Lo sport in tutta la sua essenza
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Pensavo ad un viaggio a St. Pauli da prima del Covid. Da quando, cioè, un amico, durante una cena, mi parlò della squadra di Amburgo “con una tifoseria vigorosamente antirazzista e antifascista”. Così, nell'estate 2022, all'annuncio che la formazione di Amburgo svolgerà il ritiro precampionato in val Passiria, colgo ì l’occasione per scriverne. Mi faccio raccontare tutto sui "Pirati" da Massimo Finizio, direttore di Tuttostpauli.com, il sito-agenzia che divulga in Italia il “verbo” sanktpauliano (e più in generale aggiorna sugli aspetti sociali del calcio germanico).
Da quel momento mi pongo l'obiettivo di trascorrere qualche giorno nella città da me intravista nell’estate 1987, allora 16enne, attraverso una minicrociera sull’ Elba . Il ricordo del contesto di quella gita è piuttosto sfocato ma è ancora nitida l’immagine di un ragazzo con una cresta rossa seduto su un davanzale con la gamba a penzoloni e in sottofondo la guida che ci racconta delle case occupate. A quell'età per me che venivo dalla via Resia anni Ottanta squatter e punk erano creature assimilabili a quelle che frequentano i bar nella saga di Star Wars. Extraterrestri.
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Accade quindi che sabato 19 ottobre, nella pausa tra primo e secondo tempo della partita tra FC Südtirol-Pisa, vedo che nel weekend successivo il St. Pauli gioca a Millerntor contro Wolfsburg, la città della Volkswagen. Su Tuttostpauli leggo che a giorni inizierà la vendita delle quote della cooperativa fondata per rifinanziare la società, la prima del suo genere nel calcio professionistico Il momento per fare il viaggio sembra perfetto. Sul sito Skyalps scopro che c’è un volo diretto ad un prezzo non esagerato Si fa, quindi. Il Südtirol contro i toscani alla fine perde ma esco dallo stadio di buonissimo umore. Elettrizzato, direi.
Qualche giorno più tardi, martedì, la rivista Ultimo uomo approva la proposta di reportage che ho loro inviato (uscirà il prossimo finesettimana). Ne sono felice: in Italia, infatti, il St. Pauli è conosciuto solo superficialmente. Quasi tutti ignorano la sorta di Eden sportivo-sociale racchiuso in quei pochi chilometri quadrati, un patrimonio che non è appannaggio solo degli estimatori di Che Guevara ma di ogni abitante del quartiere. Concordo inoltre con la rivista che parallelamente scriverò per SALTO qualcosa di più personale incentrato sul viaggio, più che sugli aspetti sportivi, e cioè l’articolo che, forse, qualcuno sta leggendo in questo momento.
Per me che venivo dalla via Resia degli anni Ottanta squatter e punk erano creature assimilabili a quelle che frequentano i bar nella saga di Star Wars.
Non decollavo dall’aeroporto di Bolzano da almeno 10 anni. Quando l’aereo stacca il carrello da terra, come ogni volta che mi trovo a guardare la città dall'alto, non riesco a fare a meno di pensare che la mancanza di terreni per costruire case sia in realtà una favola alla quale si è costretti a credere se non si vuole passare per cementificatori senza cuore. Ma tant’è. Così è e così sarà fino a quando non crollerà il prezzo delle mele. Per non farmi il sangue troppo amaro aguzzo subito la vista fingendo di poter individuare le vette alpine, i laghi, i centri abitati che stiamo sorvolando. Non ne riconosco uno che sia uno, ma è comunque una meraviglia. Davvero Annibale le ha attraversate con gli elefanti, le Alpi?
Tocchiamo il suolo all’Helmut Schmidt addirittura in anticipo di 20 minuti. Mi faccio trovare alla corsia dei taxi con la valigia presa dal nastro trasportatore qualche minuto prima dell’orario di atterraggio previsto. Massimo mi viene incontro e ride. “Siamo oltre la precisione teutonica, ma io lo sapevo, qui le cose vanno così”, dice.
