Spencer
Pablo Larraìn è uno di quei registi per cui sai subito cosa dire quando devi individuarne un pregio: la sicurezza cinematografica. Accompagnata da uno spiccato talento per il crescendo drammatico.
Distintosi per la trilogia sulla dittatura cilena, è con Jackie, biopic su Jacqueline Kennedy, e poi con il bellissimo Ema che ha fatto stragi di cuore. Spencer ci prova. Quasi ci riesce.
Cos’è
Il film si concentra su un preciso momento storico nella vita di Lady Diana (Kristen Stewart), quello fra il 24 e il 26 dicembre del 1991. Con momento pop finale: piccola illusione di felicità poi ghigliottinata dalla Storia.
La principessa del Galles si reca nella tenuta di Sandringham, a Norfolk, vicino ai luoghi della sua infanzia, per festeggiare il Natale con la famiglia reale in una “prigione” di tradizione, ritualità millenarie ed etichetta.
La tensione si taglia con un machete.
Mentre il matrimonio con Carlo (Jack Farthing) sta andando in malora, e la sua salute mentale pure, Diana in quei tre giorni matura la convinzione di doversi separare dal marito.
“A fable from a true tragedy” (“Una favola da una tragedia vera”), il tono viene impostato col cartello di apertura del film: c’è più finzione che verità fattuale in quello che stiamo per vedere.
Com’è
È girato come un horror d’atmosfera. Diana è la vittima, i reali sono gli oppressori, i “fantasmi” che la spiano e la perseguitano, infestando la casa. Nelle inquadrature di Larraìn gli spazi sono grandi, freddi e vuoti e contribuiscono a rendere l’ambiente ancora più spettrale e soffocante. Come in Jackie anche in Spencer al centro della storia c’è una donna in cattività, iconica, incastrata in una rigida struttura di potere, tormentata dai media e dalle pressioni imposte dal ruolo. Ma le similitudini con il film sulla First Lady si fermano qui.
La regia supplisce a una sceneggiatura molto elementare con annesse trovate non sempre azzeccate (tipo l’ossessivo riferimento ad Anna Bolena). Il racconto per immagini è, in pieno stile Larraìn, esemplare: la scena al tavolo del biliardo con il principe Carlo; quella delle perle a (o per) cena; la corsa di Diana attraverso un campo verso lo spaventapasseri che indossa la giacca del padre. Il montaggio di Sebastián Sepúlveda e la colonna sonora di Jonny Greenwood si accodano fra i meritevoli. Timothy Spall fa egregiamente il suo dovere e Sally Hawkins è come sempre stellare e sfugge con abilità al rischio delle banalizzazioni imperdonabili a cui è esposto il suo personaggio. Kristen Stewart, stavolta non al suo massimo, qui ci prova un po’ troppo e risulta un pelo emulativa. La serie The Crown sulla famiglia reale inglese ed Emma Corrin che interpreta Diana nella quarta stagione forse l’hanno raccontata meglio (posto che avevano il vantaggio di 10 puntate per farlo). Ecco, l’ho detta.