Film | Recensione

Bella senz’anima

Maria, la pellicola di Pablo Larraìn sulla diva Callas è l’ultimo capitolo della trilogia di biografie su tre icone femminili tormentate. Tutto riga e squadra e poco cuore.
Maria
Foto: Screenshot
  • **1/2

    Dopo Jackie e Spencer Pablo Larraìn chiude con Maria la sua trilogia dedicata a tre donne potenti e travagliate che hanno segnato il Novecento. Il film del regista cileno, presentato in concorso a Venezia 81 a un anno dall’horror El Conde, è incentrato sulla leggendaria soprano statunitense di origini greche Maria Callas.

    Cos’è

    Maria racconta gli ultimi giorni della più grande cantante d’opera del mondo (interpretata da Angelina Jolie) nella Parigi degli anni Settanta. Callas ha 53 anni, vive in un enorme e lussuoso appartamento con i suoi cani e i suoi collaboratori domestici, la governante Bruna (Alba Rohrwacher) e il maggiordomo e autista Ferruccio (Pierfrancesco Favino) che assecondano tutte le sue richieste e i suoi capricci.

    La star si è ritirata dalle scene quattro anni prima per problemi di salute e dopo che per molto tempo non è riuscita ad avere il controllo sul dono che possiede a causa delle figure autoritarie nella sua vita – dalla madre al suo ex amante, il magnate greco Aristotele Onassis (Haluk Bilginer) – ora che sta cercando di cantare per se stessa ha perduto la voce.

  • (c) MUBI

  • Com’è

    Il period drama di Larraìn segue lo schema narrativo ormai consolidato dei biopic: il protagonista viene mostrato nel suo momento più basso (sul piano emotivo e/o sul finire della propria carriera) per poi ricorrere a frequenti flashback che aiutano a costruire e tenere insieme una storia. Scopriamo che Maria Callas è una donna con un disturbo alimentare, che assume continuamente pillole, che soffre di allucinazioni, che evita di incontrare il suo medico, che sogna di essere visitata dal fantasma di Onassis, che si intrattiene con Mandrax (Kodi Smit-McPhee), un reporter immaginario evocato dai farmaci che prende, e soprattutto che è ossessionata e perseguitata dal canto, poiché la sua voce non ha più la potenza di un tempo. Callas si sottopone con il suo pianista a prove regolari nel vano tentativo di recuperare la gloria passata, finendo progressivamente in una spirale autodistruttiva.

    Dal punto di vista estetico il filmmaker sudamericano si discosta, al contrario, dalle tendenze generiche del biopic; Maria è un'opera visivamente sontuosa, raffinata e austera, in pieno stile Larraìn, fotografata magnificamente da Edward Lachman, ma non riesce a comunicare molto di concreto su chi fosse la Callas oltre la sua leggenda, la sua vita è ridotta a un’esistenza che svanisce. E la sceneggiatura affettata di Steven Knight non fa un buon servizio al film. Angelina Jolie domina lo schermo quando interpreta Callas come performer, per il resto del tempo si sforza moltissimo, è contrita e triste, ma non può restituire la disperazione e la complessità della tormentata diva morta per la sua arte, che è l’immagine su cui Larraín si concentra. Il risultato è un film tecnicamente perfetto, ma piuttosto vuoto e con poca anima, senza un vero sguardo sulla persona dietro il mito.