Nato a Ravenna da padre napoletano e madre trasteverina, Massimo Finizio è un pozzo di scienza calcistica e un attivista “vecchio stampo”. Vive da 20 anni a St. Pauli, ovviamente a tre minuti di cammino dall’entrata della Gegengerade, la tribuna est di Millerntor con 13.000 posti in piedi. Le pareti dello studio in cui dormo e quelle del grande soggiorno di casa sono ricoperte di gagliardetti, foto storiche e biglietti delle centinaia di partite a cui ha assistito in giro per l’Europa. Il mio ospite ha una passione per la figura di Garibaldi, dice che i libri di scuola ne danno una visione distorta e mi racconta un sacco di aneddoti che mi incuriosiscono. Massimo, assieme ad alcuni tifosi italiani dei “Pirati”, nel 2019 ha fondato le Brigate Garibaldi che riuniscono oggi oltre 300 soci da tutta Italia “sotto un'unica bandiera antirazzista ed antifascista”. Il nome richiama ovviamente le formazioni partigiane organizzate dal Partito Comunista Italiano alla fine della Seconda guerra mondiale. Allo stadio le Brigate si posizionano in una piccola area accanto agli “skinheads di sinistra”. Esistono ancora, sì. Le teste rasate antirazziste si ritrovano peraltro in un piccolo bar esattamente sotto casa di Massimo. E’ lì che ci facciamo regolarmente il bicchiere della staffa prima di andare a dormire, mentre all’interno, come in altre decine di bar, si balla. Venendo dalla città della musica (silenziata) Unesco mi sento un po’ come Pinocchio nel Paese dei balocchi.
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Massimo mi ha preparato una scaletta di incontri impressionante. Il primo è fissato allo stesso orario dell’atterraggio. Al Centro di formazione per ciechi e ipovedenti è in corso l’amichevole Germania-Inghilterra di calcio non vedenti femminile.
L’atmosfera è strana. Aleggia un po’ di tensione. Il silenzio del pubblico necessario alle giocatrici per sentire i sonagli racchiusi nel pallone è interrotto dalle indicazioni molto secche degli allenatori e delle ragazze vedenti che difendono la porta. Gli urti sono frequenti, per questo le giocatrici portano quelle che da lontano sembrano maschere da realtà virtuale ma sono delle protezioni. In campo c’è molto agonismo. Quando la capitana delle germaniche mette la palla in rete con un tiro sotto la traversa esplode la gioia di tutti i presenti. Un tuffo al cuore. Realizzo solo a quel punto che non sto assistendo a un atto caritatevole, ma ad un momento di sport. Le giocatrici sono atlete che vanno in campo per vincere. Per non parlare di Lupo, il loro allenatore. “Mi arrabbio molto quando perdiamo”, mi dice, la sera successiva, davanti ad un’Astra Bier nella ClubHeim di Millerntor. Wolf Schmidt – questo è il suo nome – ha cominciato nel 2004 facendo le telecronache per i non vedenti che andavano sugli spalti.
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Da un suggerimento di Massimo, allora dirigente eletto del St. Pauli prese poi piede l’idea delle partite di calcio. Oggi il Blindefussball è una realtà importante in Germania con un campionato a cui partecipano 8 squadre perlopiù legate a formazioni di Bundesliga. Nonostante l’anno scorso il Borussia Dortmund abbia soffiato al St Pauli Jonathan, il fuoriclasse degli amburghesi, a settembre i Pirati hanno vinto il loro quarto campionato. “Sono l’allenatore più vincente del St Pauli” dice, ridendo, Lupo.
Accanto alla ClubHeim nota una sala piena di biliardini. Sono in corso gli allenamenti di alcuni dei 600 soci che partecipano ai campionati di “Kickern”. Molti giocano in due contro due, mentre un ragazzo prova da solo colpi e movimenti che non avevo mai visto prima. Sicuri che qui non si stia girando un film di fantascienza?
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Nel pomeriggio di venerdì vediamo i responsabili di un’azienda di produzione cinematografica. Non si può ancora dire molto, ma Massimo sta lavorando con un regista italiano alla stesura della sceneggiatura di un film sul St. Pauli. L’incontro va piuttosto bene. Le riprese dovrebbero cominciare entro l’estate prossima. Ceniamo poi in una taverna greca assieme ad altri tre tifosi delle Brigate Garibaldi arrivati da Milano, Brescia e Bergamo. “Sei mai stato sulla Reeperbahn”, mi chiedono a più riprese con un sorriso. Prima di partire non sono riuscito a leggere nulla, non ho idea di cosa sia. In attesa dell’ammazzacaffè su Wikipedia leggo che è una via di St. Pauli famosa per i suoi locali e negozi prevalentemente a luci rosse. La strada, anche nota come die sündige Meile, vale a dire “il miglio peccaminoso”, un tempo era frequentata dai marinai.
