Società | Bolzano

Chiude il bar Persefone

Venduta la storica “stuzzicheria” di via Rovigo dopo vent’anni d’attività. Con lei finisce il microcosmo creato dal proprietario Carlo Gresia. Un ricordo personale.
Persefone
Foto: SALTO/Val
  • A pranzo per la cena, a cena per il pranzo”. Era questa l’unica richiesta, quasi un motto, ripetuta da Carlo a chi desiderava prenotare al “suo” Persefone: all’ora di pranzo per l’ora di cena, la sera prima per il pranzo del giorno dopo. Al tipo di ordinazione, invece, non veniva posto alcun limite: dalla pizza alla pasta, dalla carne sino addirittura al pesce, “faccio la spesa e vi preparo ciò che desiderate”. Un menù “aperto”, non scritto, valido anche per alunni e alunne delle vicine Manzoni che, usciti da scuola, potevano trovare una piadina calda o qualcos’altro da mangiare prima di rientrare a casa, nell’attesa del pranzo o degli stessi genitori. Genitori che sapevano dove trovare i loro figli: al Persefone. “Li ho visti crescere”, ripete Carlo, e loro tornano anche quando sono diventati grandi, ripete ancora, quando già lavorano o sono iscritti all’università: tornano a salutarmi, dice, e magari torneranno con altri figli, nel ciclo continuo della vita.

  • Foto: SALTO/Val
  • Il Persefone è rimasto aperto per vent’anni, come solido presidio del quartiere. Un approdo sicuro per le famiglie dell’isolato, dove le adolescenti potevano condividere il medesimo tavolo con anziani un po’ alticci senza che mai si creassero situazioni spiacevoli. Ma anche le cose più belle, prima o poi, finiscono. E un ciclo può chiudersi, per sempre. “Grazie a tutti! Per averci dato l’opportunità di crescere e realizzare un progetto ‘Persefone’ durato vent’anni. Senza clienti come voi sarebbe rimasto solo un sogno! Grazie. Carlo”, recita ora un foglio attaccato alla porta di vetro, accanto a un altro biglietto con scritto “Chiuso”. Perché, una volta realizzato, il sogno finisce qui. Il Persefone chiude.

  • Foto: SALTO/Val
  • Via Rovigo è una via strana. Nella geografia a pettine di via Milano e Via Torino, la strada rodigina incrocia quella milanese e poi, cieca, finisce sulle passeggiate del Lungoisarco. Quel tratto finale è pressoché pedonale e del tutto residenziale: lì termina il mercato settimanale del giovedì e si può sostare all’aperto senza respirare i tubi di scappamento. È su quel tratto di strada che il Persefone teneva i suoi tre tavoli e le sedie di legno, celando ai passanti un fresco cortiletto interno sconosciuto a chi non ne fosse storico avventore. Ma soprattutto una vetrinetta self-service riempita di tartine (quelle che i veneti chiamano “cicchetti”), in assoluto le più buone di Bolzano.

    Carlo si vantava dell’ottima “materia prima”, del lardo dalla Versilia, della verdura di stagione come gli asparagi, degli abbinamenti azzeccati, del pane buono. Se ti trattenevi più a lungo, te ne offriva altre, calde. E ti offriva di tutto al momento di pagare il conto, alla cassa, quando non ti lasciava più andare: la liquirizia, il limoncello o il melograno della nonna, il whiskey buonissimo, o altri “shottini” che, neanche a dirlo, consumava pure lui “alla nostra”. Molte, anzi, tutte le nostre serate sono finite così (una volta ci chiuse pure dentro a chiave, bonariamente). Si usciva felici e riscaldati: non tanto o non solo dal grado alcolico, bensì dal calore sprigionato da quella situazione umana così buffa quanto spontanea.

  • Foto: SALTO/Val
  • Eppure l’interno del Persefone era quello di una taverna abbastanza spartana, tinteggiata quanto illuminata di giallo, e governata da un disordinato mosaico, con le cartoline, qualche scritta un po’ minacciosa, gli adesivi dell’hockey sul bancone, il 46 di Valentino Rossi, alcune vecchie foto di serate tra amici, altre foto di moto e motociclisti, gli autografi di sportive bolzanine, qualche strano souvenir qua e là, un attestato d’amicizia con gli ucraini, gli adesivi con le norme anti-Covid, il calendario dei carabinieri “che mi spediscono ogni anno anche se non ne ho mai fatto richiesta”. Un luogo la cui decadenza stava così bene in piedi, descrivibile in una sola parola che sembra non voler dire niente, eppur spiega tutto: autentico, in una città che diventa sempre più inautentica. Ma autentico — più delle pareti, delle ottime tartine, dell’atmosfera dominata dalle tonalità del giallo, e dal giallo del vino bianco, come dai ricordi di una Bolzano che non esiste più o forse non è mai esistita — è Carlo.

  • Foto: SALTO/Val
  • In una città dove soprattutto chi arriva da latitudini più italiane lamenta (giustamente) la scarsa socialità, la generosità e la convivialità di Carlo sono merce rara e preziosa. I modi scorbutici, qualche bestemmia, quel fare da Nordest verso le “rotture di coglioni” non devono trarre in inganno: con Carlo ci siamo tutti divertiti tanto, come se lo conoscessimo da sempre, perché coi suoi clienti (o almeno con alcuni di loro) lui si divertiva un mondo. Il Persefone era un posto unico nel suo genere, un fortino di folle umanità, cibo buono e vino alla spina, compleanni e feste d’addio, barattoli di ragù in regalo e quella pizza impastata ore prima, orgoglio del Carlo ex pizzaiolo della Metrò di viale Druso. Ma forse le “rotture” erano diventate ormai troppe anche per lui, i pensieri altrettanti, e così dopo un ventennio la famiglia del Persefone ha deciso di cedere l’attività.

  • Foto: SALTO/Val
  • Il Persefone chiude, dunque. È un sentimento di perdita difficile da processare, quando un luogo del cuore non c’è più, quando saprai che non ci potrai più tornare, non lo potrai più mostrare agli altri, ma solo raccontare. Che solo attraverso il ricordo e il potere delle parole potremmo farlo rivivere, tenerlo in vita, condividerlo con chi non l’ha mai conosciuto, custodirlo e portarlo assieme a noi altrove. Ma resta difficile separarsene materialmente, accettare la fine delle cose, che quanto vissuto diventi solo un ricordo e che i vissuti ingialliscano, dimenticando qualche sfumatura, qualche piega di quei tardi pomeriggi d’estate in cui l’ora del Garda soffia sull’Isarco, la luce illumina il Colle e osservi tutto ciò da un tavolo sulla via Rovigo sentendoti, finalmente, un po’ a casa.

    Dai, che vi voglio beeneeee”, ci hai ripetuto spesso dopo qualche battuta sopra le righe. Te ne vogliamo anche noi, Carlo. Se leggerai queste righe, sappilo: ci hai regalato dei bellissimi momenti e te ne saremo grati. Hai reso Bolzano, per un bel po’, un posto migliore.