Femminicidio Mocanu, chiesto l’ergastolo
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Si gioca sul bilanciamento tra aggravanti ed attenuanti il processo a carico di Avni Mecja, accusato dell’omicidio pluriaggravato della compagna, Alexandra Elena Mocanu. La discussione finale si è tenuta oggi (13 marzo) davanti alla Corte d’Assise, presieduta dai giudici Stefan Tappeiner e, a latere, Walter Pelino. Ad aprire l’udienza è stata una spontanea dichiarazione dell’imputato che, la notte del 22 ottobre, ha colpito a morte la compagna con due martellate in testa: “Chiedo scusa per quello che ho fatto, sono pentito tanto e sento un dolore forte”.
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Le due aggravanti
La parola è passata al pubblico ministero, che all’inizio dell’arringa ha citato le parole della vittima, Alexandra Mocanu, sentita dalle forze dell’ordine nel 2020 quando era andata a denunciare Mecja per stalking: “Ho paura che Avni mi faccia veramente del male, è una persona violenta, cattiva e vendicativa”.
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"Il filo conduttore di questo rapporto è la gelosia ossessiva di Avni verso Alexandra”, ha affermato la Pm Federica Iovene nel ripercorrere l’escalation di comportamenti controllanti dell’imputato da quando la vittima aveva ricominciato a lavorare e ad essere indipendente economicamente. Mecja non solo la pedinava e le intercettava le conversazioni al telefono, ma ha addirittura passato un’intera giornata nel bagagliaio della macchina di lei per spiarla. “Il movente è chiaro e lampante: la gelosia – ha continuato Iovene – Alexandra voleva chiudere, lei lo aveva cacciato e lui tornava, lui si era fatto una copia delle chiavi, non accettava che la relazione finisse”. Una tragica conferma della tesi dell’accusa è stata letta dalla Pm oggi in aula, si tratta di un messaggio inviato dall’imputato alla compagna: “È inutile che mi vuoi lasciare, tu sei solo mia”. “O mia o di nessun altro” ha concluso la Pm, che dopo aver ripercorso tutte le prove dell’omicidio volontario, è passata alle aggravanti.
Sono infatti contestate a Mecja due aggravanti che potrebbero costargli l’ergastolo, la stabile convivenza con la vittima e la precedente condanna per stalking. “Un omicidio preceduto da un comportamento di stalking ha un disvalore maggiore; in questo caso c’è, lui la perseguitava, la seguiva, la intercettava” ha affermato la Pm riferendosi al disegno criminoso di Mecja.
“Se l’è cercata alla fine. Io l’ho solo colpita due volte. Ho provato con le buone e niente, si è presa quello che meritava”.
L’accusa ha poi smontato le attenuanti generiche, su cui la difesa punta per scongiurare l’ergastolo dell’imputato ma di cui, secondo Iovene mancano i presupposti: “Non ricade nelle attenuanti la condotta dopo il fatto: è fuggito e l’ha lasciata lì”. L’imputato infatti, dopo aver ucciso la compagna a martellate, non ha chiamato i soccorsi ma è fuggito in Albania. La difesa ha puntato molto sul pentimento dell’uomo e sul suo ritorno in Italia, ma l’accusa dubita sia così e per dimostrarlo ha letto oggi davanti alla corte alcune intercettazioni in carcere. L’imputato ha infatti detto alla madre durante un colloquio telefonico: “Se l’è cercata alla fine. Io l’ho solo colpita due volte. Ho provato con le buone e niente, si è presa quello che meritava”. La pubblica accusa ha concluso chiedendo alla corte la condanna dell’imputato all’ergastolo.
Le attenuanti chieste dalla difesaLa strategia difensiva dell’avvocato Massimo Dal Ben si è concentrata sulla valorizzazione delle attenuanti e la messa in dubbio delle aggravanti. Sulla precedente condanna per stalking l’avvocato ha sostenuto oggi in aula che ci sia stata una “interruzione temporale” che causerebbe la mancanza di un legame con l’omicidio per cui Mecja è a processo. Anche sulla convivenza ed il rapporto affettivo l’avvocato della difesa ha posto delle perplessità, parlando di coabitazione e dubitando ci fosse ancora un legame affettivo tra i due nel mese precedente all’omicidio.
Dal Ben è passato poi alle attenuanti, partendo dalla provocazione. Secondo la difesa, infatti, Mecja avrebbe ucciso la compagna a martellate a causa di stress e tensione per il tradimento di lei: “Un mix emotivo che ha portato ad un gesto così estremo quale l’uccisione della compagna” afferma l’avvocato difensore che ha sostenuto che l’imputato soffrirebbe di un “disturbo della sfera affettiva”.
La difesa ha infine puntato a valorizzare il comportamento dell’imputato post omicidio sostenendo che, quantomeno per la confessione, si dovrebbero concedere le attenuanti generiche. “Se l’imputato avesse voluto sottrarsi alla giustizia staremo facendo un processo indiziario complicatissimo. Tutto ciò non è stato perché l’imputato ha confessato”. Anche il tentativo di comunicare con l’autorità giudiziaria tramite le telefonate che l’imputato avrebbe fatto il giorno dopo alle forze dell’ordine e la scelta di tornare dall’Albania sarebbero indice, secondo il difensore, di pentimento e collaborazione con la giustizia e meriterebbero di essere valorizzate nella scelta della pena da espiare. L’avvocato difensore si è conclusivamente appellato alla corte e chiedendo che vengano valutati tutti gli aspetti nella scelta della pena, “avete strumenti efficaci per dare una pena contenuta”; la forbice per il reato, secondo il difensore, andrebbe dai 14 anni all’ergastolo.
La richiesta di 550 mila euroIl legale di parte civile Gianmarco Tosetto, che assiste l’ex marito di Mocanu ed il figlio di 10 anni, affidato ai nonni materni in Romania, ha condiviso le conclusioni della pubblica accusa ed ha chiesto la condanna al risarcimento del danno di 500 mila euro per il figlio e di 50 mila per il marito. Il 27 marzo ci sarà l’ultima udienza, dove seguiranno le repliche delle parti ed si arriverà a sentenza.
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