Ci arriviamo poco dopo mezzanotte. Il fiume di gente è impressionante. Le luci, i colori, le insegne, gli odori, le facce, i corpi che incontriamo sono talmente tanti che quando svoltiamo in Die Große Freiheit non ne ricordo nemmeno uno. Mi sento come dentro un turbine. Massimo mi racconta che nei locali della “Grande libertà” negli anni Sessanta mossero i primi i passi i Beatles e pure Mino Reitano, ma negli anni Settanta e Ottanta suonarono poi tutti i più grandi. Sono piuttosto disorientato. Per me è già un’overdose di umanità fare tutti i giorni lo slalom con la bicicletta fra i turisti germanici che arrivano in via Dr. Streiter per farsi un veneziano. Mentre sto lì con gli occhi sgranati ad un certo punto non riesco a reprimere un pensiero assurdo: chissà quanti cittadini amburghesi entusiasti di visitare la mia placida città ho schivato, tra un’imprecazione e l’altra.
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Provo a fare mente locale, e arrivo ad una conclusione: non ho mai visto una così alta concentrazione di locali in cui si balla, si suona musica dal vivo e si fa “casino” come in quel miglio peccaminoso. Una gigantesca giostra per lo spirito fatta di volti sorridenti e battute sguaiate, ma anche di sguardi alcolici e alienati, di tipi e tipe vestiti e truccati nei modi più strani ma anche di molta gente “normale” alla ricerca di qualcosa di non ordinario. Per un attimo penso a come debba vivere chi sta dall’altra parte del divertimento, a quanto meno a proprio agio si trovi chi in questo momento sta lavorando per intrattenere anche me. Ma subito il mio sguardo viene rapito da un’altra insegna colorata che dimenticherò nel giro di pochi secondi.
Massimo, mio instancabile Virgilio, vede che mi aggiro per le strade di St Pauli come un’anima del limbo che avverte il desiderio – inappagabile a Bolzano - di vivere qualche scampolo di vita metropolitana. Roba soft, comunque. Già entrare in un locale dove la gente balla senza lasciarci 15-20 di euro di entrata è un piccolo miracolo, per me. Lasciamo quindi il fiume in piena della Reeperbahn, camminando ancora un po’ verso il fiume Elba. Ci facciamo il classico “shottino” da Onkel Otto, il locale punk storico più famoso della città. Bello. Ancora credibile, qualunque cosa voglia dire essere punk oggi. Ma va anche detto che a cinque metri dall’entrata, non solo a quest’ora, si spaccia qualsiasi sostanza a uno venga in mente. E’ l’altra faccia della medaglia. L’essere un maschio caucasico grande e - soprattutto - grosso aiuta a stare sereni. Non lontano c’è Park Fiction: due campi da basket all’ombra di quattro palme finte che danno sul fiume. Qui è nata e cresciuta la sezione basket dell’associazione St. Pauli.
E’ ormai notte fonda, non siamo giunti all’inizio della selva oscura ma sulla sponda destra dell’Elba. Sull’altra si estende, a perdita d’occhio, il porto. Non so perché, ma, da sempre, tutti i porti, anche minuscoli, esercitano un grande fascino u di me. E’ nell’area in cui ci troviamo che a partire dai primi anni Ottanta punk e squatter occupano decine di stabili comunali vuoti destinati alla demolizione. L’area è per diversi anni teatro di tensioni e scontri con la polizia. Gli oltre 1.000 abusivi installano nelle case porte d'acciaio, saldano e sbarrano le finestre al piano terra, bloccano le scale. Ad un certo punto, mi racconta Massimo, nel novembre 1987, un esercito di 5.000 agenti di polizia è pronto a prendere d’assalto le abitazioni per “ripulire” la zona. All’ultimo istante, come in un film, il sindaco Klaus von Dohnanyi, sorprendendo tutti, firma un contratto di locazione e le barricate vengono smantellate.
