“Mio figlio lo ha scoperto dalla tv”
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Proseguono le ultime udienze del processo a carico di Avni Mecja, accusato dell’omicidio pluriaggravato della compagna, Alexandra Elena Mocanu. Oggi (6 marzo) sono stati sentiti davanti alla Corte d’Assise, presieduta dal giudice Stefan Tappeiner e, a latere, Walter Pelino, i testimoni di parte civile e difesa. Durante l’udienza si è cercato nuovamente di fare emergere la personalità della vittima, uccisa a martellate dal compagno il 22 ottobre 2022.
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La testimonianza del marito di Mocanu
Per primo è stato sentito l’ex marito di Mocanu, con cui la donna ha avuto un figlio. L’avvocato di parte civile, Gianmarco Tosetto (che assiste l’ex marito di Mocanu e il loro figlio di 10 anni) ha cercato di ricostruire la relazione tra i due. Mocanu e il marito si erano conosciuti nel 2012 in un locale di Vicenza dove lei faceva la ballerina. Dopo due mesi sono andati a convivere a San Bonifacio in provincia di Verona, Mocanu è poi rimasta incinta ed ha quindi smesso di lavorare. I due si sono sposati l’8 giugno 2013 in comune e il 24 luglio 2013 è nato il figlio.
“Com’era il rapporto?”, ha chiesto l’avvocato Tosetto al coniuge di Mocanu. “Normale – ha risposto lui – lei faceva la casalinga, c’era tanto amore e tanto affetto”. Sei anni dopo è arrivata la scelta di separarsi: “Nel 2019 ci siamo lasciati perché lei voleva tornare a fare il suo lavoro di ballerina nei night e la cosa per me non andava bene. Nostro figlio aveva 6 anni”. I due sono però rimasti legalmente sposati, e lo erano anche il 22 ottobre, il giorno in cui Mocanu è stata uccisa. Il marito spiega: “Non ci siamo separati formalmente un po’ per motivi economici ed un po’ per la mancanza di tempo”.
Si è cercato poi di ricostruire il rapporto tra Mocanu ed il figlio, che, poco dopo la scelta dei genitori di separarsi, è stato affidato ai nonni materni in Romania. Dalla testimonianza del marito è emerso che la donna provvedeva al mantenimento del bambino dall’Italia mandando dei soldi ogni mese, così come faceva il padre. “Io mandavo tra i 100 e i 300 euro al mese. Non c’era un accordo su questo tra me e Alexandra. So che mandava soldi in maniera continuativa al figlio, me lo ha detto la nonna”.
Si è giunti poi al rapporto con Mecja. Il marito ha affermato di non aver saputo da Mocanu della relazione con l’imputato ma di esserne venuto a conoscenza tramite i social network. Il marito ha scoperto della morte della moglie dalle forze dell’ordine, che lo hanno contattato domenica sera, il giorno dopo l'omicidio. “Chi l’ha comunicato al figlio?” ha chiesto l'avvocato. “L’ha saputo guardando la tv, il telegiornale rumeno” ha risposto l'uomo. Sulle ripercussioni per il bambino il padre ha aggiunto: “È andato dallo psicologo della scuola e ci continua ad andare. Non so se mio figlio riuscirà a superare questo trauma”.
Il marito della vittima ha raccontato di essersi recato a Bolzano per riconoscere il corpo della vittima e di aver organizzato il trasferimento della bara in Romania dove si è poi tenuto il funerale. Alla fine della testimonianza l’avvocato della difesa Massimo Dal Ben ha chiesto conferma del versamento di 10 mila euro che la famiglia di Mecja aveva versato come forma di risarcimento per il figlio della vittima; l’ex marito ha confermato: “Il fratello di Mecja ha versato i soldi alla nonna di mio figlio”.
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La questione della seconda chiave
Successivamente è stato poi sentito un uomo che, all’epoca dei fatti, lavorava presso la concessionaria Autocity di Bolzano, dove Mecja si era recato per fare una seconda copia della chiave della macchina della vittima. Con questa chiave l'imputato aveva accesso all'auto di lei, in cui ha inserito un cellulare per spiare la compagna più volte nel mese precedente all'omicidio, come ha raccontato lo stesso Mecja nella scorsa udienza.
La testimonianza dell’uomo è risultata però poco chiara, inizialmente ha affermato: “Mi ha pagato in contanti perché non voleva che la moglie lo sapesse”. Ma poi è emersa la questione: come ha fatto Mecja ad ottenere una copia delle chiavi della macchina di Mocanu se la macchina era intestata solo alla donna? L’ex impiegato di Autocity ha affermato di aver ricevuto dall’uomo una “delega della moglie” e che per questo gli ha fatto la copia. Resta ora da capire se questa delega esiste e, nel caso, se Mecja l’abbia o meno falsificata. Nella prossima udienza è stata disposta dal giudice l’acquisizione del documento da Autocity per chiarire questa dinamica, legata i diversi episodi di stalking dell'uomo.
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Le testimonianze della famiglia di Mecja
Infine sono stati ascoltati sorella, cognato e zia dell’imputato, le tre persone che, subito dopo l’omicidio, hanno visto Mecja prima della sua fuga lampo in Albania. La prima a testimoniare è stata la sorella, che ha raccontato ciò che le era parso del rapporto tra suo fratello e la compagna: “All’inizio mi sembrava tutto normale, lo vedevo sereno”. E' seguito il racconto di due particolari episodi, in cui sarebbe emerso un presunto "rapporto di sudditanza" di Mecja nei confronti della compagna Alexandra. In occasione di un pranzo di famiglia, ha riferito la donna: “lei gli ha ordinato di allacciarle la scarpa, e lui l’ha fatto, come un ordine”. Il secondo episodio, raccontato dallo stesso Mecja durante l’ultima udienza, risale invece a poche settimane prima dell’omicidio: “Ad inizio ottobre ci siamo visti io, mio marito, i miei due figli, Avni e Alexandra ed abbiamo mangiato in un ristorante cinese. Lei continuava a criticarlo, era arrabbiata con lui”. La zia ha confermato in parte questa versione del rapporto tra i due, raccontando di non essere mai riuscita ad andare a trovare il nipote a casa sua a Bolzano perché Alexandra non voleva.
I tre parenti hanno poi raccontato della sera dell’omicidio. Dopo aver ucciso Mocanu l’imputato, intenzionato a fuggire in Albania, prima di raggiungere l’aeroporto era andato a trovare la sorella. Sia la sorella che il marito, genero di Mecja, hanno detto di non averlo visto agitato la sera del delitto e di non aver sospettato nulla, nonostante l’uomo si fosse presentato a casa loro in Provincia di Verona, nella tarda notte, quando tutti stavano dormendo. La zia ha confermato di aver acquistato il biglietto per il nipote per tornare in Albania, come spesso faceva per i parenti.
L’udienza si è conclusa nella tarda mattinata, il prossimo appuntamento è il 13 marzo, quando verrà ascoltato l’ultimo testimone, un collega dell’imputato, e si concluderà il dibattimento.
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