Società | Intervista

Oltre lo stigma della puttana

Il lavoro sessuale è lavoro e per questo ha bisogno di diritti e tutele. Ne parliamo con Giulia Zollino, autrice di 'Sex work is work': "Sfatiamo le narrazioni tossiche".
Giulia Zollino
Foto: Giulia Zollino

Puttana, meretrice, prostituta, zoccola. Chi esercita il lavoro sessuale, specie se donna, deve convivere con il giogo dello stigma e il peso della criminalizzazione. Il dibattito è tabù e quando esiste è costellato da moralismi e paternalismi carichi di spesso non richiesta compassione che non solo ostacolano in primis chi fa sex work ma tratteggia la propria linea di demarcazione su cosa è decoroso e cosa no, su chi è meritevole di diritti e chi invece deve rassegnarsi all'essere destinatario del nostro biasimo e indifferenza. Parlare di lavoro sessuale e di chi lo esercita non è semplice, specie quando devi aggirare ostacoli intrisi di polemiche e narrazioni che pretendono di essere univoche ma che finiscono inesorabilmente con il rivelare il proprio volto violento, che appiattiscono e annullano le sfaccettate esperienze e sfumature di chi compone un mondo antico, sommerso e bistrattato. 
Quello di Giulia Zollino è invece un tentativo di ribaltare il nostro immaginario. Antropologa, esperta di educazione sessuale e operatrice di strada, dopo aver esercitato in prima persona il sex work ha deciso che è arrivato il momento di raccontarlo. Prima con i social e ora con un libro, Sex work is work, che presenterà domani, sabato 12 giugno, presso l’UniBar in piazza Università a Bolzano.

Nel frattempo, salto.bz ha deciso di conoscerla meglio.
 

salto.bz: Giulia, sin dalle prime righe del tuo saggio si evince l’importanza di raccontare il lavoro sessuale utilizzando un linguaggio corretto, soprattutto quando si fa riferimento a chi, questo lavoro, lo esercita in prima persona. Perché da un lato ritieni fondamentale l’adozione di un termine neutro, come appunto quello di “sex work”, ma allo stesso tempo ti concentri sull’importanza della riappropriazione di quelle parole note ma connotate negativamente?

Giulia Zollino: Il termine sex work ha un’importanza politica non indifferente e la sua introduzione ha rappresentato una tappa fondamentale all’interno dei movimenti perché è stato in grado di rivoluzionare sotto molteplici punti di vista le narrazioni che si sviluppavano sui vari tipi di prostituzioni: da un lato è privo di quella connotazione negativa di cui sono pregne le parole come prostituta, meretrice, puttana.. ma da un altro punto di vista è un termine che si rivela inclusivo, in grado di abbracciare e racchiudere tutte le diverse tipologie di lavoro sessuale che conosciamo. Rappresenta anche una presa di coscienza politica: noi siamo sex workers e in questo ci riconosciamo. A parte questo, si tratta di un termine che io sempre invito ad utilizzare quando non c’è sicurezza su come la persona che esercita questo lavoro preferisce definirsi. Un altro aspetto fondamentale è invece la scelta di riappropriarsi dell’insulto, rivendicandolo. Ci si identifica a volte in quella parola, puttana, sottraendola a chi la usa per stigmatizzarti e denigrarti. Altre persone si identificano anche nei termini di lucciola, zoccola, prostituta ecc. È una scelta forte e rispettabile. Ma l’invito rimane sempre quello di chiedere alla persona in questione la modalità con la quale vuole essere definita: la libertà di nominare la propria esperienza è essenziale e va tutelata.

 

Un altro pilastro del tuo lavoro e dei gruppi autorganizzati di sex worker è quello inerente alla normalizzazione del lavoro sessuale. Possiamo quindi definirlo come una professione alla pari di qualsiasi altra?

