Società | Distopie?

Radical chic a Sanremo

Di Maio pare uscito dal libro di Giacomo Papi, scrivendo che intellettuali distanti dal popolo hanno deciso il festival, rovesciando il "televoto".
Mahmood
Foto: upi

Distopia secondo Treccani è la "previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi".

Forse Giacomo Papi credeva di aver scritto un romanzo distopico, ma la realtà sta correndo così veloce che “Il censimento dei radical chic” (Feltrinelli, 13 euro) è sempre più reale. Basta leggere il post su Facebook che il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio ha scritto per esprimere (ce n'era davvero il bisogno?) la propria contrarietà rispetto alla vittoria di Mahmood al festival di Sanremo: "La giuria, composta da critici musicali del 'calibro' di Beppe Severgnini (giornalista, direttore di 'Sette', settimanale del Corriere della Sera, ndr), e la sala stampa hanno totalmente ribaltato il risultato del televoto. Non ha vinto quello che voleva la maggioranza dei votanti da casa, ma quello che voleva la minoranza della giuria, composta in gran parte da giornalisti e radical chic".

E ancora: "Ringrazio Sanremo perché quest’anno ha fatto conoscere a milioni di italiani la distanza abissale che c’è tra popolo ed 'élite'. Tra le sensibilità dei cittadini comuni e quelle dei radical chic". 

Il pericolo è dietro l’angolo, perché il linguaggio usato da Di Maio non si discosta affatto da quello del ministro dell'Interno immaginato da Giacomo Papi, che al professor Giovanni Prospero, colpevole di citare filosofi in diretta tv, aveva detto "si vergogni! Lei fa citazioni mentre il popolo muore di fame". L'intellettuale, verso cui s'era indirizzata la critica del potente politico, un milanese che andava in giro in camicia bianca, era stato ammazzato quella sera stessa, sulla porta di casa. Ucciso "a bastonate perché aveva citato Spinoza durante un talk show", come scrive Papi nelle prime righe del suo libro.

Il pericolo è dietro l’angolo, perché il linguaggio usato da Di Maio non si discosta affatto da quello del ministro dell'Interno immaginato da Giacomo Papi, che al professor Giovanni Prospero, colpevole di citare filosofi in diretta tv, aveva detto "si vergogni! Lei fa citazioni mentre il popolo muore di fame"

E se l'Autorità garante per la semplificazione della lingua italiana ancora non è stata immaginata, e nessuno è impegnato a scrivere un "Elenco provvisorio popolare delle parole vietate, sconsigliate o abolite della Lingua italiana semplificata", né a redigere la "Nuova Grammatica della Lingua Italiana", confinata in "uno snello manuale di 57 pagine", l'attacco alla complessità descritta nel libro di Papi è attuale.

 

 

"La complessità impedisce la verità. La complessità umilia il popolo. La complessità frena l'azione. La complessità è noiosa, quindi inutile. La complessità è superba, quindi odiosa. La complessità è confusa, quindi dannosa. La complessità è elitaria, quindi antidemocratica. La semplcità è popolare, quindi democratica" scrive il ministro dell'Interno, affrontando la questione intellettuale. E, ancora, "la complessità è un'arma delle élite per ingannare il popolo".

Se diventa elitario indignarsi quando un uomo di governo (Luigi Di Maio) scrive una lettera aperta a un quotidiano francese parlando della Francia e della sua "tradizione democratica millenaria", siamo forse pronti a vivere la realtà ribaltata di Giacomo Papi.