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Leggo poi che nel 1993 il Tribunale regionale superiore anseatico di Amburgo riconosce la risoluzione del contratto di affitto come legittima a causa della cattiva condotta dei residenti, ma nel 1994, l'allora sindaco Henning Voscherau si offre di rinunciare allo sfratto e alla demolizione se i residenti accettano lo sviluppo dello spazio adiacente. Nel 1995, la città vende 11 stabili alla cooperativa “Alternativen am Elbufer”, fondata appositamente per questo scopo dagli occupanti/affituari, e gli edifici vengono ristrutturati. La città si fa carico della maggior parte dei costi mentre la cooperativa contribuisce con 1,3 milioni. Oggi le case colorate sulla Hafenstraße sono lì, visibili a tutti, a ricordo delle lotte portate avanti da punk, squatter, autonomi, comunisti e utopisti vari. Anche questo rende St. Pauli un posto forse unico in Europa. E’ tardissimo. In Reeperbahn il fiume di anime e corpi scorre ancora impetuoso. Vado a letto stremato ma contento come un bimbo al rientro dalla gita scolastica. Che città meravigliosa, Amburgo!
Sabato è il giorno della partita e non si pensa a nient’altro. Massimo e sua moglie Antje preparano una ricca colazione a cui è invitata una splendida famiglia (genitori e due figli) di loro amici di Potsdam. Si parla di calcio, di Südtirol, ma si ride anche parecchio alle battute di Massimo. Un’ora e mezza prima del fischio d’inizio ci incamminiamo verso lo stadio e mi sale un poco d’ansia. Per guadagnarmi l’accredito stampa devo fare una cronaca in diretta sul sito Tuttostpauli.com che funziona in modo piuttosto diverso da SALTO. Alla fine me la cavo senza difficoltà. La partita non è così avvincente, ma fingere per qualche ora di essere il giornalista sportivo che non sono, mi diverte.
Lo spettacolo sugli spalti è avvolgente, anche se i decibel dei cori, mi dicono, sono al di sotto della media. “La paura di perdere”, suggerisce Massimo. Finisce 0-0, lasciando delusi i Pirati che avevano bisogno di una vittoria per togliersi dalle pericolose acque in cui stavano navigando. Per 90 minuti sulle tribune si è visto un tripudio di bandiere arcobaleno in risposta a Kevin Behrens, giocatore del Wolfsburg che qualche giorno prima si era rifiutato di firmare una maglia multicolore ritenendola “una cosa da gay”. Incauto da parte sua dire una cosa del genere prima della partita contro il St. Pauili. Inevitabili le bordate di fischi al suo ingresso in campo.
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L’indomani, domenica, è il momento di seguire il calcio femminile nei due campi adiacenti allo stadio. Contemporaneamente giocano la prima e la quarta del St. Pauli contro la prima e la quarta squadra dell’Eimsbüttler TV, il quartiere confinante (cosa questo voglia dire lo spiego in un box in fondo, ndr). Il pubblico a bordo campo scandisce Sankt-Paulì Sankt-Paulì con l’accento sulla i, il coro che di solito fa vibrare il pavimento di Millerntor. Il livello del gioco è buono, l’atmosfera di festa. A fine partita le ragazze di tutte e due le squadre vengono acclamate contemporaneamente dai tifosi con le bandiere biancomarroni. Sankt-Paulì - Sankt-Paulì. L’idea di sport che deve stare lassù da qualche parte nell’iperuranio non sarà poi tanto diversa da quello che si vede qui.
"Otto squadre femminili in due quartieri di una città", mi ripeto dopo la partita mentre entro nell’impressionante flusso di persone che camminano sulla rampa panoramica del Bunker a ridosso dei campi da calcio. Un parallelepipedo gigante, con una base quadrata di 70 metri per lato, originariamente alto oltre 40 metri, con pareti di cemento armato spesse tre metri e mezzo. L'imprenditore Mathias Müller-Using di recente ha trasformato questo simbolo di guerra in un'oasi verde, integrandolo nel tessuto urbano di Amburgo. Arrivati sul tetto, oggi a 60 metri d’altitudine, si gode di una vista meravigliosa. Ci si può poi anche rilassare in un parco vero e proprio con panchine, alberi e prati. Nei piani aggiunti con la ristrutturazione l'edificio ospita un hotel con 134 camere, un ristorante, un bar, una caffetteria, spazi per la comunità e una sala eventi per 2.200 persone, che di giorno viene utilizzata per lo sport scolastico. L'associazione di quartiere Hilldegarden, che ha partecipato alla progettazione della rampa verde, si occupa del sito commemorativo e delle coltivazioni di ortaggi che si trovano sugli aggetti dell'edificio. What else?
