Politica | Africa occidentale

La Guinea-Bissau dopo il colpo di stato

La testimonianza della cooperante Erica Barbieri, tra blackout informativo, accuse di auto-golpe e un governo militare di transizione che getta il paese nell'incertezza.
Guinea Bissau
Foto: Erica Barbieri
  • Mercoledì scorso la Guinea-Bissau, paese dell’Africa occidentale con poco più di due milioni di abitanti che fu colonia portoghese sino all'indipendenza, è sprofondata nell’ennesima crisi istituzionale della sua storia recente. Un gruppo di militari ha annunciato di aver preso il controllo del paese, di aver deposto il presidente uscente Umaro Sissoco Embaló, chiuso le frontiere, imposto il coprifuoco e sospeso il processo elettorale che era in corso dopo le elezioni di domenica 23. A vivere da vicino le ore concitate del golpe è Erica Barbieri, cooperante italiana attualmente in Guinea-Bissau, che racconta a SALTO giornate di confusione e totale incertezza, con l’assenza di informazioni chiare e verificate – nonché la chiusura dei social network e delle radio.

  • Erica Barbieri, laureata in diritti umani, ha svolto il suo lavoro di ricerca tesi in Guinea-Bissau durante le elezioni presidenziali 2019. Ha lavorato per Operation Daywork a Bolzano. Nel 2023 è tornata in Guinea-Bissau dove attualmente lavora nel monitoraggio di dati di alcuni progetti di cooperazione internazionale.

    Foto: Erica Barbieri
  • Dalla campagna elettorale alle tensioni post-voto

    Come detto, in Guinea Bissau si sono tenute le elezioni generali. Secondo Barbieri, in un clima sorprendentemente calmo: “La campagna elettorale era iniziata ai primi di novembre ed era andata bene: si è svolta in un clima pacifico, niente episodi drammatici come nel passato. Neanche dieci anni fa era stato trovato morto un candidato alla presidenza… questa volta no. C’è musica, comizi pieni di gente, un’atmosfera festosa”. Domenica scorsa si era votato per il primo turno delle presidenziali e per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale Popolare, ovvero le parlamentari, con la presenza di osservatori di ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale), dell’Unione Africana e della CPLP, la Comunità dei paesi di lingua portoghese.

  • Foto: Wikimedia
  • Si è votato regolarmente dalle 7 alle 17, e lo spoglio è iniziato subito dopo. Qui è quasi un evento collettivo: i seggi sono all’aperto, sotto un albero o in mezzo alla strada, e i cittadini assistono in diretta allo spoglio accanto agli osservatori. È un processo molto trasparente”. Ma qualcosa si è incrinato nel passaggio successivo: il conteggio centralizzato. “Una volta terminato lo spoglio ai seggi, i fogli firmati dai presidenti dovevano essere consegnati ai commissari della Commissione elettorale nazionale… ed è lì che qualcosa non ha funzionato”, racconta Barbieri.

    Secondo diverse testimonianze, continua la cooperante italiana, i commissari incaricati del conteggio finale sarebbero stati nominati “in fretta e furia” solo pochi giorni prima. Non esistono conferme ufficiali, ma la tensione a livello regionale aveva già iniziato a salire. “Nelle sedi regionali delle commissioni elettorali c’erano già stati incidenti: cittadini che avevano assistito allo spoglio non si fidavano dei nuovi commissari. In alcune città giovani sono stati allontanati con la forza mentre chiedevano trasparenza”. A Bissau, però, questi segnali non erano stati presi sul serio. “Probabilmente erano un preludio di quello che è successo poi, ma il segnale è stato sottovalutato dalla capitale”, spiega Barbieri a SALTO.

  • Gli spari a mezzogiorno

    Il momento della rottura arriva mercoledì a metà giornata: “Verso mezzogiorno e quaranta abbiamo cominciato a sentire degli spari. Non saprei dire che armi fossero, ma si sentivano colpi pesanti, a volte come esplosioni. Sui social giravano video di militari che sparavano in aria da edifici in costruzione”. Gli spari provenivano dalla zona del palazzo presidenziale e dalla sede della commissione nazionale elettorale. La popolazione è fuggita in massa. “Era un orario di punta: le scuole stavano per far uscire i bambini. C’è stato un grande fuggi-fuggi”.

  • Il comunicato del cosiddetto Alto Comando Militare per il Ripristino della Sicurezza Nazionale e dell’Ordine Pubblico istituito in Guinea Bissau

    1. Assumere la pienezza dei poteri dello Stato della Guinea-Bissau.
    2. Deporre immediatamente il Presidente della Repubblica.
    3. Chiudere, fino a nuovo ordine, tutte le istituzioni della Repubblica.
    4. Sospendere, fino a nuovo ordine, le attività di tutti gli organi di comunicazione sociale (social media).
    5. Sospendere immediatamente il processo elettorale in corso.
    6. Chiudere le frontiere terrestri, marittime e lo spazio aereo nazionale.
    7. Stabilire il coprifuoco obbligatorio dalle 19:00 alle 06:00.
  • Dopo circa due ore, il silenzio. Il processo elettorale è stato interrotto, senza annunciare nemmeno gli eletti in Parlamento, nel pomeriggio la televisione di stato ha trasmesso il comunicato in punti della Giunta militare, ovvero dei golpisti: il paese era sotto il controllo dell’Alto Comando per il Ripristino della Sicurezza Nazionale e dell’Ordine Pubblico. Il presidente Embaló ha confermato di essere stato destituito e arrestato con altre figure di governo ed esercito. È stato nominato un presidente ad interim: il generale Horta Nta Na Man, alleato storico dello stesso Embaló. “Hanno letto un elenco di sette indicazioni obbligatorie per la popolazione. È una sorta di legge marziale, anche se chiamarla così è un po' eccessiva”, spiega Barbieri. Ma è l’informazione a essere crollata per prima: “Oltre a chiudere i social network, sono entrati nelle maggiori radio del paese e hanno intimato di interrompere le trasmissioni. Qui quasi tutto passa dalla radio: ora siamo completamente isolati, in una bolla”.