Il sex work non è un lavoro come un altro, ma deve avere lo stesso rispetto che si nutre per qualsiasi altro lavoro decidiamo di prendere in considerazione. Non è uguale all'altro perché, come d’altronde qualsiasi altra professione, il sex work detiene la propria specificità e in questo caso si caratterizza appunto per l’utilizzo della sessualità, di quella parte che - volenti o nolenti e anche se per alcune persone non è così - è sempre stata definita come cosa intima. È inutile negarlo: la nostra cultura attribuisce al sesso un valore specifico e anche se non vorremmo fosse così esso detiene per forza di cose una carica differente per quel che concerne il suo significato. Questo però non significa che non sia un lavoro rispettabile e proprio perché lo è deve essere tutelato sul piano legale, politico e sociale.

Non si tratta di vendita del corpo, ma di vendita di un servizio che si fa anche (e non solo) con il corpo

Eppure il sex work non viene osteggiato solamente dalle forze più conservatrici e reazionarie ma anche dagli stessi gruppi che si dichiarano femministi, siano essi radicali o meno: da un lato si dipinge il o la sex worker come “l’ancella del patriarcato”, da un lato – seguendo un critica che rimarca più specificatamente i filoni dell’anticapitalismo – si mette in discussione la tanto decantata mercificazione del corpo, espressione, tra l’altro, che tu stessa rifiuti…

Rifiuto completamente questa espressione, che - oltre a non essere veritiera - rispecchia uno dei maggiori miti che circondano la galassia del sex work e che pertanto dobbiamo scardinare. Non si tratta di vendita del corpo, ma di vendita di un servizio che si fa anche (e non solo) con il corpo, come avviene con tutta una serie di altri lavori che, pur non utilizzando le zone genitali, vengono portati avanti con altre parti fisiche. Sia chiaro: lo sfruttamento esiste, la violenza esiste. Il problema non è il sex work. Il problema è che il sex work è inserito all’interno di un contesto capitalista e patriarcale. E in questa società per molte persone il lavoro sessuale è l’unico mezzo per poter sopravvivere. Quello che intanto possiamo fare è concedere e rivendicare diritti.

 

Il senso comune tende a suddividere chi esercita il lavoro sessuale in due categorie: chi lo vuole fare e chi viene costretto a farlo. Nel tuo libro ti dimostri critica rispetto a questa dicotomia. Perché? 

Bisogna capire innanzitutto una cosa: le categorie sono utili per semplificare il mondo ma sempre categorie rimangono. Noi siamo essere umani, tutto è più complesso, un aspetto non esclude l’altro e per capirlo veramente è necessario andare oltre la propria morale. Sul lavoro sessuale tutti hanno la propria opinione, tutti ne parlano e traggono sentenze anche quando non si sa di che cosa si sta parlando perché ci si ferma lì, sul piano morale. Ci sono questioni difficili, complesse e sfaccettate da affrontare e una di queste è lo sfruttamento della scelta. Il dibattito è schiacciato su una nebulosa definizione che oscilla tra scelta e costrizione ma ogni tanto bisognerebbe parlare di necessità: per molte persone non esistono opzioni, tanta gente non ha scelta e intraprende il sex work perchè è l'unica opzione di sostentamento che hanno a disposizione. Pensiamo ad alcune categorie, come le donne trans: in Italia sono molte quelle provenienti dal Sudamerica che esercitano per strada e nelle case. I loro racconti sono simili: il sex work diventa una tappa obbligata se vuoi sopravvivere. E questo non significa che tu lo stia facendo per costrizione da parte di qualcuno ma siamo ben lontane da quella condizione di spensieratezza e autodeterminazione che caratterizza la cosiddetta libera scelta. E questa è solo una delle numerose e spesso impercettibile sfumature che può caratterizzare il fenomeno.

La violenza contro le sex worker non è una cosa altra, aliena, che tocca solo chi fa quel tipo di lavoro. È violenza di genere che, nel caso di soggettività migranti, diventa anche violenza razzista. Gli assi di oppressione sono diversi, ma ci attraversano tutti contemporaneamente. E pertanto non ci possiamo permettere di affrontarli separatamente

Intersezionale il contesto, intersezionale si presta ad essere dunque la lotta per la rivendicazione dei propri diritti. Nel libro fai un riferimento particolare alle battaglie portate avanti per l’autodeterminazione delle soggettività migranti, istanza che hai definito legata a doppio filo con le battaglie portate avanti dai e dalle sex worker. Ce ne puoi parlare?

