“L’ho colpita due volte con il martello”
-
L’imputato Avni Mecja ha raccontato tutti gli agghiaccianti particolari dell’assassinio della compagna, Alexandra Elena Mocanu oggi (23 febbraio) davanti alla corte d’Assise, presieduta dal giudice Stefan Tappeiner e, a latere, Walter Pelino. Dall’esame dell’imputato è emersa la morbosità del rapporto tra Mecja, sotto processo con l’accusa di omicidio pluriaggravato, e Mocanu, la vittima. I due si erano conosciuti su internet nell’agosto del 2020, avevano cominciato a frequentarsi quando entrambi vivevano nel veronese. All’inizio del 2020 Mocanu era venuta a vivere a Bolzano, prima in un albergo, fornito a Mecja dal lavoro, per poi trasferirsi assieme nella casa di viale Trieste, dove è avvenuto l’omicidio.
-
La gelosia ed il controllo
La PM Federica Iovene ha incalzato Mecja sulla gelosia, sempre presente nel rapporto tra i due, su stessa ammissione dell’imputato. Le cose sono precipitare quando, nell’aprile del 2022, Mocanu ha iniziato a lavorare come barista presso il centro commerciale Centrum. “Quando ha cominciato il lavoro è diventata indipendente, un'altra persona”, ha affermato l’imputato oggi in aula.
L’inizio della fine è arrivato nell’autunno del 2022, quando Mecja, tornato a casa dall’ospedale dopo un breve ricovero per un incidente in bicicletta, ha iniziato a sospettare che la compagna avesse un’altra relazione. L’uomo ha raccontato all’accusa di aver visto sul cellulare della compagna una serie di messaggi provenienti da un numero salvato sotto “Bartolini” (come il corriere). Insospettito Mecja aveva salvato il numero e, attraverso qualche ricerca sui profili social, era risalito ad un uomo cinquantenne con cui Mocanu si vedeva.
La narrazione dell'imputato è proseguita. A questo punto Mecja ha ammesso di aver iniziato a seguire la compagna, arrivando a nascondere il suo telefono nella macchina della donna, quando sapeva che lei la utilizzava, così da ascoltare tutto quello che diceva. Durante la deposizione è emersa più volte l’ossessione sempre più forte per il controllo della compagna. Un esempio significativo lo ha fornito lo stesso imputato, che ha raccontato di quando Mocanu, il 17 ottobre, si era recata a Verona da sola in macchina per dei trattamenti di bellezza: “L’ho seguita in taxi, poi a Verona mi sono messo nel bagagliaio della macchina”. L’imputato ha raccontato all'aula di essere rimasto nel bagagliaio dell’auto da mezzo giorno fino a quando Mocanu, ignara di tutto, è tornata a Bolzano, attorno alle 18.
-
La sera dell'omicidio
Il racconto dell’uomo è proseguito fino ad arrivare al 22 ottobre, il giorno dell’omicidio. Dopo il lavoro, attorno alle 19:30 la vittima era tornata a casa in viale Trieste, dove aveva trovato il compagno, che le ha raccontato di sapere tutto del tradimento e dell’altro uomo. I due avevano discusso, secondo Mecja normalmente, nonostante la vicina, sentita in udienza due giorni fa, abbia sostenuto di averli sentiti litigare animatamente attorno alle 20 la sera del delitto. Dopo aver discusso Mocanu aveva detto di non voler dormire con il compagno e Mecja aveva deciso di dormire sul divano, ha riferito lui oggi in aula. Necessitava però del caricabatterie del telefono e per questo era tornato in camera per prenderlo.
Da qui l’agghiacciante racconto dell’omicidio della donna: “Mi sono avvicinato al letto per prendere il caricabatterie e ho visto che tra i due cuscini c’era il martello. Lei mi ha detto che questo era destinato a me e me lo ha lanciato. Lei non pensava che io reagissi ma ho reagito. Ho preso il martello e l’ho colpita due volte, poi l’ho coperta con le coperte”. Nel silenzio dell’aula Mecja continua: “Sono stato seduto lì, volevo chiamare l’ambulanza ma avevo paura. Allora l’ho coperta ancora di più perché mi dispiaceva tanto. Le ho messo in testa 2 o 3 sacchi. Sentivo che respirava ancora. Ho preso il filo (ndr filo di ferro), glielo ho girato attorno ma non ho avuto la forza di stringere”. “L’ha messo perché faceva rumore? – chiede la PM Iovene – Si, non volevo che soffrisse”.
Mecja ha poi ammesso in aula di aver nuovamente colpito la donna con il martello sulla schiena, due volte, perché continuava a sentirla rantolare. Successivamente ha preso il cellulare della donna, lo ha sbloccato, usando il dito del cadavere di lei, per inviare alla titolare del bar dove Mocanu lavorava un messaggio che spiegava che la donna si sarebbe assentata dal lavoro qualche giorno.
-
Il martello
L’imputato ha quindi descritto alla corte i momenti successivi all'omicidio. Ha raccontato di essersi cambiato, essersi recato dalla sorella per salutare i nipoti e di aver deciso di partire per l’Albania. Mecja ha anche ammesso di aver portato con sé il martello, che ha poi gettato lungo l’autostrada. Da lì la partenza la notte stessa per Tirana, la chiamata con l’avvocato la mattina seguente, l’incontro con i genitori e la scelta di tornare in Italia, dove Mecja si è poi costituito. A questo punto l’accusa ha mostrato all’aula un martello, ritrovato nei pressi di dove l'imputato aveva indicato di avere abbandonato l’arma del delitto. Mecja ha sostenuto davanti alla corte che non fosse il suo, mancherebbe il suo nome a pennarello, ma poco contano queste precisazioni dopo una deposizione così lucida e dettagliata di quando ha ucciso la compagna.
La sentenza per stalkingDurante l’esame l'imputato ha affermato più volte di non aver mai picchiato la compagna prima del giorno dell’omicidio, ma il giudice Tappeiner ha acquisito in aula la sentenza di Verona che condannava Mecja per stalking. Nella motivazione è emerso come lo stesso Mecja abbia ammesso di aver tirato alla donna qualche schiaffo quando lei aveva detto di volerlo lasciare e come lei fosse scappata perché aveva paura che lui la picchiasse.
L’udienza si è conclusa dopo 5 ore, in cui l'imputato ha raccontato con precisione e novizia di particolari ogni dettaglio del rapporto con la vittima e del momento dell’omicidio. Nella prossima udienza, fissata per il 6 marzo, verranno sentiti i testimoni di difesa e parte civile.