Ciao Lorenzo
Cominciammo a camminare che era ancora buio pesto, faceva un freddo cane. Nessuno diceva nulla, si badava a dove si mettevano i piedi e ogni tanto si alzava la testa per osservare l'ancora timida luce dell'aurora lambire le circostanti vette innevate. Vincere la Palla Bianca / Weisskugel (3.738 m) partendo da Melag/o non è uno scherzo, andare e tornare in un solo giorno addirittura temerario. Ma noi eravamo partiti alla ventura, “vediamo dove arriviamo”, anche se in cuor mio di arrivare in vetta ci speravo proprio. Certo, c'era moltissima strada da percorrere e soprattutto un lungo ghiacciaio con i suoi crepacci da attraversare, il ripido tratto finale da affrontare che chissà come sarà... Ma stando in mezzo a una cordata formata dall'accademico del Cai Roberto Rossin e dal presidente del Soccorso alpino Lorenzo Zampatti ci si sentirebbe tranquilli a scalare anche l'inferno, se mai fosse in salita.
Al Pio XI rimasi stupito dal cameratismo, sconfinato abbondantemente nell'affetto, che il gestore del rifugio dimostrò di provare per Lorenzo. Un figlio della Bolzano italiana, nato negli anni '50: altra epoca, altri rapporti tra gruppi linguistici; il gestore di un rifugio a pochi passi dall'Austria, un montanaro sudtirolese con il suo incerto italiano. Eppure... eppure. Ma la montagna sa anche essere una Heimat comune, senza bandiere. E lo è soprattutto per chi in quell'ambiente che può diventare terribilmente pericoloso segue il nostro istinto più nobile, la solidarietà verso i propri simili. Quella che ormai da tempo stiamo dimenticando. Aiutare, spesso letteralmente salvare la pelle a chi si trova a vivere una disavventura in alta quota: ecco, questa è stata una parte importante della vita di Lorenzo.
12 settembre 2015, Zampatti (a sinistra) e Rossin durante l'ascesa
La Vallelunga (Langtaufers) si chiama così mica per niente. Il ghiacciaio poi è davvero infinito, anche se porta evidenti le ferite inferte dal surriscaldamento globale. Ore e ore di marcia silenziosa, legato alla corda tra quei due ultrasessantenni incredibili, un passo dopo l'altro con i ramponi ai piedi. Quelli erano gli ex-ragazzini che negli anni '60 con le gite dell'oratorio arrivavano sul Cevedale e che pochi anni dopo hanno cominciato a mettere le mani sulle peggio pareti delle nostre Alpi. Gente così.
E che giornata quella... Lo stupore per i grattacieli di ghiaccio che spuntavano qua e là, i crepacci superati a forza di salti, le spiegazioni di poche parole su nodi e sicurezza. Lorenzo dispensa i suoi consigli con toni pacati, parla poco ma sa sorridere. Come le montagne infonde serenità.
Arrivammo alla Weisskugeljoch (3.356 m) ed era chiaro a tutti che quella sarebbe stata la fine dell'avventura, con la vetta imponente sopra le nostre teste. Ma in fondo che importanza ha?
Era il settembre scorso, pochi mesi fa. Ci siamo lasciati con la promessa che saremmo tornati per raggiungere la vetta in due giorni, dormendo nel vecchio rifugio e perdio lo faremo prima o poi. E quindi arriverò in cima alla Palla Bianca. E naturalmente saremo ancora noi tre. Ci vediamo lassù Lorenzo.