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Nei “momenti liberi” con Massimo percorriamo decine di chilometri a piedi. Mi mostra l’anima proletaria, di sinistra e anarchica del quartiere, che vota per l’80% partiti che vanno dalla Spd alla Linke, come peraltro i due rioni confinanti: passiamo dalla sede storica della fabbrica di penne Mont-Blanc, mi fa notare il selciato che raffigura una grande stella in un cortile interno, gli innumerevoli tributi agli eroi anarchici Sacco e Vanzetti, i centri sociali tematici più disparati, le birrerie di quartiere, le case occupate, l’interminabile via del mercato del pesce, e l’incredibile spiaggia di St. Pauli, alle cui spalle si trovano le ville dei benestanti della città. “Amburgo, al di là delle apparenze, è una città molto ricca fin dal Medioevo. Ha infatti il più alto Pil pro capite della Germania”, mi spiega Massimo. Ricca e tollerante: non dappertutto, dunque, questo è un ossimoro.
Ad Amburgo hanno sede Der Spiegel, Die Zeit e Stern, mentre il comparto industriale vanta il meglio dell’industria aerospaziale continentale (Airbus) e una altissima densità di filiali europee della “Nasdaq-industrie”, da Google ad Adobe. La città ospita uno dei poli universitari con più studenti della Germania e la più grande sede europea di Greenpeace con 300 dipendenti. Per non parlare del porto, che è sicuramente uno dei più grandi al mondo ma non ci tiene neppure a specificarlo. Amburgo appare come una città che pulsa di idee, di cultura, di ricchezza, di storia anseatica ma anche di modernità, una città che contiene le mille contraddizioni dell’oggi e cerca di affrontare il disagio sociale senza nasconderlo sotto al tappeto. Non è ovviamente un luogo perfetto in sé, ma lo sento perfetto per me. In questo momento, almeno.
Lunedì è in programma l’intervista più densa di contenuti con Julian Kulawik, uno dei responsabili della sezione Amatori dell’Associazione. La chiacchierata dura oltre un’ora e mi proietta nella incredibile realtà sportiva di St. Pauli. Prima di uscire da Millerntor, faccio un ultimo scatto alla grande scritta che campeggia sul muro d’ entrata: “Ein anderer Fussball ist möglich”. “Un altro calcio è possibile”. Fossimo in Italia, credo, il verbo bisognerebbe declinarlo al condizionale.
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Nel pomeriggio mi concedo un’ultima passeggiata a velocità ridotta nei luoghi che più mi hanno colpito nei giorni precedenti. Realizzo che non ho ancora messo il naso fuori da St. Pauli e che ci sarebbero un milione di altre cose da vedere. Poco male, ci tornerò presto. Salgo di nuovo fino al parco in cima al Bunker. Ripenso a tutto ciò che mi ha raccontato Julian (che sintetizzo nel box in fondo, ndr) e mi convinco definitivamente che il modello germanico incarni tutto ciò che manca al sistema dello sport in Italia.
Rispetto al resto d'Italia l'Alto Adige, almeno in questo ambito, è ancora un’isola felice. La Provincia di Bolzano sostiene abbastanza generosamente le associazioni sportive e il numero di praticanti nelle varie discipline è alto. Nel territorio c’è poi grande abbondanza di impianti, anche se non nel capoluogo.