Non si può trattare il sex work come una cosa separata dal resto della società, come del resto non si può trattare separatamente dalle stesse lotte transfemministe. Basti pensare allo stigma della puttana, che colpisce tutte le persone che si identificano, sono cresciute e sono state socializzate come donne. Tutte noi almeno una volta nella vita ci siamo sentite dare della puttana, e in questo senso possiamo convergere: la violenza contro le sex worker non è una cosa altra, aliena, che tocca solo chi fa quel tipo di lavoro. È violenza di genere che, nel caso di soggettività migranti, diventa anche violenza razzista. Gli assi di oppressione sono diversi, ma ci attraversano tutti contemporaneamente. E pertanto non ci possiamo permettere di affrontarli separatamente.

Cambiamo argomento e soffermiamoci sul caso italiano. Da una parte ci troviamo di fronte all’esigenza di superamento della legge Merlin ma dall’altra assistiamo a diverse esperienze provenienti dal basso, nate anche in piena pandemia, che marciano verso questa direzione. Ci fai una piccola panoramica?

La Legge Merlin ha rivestito un ruolo importante ma continua ad essere problematica, è una legge che risale al 1958 e tante cose sono cambiate, tante proposte di leggi sono state portate avanti senza che si sia mai arrivati a discuterle. Con il lockdown dell’anno scorso per chi faceva sex work, soprattutto offline, è stato davvero difficile. In Italia e in molti altri paesi si sono attivate pertanto diverse reti, come la campagna “Nessuna da Sola” attivata dal comitato per i diritti civili delle prostitute e che ha avuto anche l’appoggio di varie unità di strada. Nelle difficoltà questo è stato un modo di ingegnarsi, stringere alleanze e rinsaldare quelle già esistenti.

 

 

Per quanto riguarda invece la tua esperienza personale, parli del sex work come il tuo mezzo di empowerment e riscatto, e proprio per questo motivo ti sei sentita di ammettere il tuo privilegio...

Il sex work ha cambiato la mia vita e a un certo punto ho sentito l’esigenza di raccontarlo, anche in relazione alle altre esperienze che ho incontrato lungo il mio percorso. Per me appunto è stata una forma di autorealizzazione, una forma di empowerment ma lo è d’altronde anche l’altro mio lavoro, quello della divulgazione. Tutto quello che facciamo, se ci piace ed è fatto liberamente, può prestarsi ad essere altrettanto e quindi sì, anche il lavoro sessuale può diventare un mezzo importante.

Puttana è un insulto che va a toccare e a disciplinare la condotta femminile nel suo complesso, è un’ arma che viene sfoderata quando stai trasgredendo ai diktat del patriarcato, quando non stai al tuo posto, quando hai visibilità, quando non vuoi coprirti e in tutto questo occupi e ti fai notare all’interno dello spazio pubblico che ti dovrebbe essere interdetto. 

Il corpo della donna e le modalità con le quali decide di disporne restano sempre al centro del dibattito pubblico, si scatenano battaglie e non viene trattato mai per quello che è, ovvero un fatto privato: si usa allo stesso tempo come trofeo e come arma per attaccare e indebolire l’avversario. Ritrovi un filo conduttore tra la criminalizzazione del lavoro sessuale e le politiche nazionaliste, e anti islam in particolare, portate avanti da chi "nel nome delle donne" si scaglia anche contro quelle donne, come stiamo assistendo in Francia, che indossano per esempio il velo in pubblico?

Sì assolutamente, come si connette anche alla questione dell’aborto: tutto quello che riguarda il corpo femminile è un qualcosa su cui ognuno può dire la propria eccetto evidentemente le dirette interessate. Lo scalpore non è tanto dato dal che cosa si fa con il proprio corpo, ma ci si indigna se sei tu, in prima persona, a decidere come usarlo, come se quel corpo non fosse davvero tuo e qualcun altro dovesse decidere per te.

Concludendo, perchè la puttana fa paura? E perchè lo stigma della puttana colpisce in maniera così violenta?

