Nacht und Nebel
Uno degli effetti secondari della carnevalata messa assieme da un gruppetto di sedicenti patrioti nei confronti del sindaco Caramaschi è stato purtroppo quello di far passare in cavalleria il dibattito che si era appena aperto sulla vicenda dei nomi dei sudtirolesi venuti alla luce degli elenchi dei volonterosi che si diedero a suo tempo da fare per mandare avanti il campo di sterminio di Auschwitz. Si è persa così l'ennesima occasione per affrontare davanti all'opinione pubblica un tema che, in Alto Adige, resta avvolto dalle nebbie della rimozione. Benissimo hanno fatto gli storici a precisare subito, anche su Salto, che quelle liste riportate dai giornali esteri e riprese in sede locale sono tutt'altro che nuove, che non c'è nessuna clamorosa rivelazione da sbandierare, che i dati e i nomi erano conosciuti da tempo. È altrettanto vero, però, che anche questo, come molti altri aspetti che riguardano il rapporto del tutto particolare tra la popolazione sudtirolese e il nazismo, è stato oggetto, dalla fine del conflitto in poi, di una costante e pervicace operazione "Nacht und Nebel" che sarebbe ora di chiudere definitivamente.
Una buona occasione per farlo arriverà tra qualche settimana, il 18 marzo per la precisione, quando con grande solennità, nel Duomo di Bolzano, Josef Mair Nusser, il cattolico inviato in campo di concentramento nel 1944 perché si era rifiutato di prestare giuramento di fedeltà Adolf Hitler e morto durante il trasferimento, verrà proclamato Beato. Il fatto che, in base ai nuovi orientamenti liturgici introdotti da Papa Benedetto XVI, la cerimonia possa svolgersi della diocesi originaria del canonizzato anziché a Roma come avveniva in passato, contribuisce ad aumentare la portata dell'evento e i suoi riflessi sull'intera società altoatesina.
Il pericolo, e questo va detto con chiarezza, senza nulla togliere alla dimensione sacrale dell'evento, è che tutto si esaurisca nella celebrazione di quelle che la Chiesa definisce come le "virtù eroiche" di una singola persona, la cui eccezionalità umana e spirituale finisce per rendere improponibile il farne un modello di comportamento per tutti, sia all'epoca in cui Mayr Nusser visse, sia oggi.
Per evitare che il nuovo Beato venga quindi lasciato da solo, nella sua irraggiungibile perfezione, potrebbe essere di giovamento utilizzare l'occasione, per rievocare altre figure che ebbero, sia pure con esiti e circostanze diverse, una vicenda umana analoga alla sua. È nota la storia del sarentinese Franz Thaler, anch'egli renitenteal giuramento. Meno conosciuta, parliamo sempre a livello di pubblica opinione ovviamente, quella di diverse centinaia di sudtirolesi, diversi di madrelingua ladina, parecchi "dableiber" ovverossia optanti, nel 1939, per l'Italia, arruolati, alla fine del 1944, nel quarto e ultimo SS Polizeiregiment costituito dalle autorità naziste nella Zona di Operazioni delle Prealpi: il "Brixen".
Anche su questa storia, come su quella dei sudtirolesi che prestarono servizio ad Auschwitz, sono calate, nel dopoguerra, le nebbie della rimozione e del silenzio, ma, grazie anche alle testimonianze raccolte e ai documenti esaminati da alcuni storici, pare accertato che gli oltre 2000 appartenenti al Polizeiregiment si rifiutarono, nel febbraio del 1945, di prestare, al termine dell'addestramento, il giuramento di fedeltà al Führer. Furono spediti, pochi giorni dopo, sul fronte orientale, nella Slesia, dove morirono quasi tutti. I pochi superstiti, rientrati dopo mesi di prigionia, si ritrovarono al santuario di Pietralba per ringraziare di aver avuto salva la vita. La storia dei morti e dei sopravvissuti rimase avvolta dal silenzio, come del resto quella di Mayr Nusser, nei decenni successivi.
Un'altra figura di cui si parla poco o nulla è quella di un avvocato sudtirolese, August Pichler, originario di Bronzolo, assai attivo anch'egli, nel 1939, tra coloro che si opposero alla propaganda nazista per le opzioni. Per questo Pichler, la cui storia è stata raccontata da Gunther Pallaver e Leopold Steurer in un libro voluto dal Circolo Neruda, finì nel mirino della Gestapo, dovette fuggire dapprima nel Trentino e poi in Svizzera e poté ritornare in Alto Adige solo alla fine della guerra. Fu avvicinato in quei giorni da coloro che stavano gettando le fondamenta della Südtiroler Volkspartei, ma rifiutò di entrare a farne parte. "Non potrei - disse - sedere accanto al coloro che mi hanno perseguitato". Fu poi designato, su indicazione di ambienti della DC trentina, come componente della Consulta Nazionale, l'organo pre-parlamentare insediato nel 1945 per preparare i lavori della Costituente e al quale la SVP non volle partecipare per non indebolire la propria pregiudiziale verso il ritorno dell'Alto Adige all'Italia. Poi scomparve dalla scena politica, colpito dall'interdizione come traditore dell'unità dei sudtirolesi.
Poniamo, l'uno accanto all'altro, il prossimo Beato Josef Mayr Nusser, i duemila del Brixen, l'avvocato di Bronzolo che non voleva dimenticare il passato. E poi, dall'altra parte, i carnefici di Auschwitz. In mezzo un popolo, quello sudtirolese, che ha sacrificato sull'altare dell'unità etnica, la revisione critica della propria storia in quegli anni terribili e crociati. Quando, nel dopoguerra, le accuse di filo-nazismo furono utilizzate come prove a carico dei procedimenti amministrativi per il riacquisto della cittadinanza italiana da parte degli optanti, i parlamentari della Suedtiroler Volkspartei si lamentarono aspramente. "Non è giusto - dicevano - che la nostra gente venga messo sul banco degli imputati per aver collaborato con i nazisti, quando invece nulla viene rimproverato agli ex fascisti italiani, che continuano ad occupare, anche in Alto Adige, posti di responsabilità". Avevano perfettamente ragione. In Italia il processo di rimozione e di cancellazione delle colpe del ventennio è stato, se possibile, ancora più radicale di quanto non lo sia stato in Austria o in Germania. Solo che quelle accuse avrebbero dovuto essere indirizzate all'apertura di un'ampia e documentato dibattito sulle responsabilità e sui responsabili di tante colpe e di tanti delitti. Quel che si voleva e quello che alla fine si ottenne fu invece di seppellire tutto sotto una cortina di silenzio, di scopare lo sporco sotto il tappeto. Intere generazioni, italiane e tedesche, sono cresciute in Alto Adige sapendo poco o nulla di quei fatti e dei loro protagonisti. Ora questi ultimi sono ormai morti tutti o quasi tutti. Non ci sono più processi da fare ma solo verità, sicuramente scomode, da raccontare. Sarebbe ora di iniziare a farlo.