Cronaca | Sviluppi

Schwazer e i 100 Dna

In un’intervista a La Gazzetta dello Sport in uscita domani l'ex atleta rivela nuovi dettagli delle indagini. C’entrano alcuni test che avvalorano la tesi del complotto.
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Foto: süddeutsche zeitung

È un susseguirsi di cliffhanger l’odissea di Alex Schwazer, da quella fatidica mattina di Capodanno quando la catabasi dell'ex marciatore altoatesino ha avuto inizio. Il controllo antidoping a sorpresa, l’analisi delle provette contenenti i campioni di urine prelevati il 1° gennaio 2016 all’atleta azzurro che daranno, al primo esame, esito negativo e che poi, trasportate nel laboratorio Wada di Colonia, “miracolosamente” riveleranno tracce di testosterone.

Tutto farà pensare al “trappolone”, dal sospetto sempre più plausibile di manomissione delle provette allo scambio di e-mail - intercettate da un gruppo di hacker russi - tra il responsabile dell’antidoping della Iaaf, Thomas Capdevielle, e il consulente legale Ross Wenzel in cui si parla esplicitamente di “plot against AS”, un complotto ai danni dell’ex olimpionico. Ma anche alla reticenza dei tecnici del laboratorio di Colonia a consegnare - su ordine del gip di Bolzano Walter Pelino - i campioni A e B al colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma, al genetista Giorgio Portera e all’avvocato Gerhard Brandstätter, difensore di Schwazer.

E mentre si attendono le conclusioni della Procura di Bolzano emergono nuovi particolari su una delle più oscure vicende dello sport italiano. A rivelarli è lo stesso Schwazer in una lunga e pregevole intervista a cura di Francesco Ceniti per la rubrica “Storie maledette” della Gazzetta dello Sport in edicola domani, 10 febbraio.

 

Test rivelatori

 

“Tutto ruota intorno alla concentrazione del mio Dna nei due campioni. Valori altissimi e molto difformi tra provetta A e B - dichiara l'ex marciatore di Racines nell’intervista -. Il giudice ha capito che bisognava fare ulteriori approfondimenti dopo aver ordinato dei test delle urine su 100 persone, in modo da confrontare i risultati. Quella era la prima fase: da sola non bastava per dare linfa alla nostra ipotesi. La Iaaf si era opposta ad altri esami. E invece si è scavato a fondo, scoprendo diverse cose”. 

“Il Dna delle persone testate la scorsa estate - prosegue - ha subito un degrado importante in questi mesi, la concentrazione è scesa. Come è naturale che sia. E invece il mio Dna dopo 2 anni è risultato altissimo e integro. Non solo, il valore del mio campione B è incredibilmente più alto di quello A. E anche questo risultato non è spiegabile. O meglio è spiegabile solo nel modo che sappiamo”. 

 

Ieri, oggi, domani 

 

Schwazer, nel corso dell'intervista, ripercorre le sue traversie, a partire dalla fase in cui fece uso di doping (dal 2011 al 2012), ricorda il sogno sfumato dell’oro alle Olimpiadi di Rio, la squalifica di 8 anni inflitta dal Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, il rapporto - scomodo per molti - con l’ex allenatore Sandro Donati, paladino della lotta al doping che si è fatto più di qualche nemico per aver denunciato a più riprese le irregolarità nell’atletica italiana; e quello con la fidanzata di un tempo, la pattinatrice Carolina Kostner, che aiutò il compagno ad evitare un controllo antidoping il 30 luglio del 2012 . Alex parla poi del suo presente, del lavoro da personal trainer che ha attenuato quel profondo senso di frustrazione verso il mondo dell’atletica e della ferma convinzione di non voler più tornare a gareggiare, “ho mollato di testa”, dice. Resta però la fame di giustizia, quella non si è mai smorzata.