  • Le reazioni al colpo di stato

    I militari hanno detto di aver agito per prevenire un presunto piano di destabilizzazione, forse legato a reti del narcotraffico – problema cronico del piccolo paese. L’opposizione, invece, sostiene che sia stato Embaló stesso a orchestrare un colpo di stato “preventivo” per evitare l’annuncio dei risultati e non lasciare il potere. Barbieri riporta a SALTO ciò che circola nel paese: “Le voci raccontano che Embaló temesse di aver perso e non volesse che il risultato fosse ufficializzato. Altri dicono che per la prima volta nella storia il PAIGC, il partito che guidò la lotta di liberazione per l’indipendenza, era stato escluso dalla competizione e che qualcuno voglia ora invalidare le elezioni”. E aggiunge: “Qualcuno sostiene sia una farsa: non c’era motivo per creare tutto questo caos se non quello di mascherare un risultato elettorale scomodo”.

  • Un villaggio rurale in Guinea-Bissau: chiamato "tabanka" in lingua creola. Foto: Erica Barbieri
  • Importante del racconto di Barbieri è la percezione della gente comune, soprattutto fuori dalla capitale. “Per una persona che vive in un villaggio (“tabanka” in lingua creola) – ovvero la maggioranza nel paese – questo comunicato non fa paura né cambia la vita. Chi prende il potere non cambia la vita dell’ultimo del villaggio che non ha accesso alle istituzione. Le istituzioni non sono decentralizzate: per qualsiasi cosa devi andare in città. L’unico ufficio passaporti è in capitale”. Lo stesso coprifuoco ha un impatto quasi nullo: “La maggior parte delle persone nei villaggi vive secondo il sole. Se non hai elettricità, alle 7 di sera sei già in casa”. La vera ferita, secondo Barbieri, è la sospensione dei processi democratici: “La gente si è mobilitata per andare a votare: bloccare tutto così, all’improvviso, è un tradimento. Ma il timore è di un’altra lunga impasse politica e un ritorno all’instabilità economica”.

    La Guinea-Bissau è uno degli stati più poveri al mondo: il 40% della popolazione vive con meno di 3 dollari al giorno, un bambino su tre non va a scuola e l’agricoltura è il settore dominante. Dal 1974 a oggi ci sono stati quattro colpi di stato riusciti, diversi tentativi falliti e un’alternanza continua di governi civili e militari. Anche il golpe del 2012 avvenne durante lo spoglio elettorale. Barbieri offre una lettura amara: “La maggior parte delle persone non ha potere. Qui non esiste una classe media stabile. Ci sono pochi potenti e una massa critica di persone povere e poco alfabetizzate. E quando votano, votano per un idolo, sperando che cambi la loro vita… ma questo ainoi non accade”.

  • E adesso?

    Fuori dai comunicati ufficiali, la percezione nel paese è inquietante: “Se il nuovo capo di Stato è l’ex capo della scorta presidenziale, ciò fa pensare che dietro a questa situazione ci sia ancora lui, un auto-golpe del presidente uscente Embaló che non vuole lasciare il posto. Sarebbe stato lui a dare istruzioni ai militari di prendere il potere, mentre lui è scappato dal paese ed è rifugiato in Congo, nella capitale Brazzaville. Per questo molti dicono sia tutta una farsa”. “In teoria era stato deposto dai militari, quindi non avrebbe avuto modo di uscire dal paese… invece c’è riuscito”, spiega la cooperante. In un paese dove i mezzi di informazione sono stati spenti e i social oscurati, distinguere realtà e narrazione è quasi impossibile. Ma una cosa, per Barbieri, è certa: “Il potere si gioca tra pochissime persone; la maggioranza, quella vera, non vedrà cambiare nulla. E noi siamo qui, in attesa di capire cosa succederà: ufficialmente abbiamo un governo di militari, chiamato governo di transizione, che dovrebbe durare un anno per far tornare la calma e ripristinare le istituzioni democratiche”.

  • Foto: Erica Barbieri
  • La reazione delle organizzazioni sovranazionali africane è stata immediata: “Il governo dei militari non piace. L’Unione Africana e l’ECOWAS (o CEDEAO in francese) hanno messo in stand-by la partecipazione della Guinea-Bissau a questi organi”. Da mercoledì mattina è in corso una missione di mediazione di ECOWAS: “Stanno cercando di convincere il governo militare di transizione a rispettare le istituzioni democratiche e, in primis, a comunicare ai cittadini i risultati delle elezioni”. Nel frattempo, la caccia all’opposizione continua: “I militari stanno cercando il candidato dell’opposizione e vogliono incarcerarlo”. E la popolazione, frastornata, reagisce come può: “La gente prova una grande rabbia, ma i militari la stanno sedando con la paura. Negli scorsi giorni ci sono stati diversi incidenti: i militari arrivano nei quartieri, lanciano lacrimogeni, a volte entrano nelle case e picchiano persone. Sembra casuale, ma probabilmente sono azioni mirate ai sostenitori dell’opposizione”. Barbieri conclude con un punto interrogativo: “Sono situazioni che non riusciamo ancora a decifrare bene. In realtà non sappiamo davvero cosa stia succedendo”.