Società | Gastronomia

Stelle opache?

Il primo studio di genere sull’alta ristorazione dice che le chef stellate sono poco (ri)conosciute. Matscher (Zum Löwen): “Non è vero che per le donne non c’è mercato”.
Anna Matscher
Foto: cipriamagazine

Il record di chef stellate è tutto italiano: sono 45 sulle 134 in tutto il mondo eppure si conoscono poco. Secondo il primo studio di genere sull’alta ristorazione “cinque donne chef su dieci fanno fatica a trovare finanziamenti per un’attività in proprio se non sono accompagnate da un uomo, sei chef su dieci si sentono poco riconosciute nel loro lavoro. Sette su dieci pensano di aprire un ristorante con amici o familiari per avere una rete di protezione. E perché nessun altro investitore le cerca”, spiega al Corriere della Sera Silvana Chiesa, docente di Storia e cultura dell’alimentazione all’università di Parma e coordinatrice della ricerca (ancora inedita).

L'Olimpo del gourmet, dunque, sembrerebbe ancora appannaggio maschile, sono infatti 298, ovvero più del doppio rispetto alle donne, gli uomini premiati dalla guida Michelin 2017. Questione di maggior talento? Di scarsa visibilità (eccezion fatta per le tristellate Nadia Santini e Annie Féolde), piuttosto, riassume Chiesa, e di una “predominanza del modello maschile della gestione della cucina”. Indicativo il fatto che nella classifica dei The World’s 50 Best Restaurants, gli oscar della gastronomia internazionale, ci sia una categoria ad hoc per le donne: The World’s Best Female Chef, vincitrice di quest'anno è Ana Roš (69esima nel ranking) dell’Hiša Franko di Kobarid, in Slovenia.

Un quadro non esattamente esaltante, ma per Anna Matscher, unica donna chef stellata dell'Alto Adige, la situazione non è così catastrofica. “Non vedo grandi differenze fra uomini e donne quando si tratta di cucina - afferma Matscher, che dal 1987 guida, insieme al marito Alois, il ristorante Zum Löwen di Tesimo -, non nego di aver faticato molto per affermarmi come chef, ricordo ancora lo scetticismo da parte dei miei colleghi maschi quando mi assegnarono la stella nel 2007, ma mi sento assolutamente riconosciuta nel mio lavoro”.

Le difficoltà, come in qualsiasi ambito professionale, sottolinea la cuoca, hanno sempre a che fare con il conciliare famiglia e lavoro, “e questo vale ancora di più per le donne, quando mia figlia era molto piccola la portavo con me al ristorante, la mettevo nel seggiolino e mi davo da fare in cucina, ecco, non credo che queste siano dinamiche che gli uomini che fanno questo mestiere, e non solo, si trovano di norma a dover affrontare, seppure negli anni le cose, da questo punto di vista, siano evidentemente cambiate”. E a proposito di cambiamenti: “Quando ho iniziato io, da autodidatta, 30 anni fa, era tutto diverso, certo io posso contare su un certo vantaggio, anche a livello di visibilità, essendo l’unica con la stessa Michelin qui in Alto Adige, ma credo in generale che le donne abbiano meno difficoltà ad emergere rispetto a un tempo”.

Bando ai lamenti, sembra voler dire la star dello Zum Löwen, e olio di gomito, invece: “Bisogna sudare, perché è un lavoro duro e sacrificante, e occorre farsi conoscere, mettersi in evidenza per ottenere più opportunità”, riflette Matscher che aggiunge: “Lo vedo nel mio ristorante, dobbiamo meritarci quella stella ogni giorno, stupire i clienti, senza contare che quelli più abituali chiedono di assaggiare, comprensibilmente, piatti sempre nuovi”. Non condivide infine la chef la tesi secondo la quale se la maggior parte delle stellate lavora in ristoranti di famiglia è perché, tolta tale alternativa, per loro non c’è mercato. “Anni fa abbiamo rilevato quella che era la vecchia trattoria dei nonni di mio marito, d’accordo, ma io dico che se una è brava il mercato è dappertutto e, soprattutto, accessibile”.