Società | ucraina

Capire la storia, aiutando le persone

Tornata recentemente da una missione di Mediterranea in Ucraina, Elisa Caneve, giovane docente bolzanina, organizza un evento di “restituzione” sulle attività della ONG
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Foto: mediterranea

Il valore della testimonianza, l’importanza di raccontare, capire la storia arrivando alle sue radici e, ancora, dare un contributo personale nelle missioni umanitarie, dimostrando la propria non indifferenza. Sono molte le cose che hanno portato Elisa Caneve a prendere parte alla missione della ONG Mediterranea in Ucraina. E, d’improvviso, per lei – giovane professoressa bolzanina di italiano e storia – i nomi, i volti e i numeri diventano qualcosa di reale: è la guerra che si concretizza.
Ora, a distanza di qualche mese, ha deciso di organizzare un evento di “restituzione” basato sulla sua esperienza a Leopoli e, più in generale, sulle attività di Mediterranea. La serata, aperta al pubblico, si svolgerà domenica 6 novembre alle ore 20:30 presso la Parrocchia di Tre Santi a Bolzano.

 

Salto.bz: Caneve, non avendo un gruppo di riferimento a Bolzano, com’è riuscita a entrare in contatto con la ONG organizzatrice della missione?

Elisa Caneve: Frequentando in passato l’Università di Bologna sono venuta conoscenza dell’esistenza degli ‘equipaggi di terra’ di Mediterranea, ovvero dei gruppi di persone che si impegnano a sostenere le missioni umanitarie della Organizzazione tramite degli eventi di sensibilizzazione. Questi gruppi nascono proprio dalla volontà di avvicinare la cittadinanza agli equipaggi presenti sulle navi nel mar Mediterraneo. Dunque, per un periodo, ho fatto attivismo nelle città di Bologna, Forlì e Cesena.

E poi è arrivata l’opportunità di prendere parte alla seconda missione “MEDcare” in Ucraina. Cosa l’ha spinta a partire?

È stato un insieme di cose. Il valore della testimonianza e l’importanza di raccontare sono due cose che sono sempre state nelle mie corde. Inoltre, insegnando storia, penso che l’unico modo di capire effettivamente il passato sia quello di conoscere le radici degli eventi; questa, per me, poteva essere un’occasione per farlo, dandomi magari la possibilità di fornire ai miei studenti una chiave di lettura corretta di tutte le guerre. E poi penso servisse dare fin da subito un messaggio chiaro: i cittadini di altri Stati ci sono, sono presenti, non sono disinteressati alla questione e non hanno idee aggressive. Oggigiorno non può esistere che una cosa ‘non ci riguarda’, perché siamo tutti, più o meno direttamente, sempre coinvolti, umanamente ed economicamente. Il pensiero che un compagno universitario con cui si è studiato possa essere chiamato alle armi, non può lasciare indifferenti.

Girando tra le lapidi di un cimitero ho letto le date delle targhe. Erano tutti militari deceduti in guerra: la più giovane che ho visto era del 2002.

Concretamente, di cosa si è occupata?

In un primo periodo, all’inizio della guerra, Mediterranea organizzava delle vere e proprie carovane nelle quali si portavano aiuti umanitari, come cibo e medicine, e attraverso i “Safe passage” si permetteva ai profughi di venire in Europa. La mia missione, invece, ha fatto parte di “MEDcare” ed è stata relativamente breve: dal 19 al 24 agosto. A Leopoli, la città ucraina dove sono stata, la ONG ha un ambulatorio mobile all’interno di un van che gira fra i vari campi profughi e le diverse stazioni dei treni. I servizi di noi volontari sono principalmente quelli di accompagnare medici e infermieri per farli ambientare al meglio, le loro missioni infatti hanno una durata più lunga e offrono un servizio di assistenza continua e di monitoraggio, non di primo soccorso come si potrebbe pensare. Inoltre, ci siamo occupati della logistica e dell'inventario dei medicinali.

Ci sono state occasioni in cui ha provato paura? Com’è stata l’esposizione ai rischi a cui si può venire incontro durante una missione di volontariato in guerra?

Leopoli si trova a sole 2 ore dal confine con la Polonia, quindi, in agosto, erano presenti allarmi e coprifuoco ma non eravamo in una delle zone più esposte. Una cosa che mi ha colpito è il fatto che si mescolassero situazioni normali e quotidiane con quelle che caratterizzano una guerra. C’erano le sirene e le statue protette con i sacchi da eventuali bombardamenti e, allo stesso tempo, la vendita di souvenir e pop-corn in centro città. La situazione che ho trovato io è sicuramente diversa da quella attuale, visti i recenti e massivi bombardamenti. In agosto le sirene suonavano anche due volte al giorno, ma non erano molte le persone che andavano nei rifugi antiaerei.
Un’esperienza forte l’ho vissuta quando, tornando la sera con l’ambulanza, ho visto una zona con alcune luci e bandiere. Abbiamo fermato l’ambulanza: a destra c’era un cimitero e vicino un suo ampliamento a fianco di un parco giochi. Girando tra le lapidi ho letto le date delle targhe. Erano tutti militari deceduti in guerra: la più giovane che ho visto era del 2002. Magari non sorprende ma pensare che là ci sia una famiglia che va a piangere un figlio mi ha scosso e mi ha messa davanti a una assurda realtà.

 

Parlare di attualità nelle classi di una scuola non è certo tra le cose più facili da fare quando ci si trova dietro alla cattedra; c’è stato qualche studente interessato all’argomento Ucraina?

I miei alunni non erano a conoscenza del fatto che fossi andata a fare questa missione. Una cosa che mi ha colpita è che, durante una mia lezione, si sono chiesti se la guerra in Ucraina fosse finita in quanto non ne sentivano più parlare. La cosa mi ha abbastanza spaventata: ci siamo così tanto abituati alla questione che alcuni non sanno nemmeno se la guerra sia finita o meno. Quindi, consapevole di quanto delicato fosse il tema, ho utilizzato un metodo concreto per affrontarlo in classe, utilizzando il racconto di storie vere, mostrando delle fotografie che avevo scattato e cercando di mostrare cosa significhi effettivamente la guerra. Non è facile, ma è importante farlo.

E di certo ne parlerà all’evento del 6 novembre…

Certamente. Proverò a raccontare la mia esperienza e gli effetti concreti della guerra sulla vita delle persone che ho potuto incontrare. Chi voleva scappare ha dovuto assistere a una procedura burocratica lunga e complessa. Molte persone non avrebbero mai pensato di lasciare il proprio Paese ma, ad un certo punto, si sono ritrovate ad avere la propria valigia aperta in controllo di frontiera. Tra le necessità dei profughi Mediterranea ha infatti riscontrato anche quello di un supporto legale per i permessi di spostamento ed i controlli alla frontiera, che sono estremamente lunghi e minuziosi. Ecco, domenica 6 cercherò di raccontarlo, perché alla fine gli “equipaggi di terra” servono proprio a questo: sostenere le varie missioni della ONG e divulgare le diverse esperienze vissute.