Rileggo al cellulare un po’ di articoli per mettere a confronto la realtà altoatesina e quella germanica. Mi chiedo: potrebbe l’Fc Südtirol fungere in qualche modo da traino per l’intero sistema sportivo altoatesino? Al momento mi pare di poter dire di no. La squadra biancorossa è gestita da una Srl con 32 soci, che – economicamente parlando - finora hanno tenuto i piedi ben ancorati a terra. Anche troppo, secondo una parte dei tifosi, che speravano in un aumento dei capitali a disposizione. Ritrovo un’intervista di un paio d’anni fa in cui l’ a.d. della società Dietmar Pfeifer mi racconta che il Südtirol è anche un’associazione che conta 900 soci. Non pochi. A differenza di quanto avviene nel modello germanico, però, è attiva solo in ambito calcistico e conta poco o nulla nelle dinamiche della società che gestisce la prima squadra. In Germania molte formazioni di Bundesliga, a partire dal St. Pauli, sono invece gestite con la famosa “deroga del 50+1” direttamente dalle associazioni. L’Fc Südtirol forse non è ancora abbastanza radicato nel territorio, e soprattutto a Bolzano, per tentare di percorrere una strada del genere. Ma anche se lo fosse, difficilmente i 32 soci sarebbero disposti a rinunciare al potere che oggi hanno. E lo si può comprendere. “Ein anderer Fussball ist möglich”, forse. Ma non in Italia e neppure in Alto Adige.
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Dall'associazione alla coop
Di seguito sintetizzo per punti le particolarità del “sistema St. Pauli” che sono invece oggetto dell’abbondante reportage che uscirà su Ultimo uomo.
Nasce la coop
In Germania nello sport professionistico una norma impone che almeno la metà più una delle azioni debbano essere di proprietà di una Eingetragener Verein. (Il meccanismo di esenzioni che hanno permesso ad alcuni club di non rispettare il 50+1 è spiegato qui)
L'FC St. Pauli difende strenuamente questo principio ed ora è andato anche oltre per dimostrare al mondo del calcio che questa idea democratica di base è possibile anche nel finanziamento delle squadre di calcio! Ed ha fondato una cooperativa. Dal 10 novembre sono in vendita le quote a 750 euro l’una, ma se anche qualcuno ne acquista 10 o 100 il suo voto vale sempre 1. La coop gestirà lo stadio e dovrà renderlo ecosostenibile e a misura di tifoso. Già oggi, comunque, ospita all’interno un asilo nel quale possono essere lasciati i bimbi durante le partite, ristoranti e negozi per il merchandising.
Un’associazione gigante
L’associazione sportiva St. Pauli ha 48.500 soci di cui quasi la metà sono “sostenitori” che non praticano sport in una delle 23 sezioni. L’80% dei soldi raccolti con le quote associative vengono impiegati per progetti di sviluppo sportivo di giovani talenti. Ogni sezione ha poi i propri “quadri dirigenziali” per cui le persone elette sono circa 150 e 500 i volontari che prestano gratuitamente la loro opera. Di seguito una parte delle sezioni che vanno a comporre il pianeta St. Pauli: beach volley (250 praticanti), Calcio non vedenti, Bowling (100 praticanti), Boxe, Darts (180 iscritti), Calcio femminile amatori (9 squadre, di 5 “under”), Calcio maschile amatori (6300 praticanti!), Futsal, Pallamano (4 squadre femminili, 6 squadre maschili, 1 squadra “inclusiva” e un intero settore giovanile), Birilli, Maratona, Ciclismo (900 iscritti), Rugby (1.500 iscritti), Scacchi (450 praticanti, la squadra principale disputa la Champions League), Biliardino (660 iscritti). Una sezione è infine dedicata poi ad un'altra dozzina di sport minori e attività del tempo libero.
Il tifo
In Germania i coordinamenti tifosi (quello del St Pauli si chiama Fanladen) hanno avuto un ruolo molto importante nel riempire gli stadi e nel cercare di ridurre la conflittualità tra i tifosi. Il Fanladen, per dire, è regolarmente coinvolto nelle riunioni con le forze di pubblica sicurezza che precedono le partite. Nel coordinamento del Fanladen lavorano otto (!) giovani operatori pagati non dalla società ma dal Comune di Amburgo, e fra questi uno è il rappresentante ufficiale dei tifosi e un altro è il rappresentante dei tifosi disabili. La struttura si occupa del ticketing, organizza le trasferte e prende contatti con le tifoserie rivali, organizzando incontri tra i tifosi delle fasce più giovani. Il Fanladen di Millertor è inoltre un vero e proprio centro giovanile con calcetti e ping pong.