza evidente che quanto meno in quest’ultimo decennio le motivazioni che spingevano una parte rilevante dell’elettorato italiano ad esprimere il famoso disagio riversando una massa di voti cospicua su quei partiti di centrodestra che, in Alto Adige, avevano fatto della contestazione ai principi fondamentali dell’autonomia una loro ragion d’essere politica, sono venute abbondantemente meno. Si vota dunque sulla base di motivazioni che sono le stesse che valgono al di fuori dei confini provinciali e, come altrove, per le stesse motivazioni si sceglie di non andare più a votare. Sembra avere un aplomb limitato anche il richiamo, partito anche dopo le elezioni di domenica, sulla necessità di avere italiani insediati nei posti di maggior potere o responsabilità. Si tratterebbe ora di capire, ed è una questione ormai irrisolta da molto tempo, quali siano realmente le questioni aperte sul tavolo per ottenere una maggior tutela degli italiani come gruppo linguistico. Un tempo si parlava apertamente di un ammorbidimento se non addirittura di un’abolizione della proporzionale etnica. Nel famoso «pacchetto degli italiani» proposto senza successo dai parlamentari del centrodestra in tempi non lontanissimi si parlava di un aumento di dotazioni finanziarie di competenze per Bolzano e di una sorta di ritorno alla dimensione regionale per altre materie. Tutte questioni rimaste sotto traccia se non del tutto assenti per dibattito politico di questi ultimi mesi. Si tratta di problemi che faticano poi notevolmente ad essere calati nella realtà di comuni come Laives dove sono prioritarie le questioni riguardanti i servizi sociali, la viabilità, le scelte urbanistiche. 

    Quella di riportare ai seggi elettori sempre più renitenti sembra essere quindi una missione ardua se non impossibile e il cambiamento rischia di innescare in una situazione sempre molto specifica come quella altoatesina dei cambiamenti inimmaginabili solo fino a qualche anno fa.

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Massimo Mollica Lun, 06/03/2024 - 09:06

Sempre un’ottima riflessione, che fa scaturire una serie di spunti di approfondimento.
Da cittadino di questa terra posso dire che la politica locale tutta è sempre più slegata dai problemi reali della popolazione. I soggetti politici sono SEMPRE gli stessi, ed è difficilissimo qualsiasi ricambio generazionale. È da parecchio tempo che non si ascolta più la popolazione, e i partiti stessi, o movimenti, non si pongono più la domanda di chi e cosa vogliamo rappresentare. E qui si capisce la nascita delle liste civiche. La disaffezione è più marcata nella realtà italiana ma sta arrivando pure in quella tedesca. Dove una SVP è intenta tutta a cercare di fermare qualsiasi cambiamento evolutivo, come se anche fra cent'anni potessero esistere ancora i contadini, i vigneti e un turismo, di cui non si capisce bene ancora il confine. Mentre in realtà il mondo evolve, e in qualsiasi campo, dalla medicina, nella tecnologia, nei trasporti e in tanti altri aspetti. E tale cambiamento interessa tutti noi ogni istante della vita, volenti o no. È un mondo sempre più globalizzato e interconnesso e quello che succede a migliaia di chilometri interessa sempre di più noi.
La politica non si è evoluta ma semmai ha avuto un'involuzione perché non è cambiata ma si è limitata a definire degli slogan sterili e a posizionarsi per mera tradizione. E non è l'unica, perché penso anche alla realtà dei sindacati, che si trova nella medesima situazione. Oggi nel 2024a non si capisce minimante perché esistano una serie di sigle quando il sindacato dovrebbe essere UNICO e DEMOCRATICO al suo interno. Non esistono più ideologie che giustifichino una divisione.
La morale di tutto è che chi non cambia, sempre e comunque, è destinato a estinguersi.
Il proble a serio è che se la gente non va a votare la democrazia muore. E se non c'è democrazia arriva la dittatura. Ma se chi fa politica non lo capisce non posso farci nulla.

Lun, 06/03/2024 - 09:06 Collegamento permanente
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Luca Bassi Lun, 06/03/2024 - 15:51

Concordo per l'ennesima volta con il commento del Sig.Mollica. Commento che risulta una lucida analisi della situazione altoatesina attuale, come lo è soprattutto l'articolo del Dott. Ferrandi.

Lun, 06/03/2024 - 15:51 Collegamento permanente