Il diritto dei popoli e degli Stati
In Catalogna oggi si scontrano non solo elettori e Guardia civil, una votazione pacifica e la repressione statale, ma si scontrano anche la legittimazione democratica di un progetto di autodeterminazione e le norme apparentemente intoccabili della costituzione spagnola. Costituzioni non sono né perfette né fatte per l’eternità. Quella spagnola contiene il presunto dogma dell’indivisibilità, non riconoscendo il carattere plurinazionale dello Stato, per cui nel 1978 la popolazione dei Paesi baschi ha fatto bene a non approvarla. In una società democratica aperta devono trovare spazio anche riforme urgenti della Costituzione, altrimenti si rischia di murare alcuni popoli in una situazione collettivamente respinta costringendoli a subordinarsi alle scelte di Madrid per altri secoli.
Dall’altra parte anche la Spagna ha ratificato i patti ONU sui diritti civili e politici e la Dichiarazione dei diritti umani. Questi non prevedono un diritto alla secessione, ma neanche lo vietano. Tant’è vero che dal 1991 in tutto il mondo si sono registrati 53 singoli referendum di autodeterminazione, di cui la maggior parte è risultata nella fondazione di un nuovo Stato indipendente. In altri casi come nello Québec e in Scozia la popolazione ha preferito lo status quo. Interessante, comunque, che anche l’Ue inclusa la Spagna abbiano riconosciuto quasi tutti questi nuovi Stati.
Questi processi non possono celare il fatto che il diritto internazionale non disciplina i processi di autodeterminazione né precisa le circostanze in cui tale richiesta democratica fosse da considerare legittima e nemmeno definisce bene chi ne possa essere titolare. La Catalogna ad esempio è un’antica comunità nazionale tesa ad emanciparsi dopo secoli di subordinazione alla monarchia spagnola e dopo essersi vista negare un’autonomia più ampia. Se non i catalani, perché in base al diritto internazionale avrebbero avuto diritto all’autodeterminazione gli estoni, lettoni, lituani, slovacchi, cechi, montenegrini, scozzesi, macedoni, croati, bosniaci e tante altre comunità notevolmente più modeste in dimensione? Se il governo Rajoy dubita della legittimità democratica del desiderio catalano di raggiungere l’indipendenza perché reprime una votazione pacifica a colpi di manganelli?
Il problema dopo il referendum non sta solo nella necessità di mettere mano a norme costituzionali superate, ma sta nello stesso diritto internazionale. Questo oggi è prima di tutto un diritto di tutela e conservazione degli interessi degli Stati già esistenti, a scapito di quei popoli che non ce l’hanno fatto come curdi, palestinesi e catalani. La sovranità e l’integrità del territorio, consacrati in varie convenzioni ONU, saranno valori supremi, ma pure lo è la volontà libera e democratica di una comunità nazionale dello spessore di quella catalana. Il diritto internazionale e la comunità degli Stati dovrà chiudere questa lacuna definendo le condizioni e le modalità della trasformazione di alcuni Stati. All’Ue in questo processo compete un ruolo di mediatore, perché i trattati Ue invocano un’ “Unione sempre più stretta dei popoli europei” come finalità di fondo. Uniti i popoli possono essere solo su base volontaria, sia nella casa comune europea sia in uno Stato comune.