“Ero ossessionata dal mio corpo”

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“Già dalle medie ho iniziato ad avere un rapporto conflittuale con l’alimentazione e con il mio corpo. La situazione ha iniziato a peggiorare con il Covid, avevo 15 anni”. Inizia così la storia di Claudia (nome di fantasia, la ragazza ha preferito restare anonima) che ha deciso di raccontare a SALTO la sua rinascita dopo il disturbo alimentare che le ha portato via una parte dell’adolescenza. “Con il lockdown è esploso un disagio psicologico profondo, che ha travolto tutto. Così il bisogno di controllo si è sfogato sull’alimentazione – racconta –. L’adolescenza è di per sé una fase delicata, in più ogni giorno vivevo l’incertezza rispetto al mio futuro e a quello degli altri per via della pandemia. Da lì ho iniziato ad essere molto più controllante, a restringere e così via”.
“In un anno ho perso dieci chili senza accorgermene, mi guardavo allo specchio e non lo vedevo”
Così sono iniziati allenamenti estenuanti che hanno portato ad un importante dimagrimento. “In un anno ho perso dieci chili senza accorgermene, mi guardavo allo specchio e non lo vedevo. Non volevo pesarmi, avevo come un blocco. Una volta mia madre mi ha obbligata: si era accorta che non avevo più il ciclo e che stavo cambiando fisicamente. Allora non ero ancora sottopeso, ma camminavo sul filo del rasoio”. Nonostante la diminuzione delle restrizioni per il covid, le cose per Claudia non miglioravano. “Il disagio restava, anzi aumentava: facevo fatica a stare con gli altri, non mi sentivo più spontanea”. Il punto più basso è arrivato in seconda superiore, durante il nuovo inverno di chiusure. “Rivivere il lockdown mi ha demoralizzata. Volevo vivere l’adolescenza, invece restavo chiusa in casa, sempre più ripiegata su me stessa. Ero ossessionata non solo dal mio corpo, ma anche dal rendimento scolastico, dall’immagine che davo agli altri. Iniziai a soffrire d’insonnia: andavo a letto e il cuore batteva fortissimo, non riuscivo a dormire”.
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Uscirne, spiega Claudia, è stato un percorso complesso. “Mi rendevo conto che qualcosa non andava, ma ci ho messo quasi un anno a dire alla mia famiglia che avevo un problema”. Tutto è cambiato quando la madre di Claudia ha trovato un volantino dell’Infes sui disturbi alimentari. “Nella brochure erano elencati molti dei miei comportamenti che rientravano tra quelli a rischio. Mia madre non mi ha obbligata ad essere seguita, mi ha detto: “Vai, parla con qualcuno, e vedi”. Ci sono andata perché volevo stare meglio, volevo tornare a godermi la vita”.
“All’inizio del mio percorso sono peggiorata: la terapia ti costringe a guardare dentro, e fa male”
Le prime visite non sono state semplici. “All’inizio del mio percorso sono peggiorata: la terapia ti costringe a guardare dentro, e fa male. Dopo tre mesi, mi hanno proposto il ricovero ospedaliero. Io non volevo, perché sapevo che sarebbe stato lungo e avrebbe interrotto la scuola. La mia fortuna è stata che nel 2022 ha aperto Villa Eèa, la comunità per i disturbi alimentari: potevo fare un day hospital, andare a scuola la mattina e passare i pomeriggi lì. Questo ha alleggerito anche i miei genitori, che fino a quel momento avevano vissuto tutto con grande apprensione”.
Il percorso non è stato immediato, ma col tempo sono arrivati i primi segnali di cambiamento. “Dopo sei mesi a Villa Eèa stavo nettamente meglio. Non c’è stato un evento unico che ha segnato il miglioramento, ma tanti piccoli momenti: mi accorgevo che riuscivo a ridere di nuovo spontaneamente con gli altri, che non ero più apatica. Sentire le emozioni, lasciarmi andare, era già una conquista enorme”. Fondamentale è stata anche la relazione con un’altra ragazza conosciuta in ambulatorio. “In quel periodo è stata come una sorella per me. Abbiamo affrontato insieme quel cammino, ed è stato un sostegno prezioso. Ancora oggi ci sentiamo”.
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Il cortile di Villa Eèa: la struttura è il primo centro diurno e annessa comunità protetta per pazienti che soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA). Si trova in via Carducci 19 in pieno centro a Bolzano ed è gestita dalla Cooperativa Città Azzurra, in partnership con INFES e in convenzione con l’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige. Foto: Città azzurra
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Il rapporto con il cibo resta una questione delicata. “Non credo tornerà mai quello che era da bambina. Già alle elementari avevo comportamenti poco sani: mangiavo di nascosto, cercavo momenti in cui non essere osservata. Oggi però, grazie al lavoro con nutrizionisti e dietisti, ho acquisito strumenti e conoscenze che mi hanno cambiata. Non seguo diete rigide, perché so che per me gli schemi sono pericolosi, ma ho imparato a bilanciare i pasti, a cucinare in modo nuovo. È una risorsa che mi porterò sempre dietro. Non direi che sono guarita perché è una parola che trovo sbagliata, direi che grazie a questo percorso ho scoperto me stessa”.
“Grazie a questo percorso ho scoperto me stessa”
Secondo i dati del 2024, in Alto Adige cresce il numero delle persone seguite per disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, soprattutto tra i giovanissimi. Come confermato a SALTO dalla psicologa Raffaela Vanzetta, un fattore determinante in questo aumento è l’uso eccessivo dei social media, che trasmettono modelli rigidi di perfezione fisica. “Durante il lockdown erano l’unico contatto col mondo – racconta Claudia – ma a 14 anni non ti rendi conto di quanto siano pericolosi certi contenuti. Mi sono fatta influenzare moltissimo: modelli di corpi perfetti, influencer che promuovevano stili di vita apparentemente sani ma in realtà tossici. È un mix di messaggi che ti destabilizza. Oggi sto molto più attenta: uso funzioni per filtrare, mi proteggo, cerco di non passarci troppo tempo”.
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“Durante il lockdown i social erano l’unico contatto col mondo”
Oggi Claudia ha vent’anni e pensa al suo futuro. “Vorrei diventare psicoterapeuta, magari lavorando con i bambini e i ragazzi. In realtà l’interesse era nato già al liceo, alle scienze umane, ma il percorso terapeutico ha rafforzato la mia scelta: mi sono resa conto di quanto sia un lavoro profondo, che ti porta a districare nodi interiori insieme a chi hai davanti”.
Quando le si chiede un consiglio a ragazzi e ragazze che oggi vivono le difficoltà che ha vissuto lei, risponde: “So che spesso non si vuole uscire dal disturbo, perché dà un’illusione di sicurezza, ma non è l’unica strada. Si può vivere in modo sano ed equilibrato anche senza quella gabbia. Fa paura affrontare l’imprevisto, ma è proprio quello che rende la vita bella. Chiedere aiuto può richiedere più tentativi, ma non è mai troppo tardi ed i tentativi non sono mai troppi se ci si ascolta e si dà il giusto tempo alle cose. Ogni giorno si può ripartire da zero”.
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