Cronaca | strage di bologna

“Questo è solo l’inizio”

Tutti condannati gli imputati del nuovo processo per la strage di Bologna. Parla la sopravvissuta altoatesina Sonia Zanotti: “Un percorso difficile ma ne è valsa la pena”
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Foto: Rai

Colpevoli.
Dopo 76 udienze e poche ore di Camera di Consiglio, la Corte d’Assise riunitasi ieri (6 aprile) ha emesso il verdetto di condanna di primo grado per tutti e tre gli imputati nel nuovo processo ai mandanti della strage di Bologna, l’evento più sanguinoso della storia italiana dal dopoguerra. 
È il 2 agosto 1980 quando alle 10.25 una valigia piena di tritolo esplode nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione del capoluogo emiliano, causando 85 vittime e 200 feriti. 


In quarant’anni di processi sono stati finora riconosciuti responsabili dell'esecuzione materiale della strage, gli esponenti neofascisti dei Nuclei Armati Rivoluzionari, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. La condanna più recente è quella di Gilberto Cavallini, con la sentenza dello scorso 9 gennaio 2021, ritenuto colpevole di concorso esterno. I mandanti, organizzatori e finanziatori sono stati invece indicati, nero su bianco, nel 2020 al termine delle indagini della Procura generale. Si tratta di Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato, Mario Tedeschi, tutti ormai deceduti e quindi non processabili.

 

Alla sbarra ieri mattina c’era invece Paolo Bellini, 68 anni, ex primula nera dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale. Riconosciuto dall’accusa come uno, il quinto, degli esecutori materiali della strage è stato condannato all’ergastolo e a un anno di isolamento diurno.
Con Bellini viene condannato a sei anni per depistaggio anche l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel. A quattro anni, invece, ammonta la condanna per Domenico Catracchia, amministratore di una società immobiliare, per le false informazioni fornite al Pubblico Ministero al fine di sviare le indagini. La sentenza è stata accolta con un tripudio di gioia dai parenti delle vittime e dai solidali che hanno affollato l’aula del Tribunale di Bologna. Tra loro anche l’altoatesina Sonia Zanotti che alle 10.25 di quel giorno, a 11 anni, stava aspettando il treno che l'avrebbe ricondotta nella sua Ortisei, seduta a pochi metri dall’ordigno che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. La voce, al telefono, è rotta dall’emozione: “Sono stati 42 anni di attese e dolore. Ma ne è valsa la pena”, ci ha detto subito dopo la lettura della sentenza.

 

salto.bz: Sonia, ve le aspettavate queste condanne?

Sonia Zanotti: In 42 anni abbiamo visto di tutto e pertanto non ci si poteva aspettare nulla. Però eravamo ottimisti, quello sì. Il fatto che la Procura e la Magistratura abbiano creduto alle nostre motivazioni rappresenta un enorme passo in avanti, non solo per fare chiarezza sulla strage ma per la storia d’Italia nella sua interezza. Durante le fasi del processo sono emersi elementi importanti che vedono coinvolti tutti, dai servizi segreti alle alte sfere della politica. Anche per questo siamo soddisfatti e fieri del lavoro che è stato portato avanti. 

Questa nuova sentenza rappresenta un'ulteriore spinta in avanti per ricostruire quanto è successo quel 2 agosto 1980. Quanto resta ancora da scoprire? 

Rimane ancora tanto, troppo. Questo è solo l’inizio, perché si tratta di una condanna di primo grado, ma è un inizio importante, assieme alla sentenza di Cavallini dello scorso anno. Questi risultati ci portano ad avere ancora fiducia nella Magistratura, nella Procura ma soprattutto nello staff degli avvocati che assistono l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage.

Se dopo 40 anni siamo ancora in grado di portare a casa questi risultati significa che è ancora il caso di credere alla democrazia e alla giustizia

Durante uno dei suoi interventi pubblici, ha ricordato che “se la metà della popolazione italiana conoscesse un quarto di quanto è già stato scoperto allora avremmo una democrazia più vigile e matura”. Se la memoria gioca dunque un ruolo così cruciale perché è così difficile ricordare, non tanto il tragico dato umano di 85 vite spezzate, ma la regia che ha reso possibile il tutto?  

Sicuramente, dal punto di vista emotivo, il dato delle 85 persone morte è quello che giustamente rimane più impresso ma bisogna andare a fondo nelle cose. Viviamo in mezzo a una società che crede e si fida poco, soprattutto in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo. Ma sono sentenze come queste che contribuiscono a cambiare le carte in tavola: se dopo 40 anni siamo ancora in grado di portare a casa questi risultati significa che è ancora il caso di credere alla democrazia e alla giustizia.

Il diretto coinvolgimento della destra eversiva, degli apparati statali e dei servizi segreti nella strage di Bologna è un fatto oramai appurato ed è inequivocabile. Al giorno d'oggi conviviamo con una serie di partiti e movimenti di estrema destra nati dalle ceneri dalle organizzazioni che hanno coperto e si sono rese responsabili dei fatti del 2 agosto 1980. Senza contare che la villa di Arezzo del mandante e finanziatore Licio Gelli è rimasta frequentata fino la sua morte da numerosi protagonisti della vita politica, economica e militare del Paese. Alla luce di questi elementi possiamo davvero considerare reciso e inoffensivo quel legame perverso che si era creato allora?

Oggi quel legame non credo esista più. Ma se Licio Gelli è riuscito a fare quello che ha fatto è perché ha goduto del sostegno di numerosi “piani alti” che lo hanno difeso e coperto allora e hanno continuato a farlo nel tempo. L’impegno dell’Associazione, e che porto avanti in prima persona, è proprio questo: far capire che c’è una parte marcia e una parte buona del sistema. Quello che dobbiamo fare è continuare a marciare verso quella giusta.

Lei ha dichiarato in più occasioni che la sua vita si divide in due momenti, quello prima della strage e quello dopo. Le ferite che porta addosso, i traumi che conserva dentro, avrebbe potuto scegliere di curarli in silenzio, confidando che il tempo si adoperasse per lenirli. Invece, al contrario, ha deciso di rivivere e raccontare quei momenti drammatici tutti giorni, da quarant’anni a questa parte. Il tutto per tentare di ottenere giustizia e verità per quella che è stata, possiamo dirlo con certezza, una strage di Stato. Dove ha trovato la forza di esporsi tanto?

Durante il mio lungo percorso terapeutico sono stata messa davanti a un bivio: vivere nell'ombra con il mio dolore e le mie cicatrici in silenzio oppure continuare a vivere, sempre con quelle cicatrici indelebili e con quel dolore, imparando però a condividerlo. L’impegno che ci accomuna all'interno dell’Associazione lo troviamo anche su questo: imparare a condividere il proprio dolore con gli altri. E io credo sia stato anche questo a permetterci di arrivare al risultato di oggi: se non ci fosse stata un’associazione che per decenni ha lottato, spinta dal proprio dolore, per chiedere giustizia, per tenere alta l’attenzione, che ha digitalizzato uno per uno quei documenti che hanno permesso di riaprire nuove indagini… ecco, io penso che a questo processo non saremmo mai nemmeno arrivati. È stato un percorso lungo e difficile ma oggi posso davvero dire che sì, ne è valsa la pena.