La puttana fa paura perché fa qualcosa che non dovrebbe fare. Pensiamoci, puttana è l’insulto che maggiormente ci attribuiscono e che riguarda solo in parte la sfera sessuale: siamo puttane se intratteniamo numerosi rapporti, ma siamo puttane anche quando non li abbiamo affatto. Puttana è un insulto che va a toccare e a disciplinare la condotta femminile nel suo complesso, è un’ arma che viene sfoderata quando stai trasgredendo ai diktat del patriarcato, quando non stai al tuo posto, quando hai visibilità, quando non vuoi coprirti e in tutto questo occupi e ti fai notare all’interno dello spazio pubblico che ti dovrebbe essere interdetto. Lo stigma della puttana colpisce tutte e in particolar modo chi del sex work ne fa professione. Colpisce in maniera diversa e nelle forme più svariate: abbiamo la violenza verbale, fisica, istituzionale, tantissime sfaccettature e tantissimi effetti: dalla svalutazione del sé all’abuso di sostanze alla depressione. Lo stigma della puttana può avere conseguenze devastanti. Il mio suggerimento è quello di cominciare a seguire e ad ascoltare le persone che fanno sex work e che, anche sui social network, stanno cominciando a parlare. Abbandoniamo il filtro della nostra morale e cominciamo a cercare di informarci il più correttamente possibile, a partire dall’ascolto di quello che le persone che fanno questo lavoro hanno da dirci.

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Massimo Mollica Ven, 06/11/2021 - 19:47

Nonostante abbia provato più volte la sofferenza di chi è stato preso in giro nei sentimenti (usato e gettato) non mi sono mai permesso nemmeno di pensare di dare un epiteto offensivo di carattere sessuale a chicchessia. Consapevole che per la natura umana siamo tutti cinici e ipocriti. Piuttosto mi piace considerare, come un noto stand-up comedian italiano, che parole come "troia" vogliano indicare una persona indipendente e libera, che non si fa mettere in piedi in testa. E non c'è niente di più bello di una donna libera.
Detto questo condivido la visione dell' autrice ma il contesto nel quale lo presenta non è pronto. Andrebbe bene a New York o forse Londra. Qui siamo indietro di almeno 30 anni (come minimo). Abbiamo paura del lupo, di chi viene dall' Africa e di tutte quelle cose che possono intaccare le proprie certezze. Quanto è tranquillizzante la famiglia tradizionale e relativi amanti.
Comprerò il libro.

Ven, 06/11/2021 - 19:47 Collegamento permanente
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Karl Trojer Sab, 06/12/2021 - 10:06

Ich teile die Darlegungen von Frau Giulia Zollino weitgehend und danke ihr dafür, dass sie dieses heikle und globale Thema aufgegriffen hat. Sexualität ist eine der Hauptenergien, die unsere Erde am Leben erhält, und ist damit extremen Situationen sowohl bei Befürwortung als auch bei Ablehnung ausgeliefert. Die grausamsten Folterungen waren und sind immer noch insbesondere sexueller Art. Nicht erfüllte Sexualität ist einer der Hauptgründe, weshalb zwischenmenschliche Beziehungen in Ehen und Partnerschaften scheitern; die Flucht in die Prostitution bzw. in deren Nutzung ist häufig eine Folge davon. Menschen , die mit sexuellen Diensten ihren Lebensunterhalt erwerben, brauchen gesellschaftlichen Schutz, sie brauchen vor allem Schutz vor Ausbeutung durch Zuhälter und Ähnliches , und sie haben das Recht aus selbstbestimmtes Gestalten ihres Lebens. Zu diesem Thema fehlt der "Moral" oft die Ehrlichkeit. Ein anderes Thema zur Sexualität, die Pornographie, ist heute im internet allgegenwärtig und wenn dabei Gewalt im Spiel ist, führt sie zu Verrohung und gefährdet insbesondere Kinder und Jugendliche in ihrer Entwicklung zu liebesfähigen Menschen. Make love not war !

Sab, 06/12/2021 - 10:06 Collegamento permanente
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Frank Blumtritt Dom, 06/13/2021 - 12:22

Sehr interessanter Bericht, dem nichts hinzuzufügen ist.
Was Gorgias betrifft, könnte man fast denVerdacht hegen, dass er von Salto.bz bezahlt wird, um (leider völlig banale) Diskussionen anzufachen…

Dom, 06/13/2021 - 12:22 Collegamento permanente