Cronaca | Il caso

E l’Asl ignora l’app aiuta-medici

reCOVeryaID per il monitoraggio dei pazienti Covid: l’Azienda sanitaria prima si interessa poi fa “ghosting”. Il prof. dell’unibz Calvanese: “Nessuno ci ha più cercati”.
Medici
Foto: upi

Rischia di restare in un “cassetto” reCOVeryaID, l’app per monitorare la salute dei pazienti Covid-19 da casa, realizzata dalla ricercatrice dell’unibz Daniela D’Auria con la collaborazione di Diego Calvanese (supervisore) e Andrea Janes (nella fase di prototipazione). Uno strumento pensato per supportare il sistema sanitario altoatesino - travolto dalla seconda ondata dell’epidemia - a fronteggiare l’aumento dei casi di infezione. Ma quello stesso sistema sanitario questo aiuto a quanto pare non lo vuole. Almeno non quello fornito da reCOVeryaID.

 

Prima sì, poi silenzio

 

La notizia di questa nuova applicazione, vanto dell’ateneo bolzanino, era rimbalzata la scorsa settimana praticamente su tutte le testate locali, ma non solo. Del resto la possibilità di consentire ai medici di famiglia di controllare da remoto il decorso dell’infezione da coronavirus è stata ampiamente recepita, in uno scenario fatto di ospedali al limite e bollettini quotidiani drammatici, come un ausilio efficace. L’app, peraltro, era già pronta per essere usata. “Ad agosto il progetto era sostanzialmente ultimato, abbiamo quindi contattato l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige per presentarglielo nei dettagli - dice a salto.bz il professor Calvanese che ha diretto l'équipe di ricerca dell’unibz - e l’interesse c’era”. Poi però per i successivi due mesi più niente. “Siamo rimasti in sospeso - prosegue il docente -, nessun riscontro ci è arrivato dai tecnici dell’Asl, la comunicazione in pratica è diventata unidirezionale”. Nessuna spiegazione. “Ammetto che ci siamo rimasti male”.

 

E ora?

 

Il punto è che l’app una volta realizzata doveva essere sperimentata. E per fare questo aveva bisogno di pazienti. Ma c’era il discorso privacy. Se installata sui server della Asl, che ha tutti i dati sanitari personali (garantendone la riservatezza) dei pazienti, il problema poteva essere facilmente risolto. Tutto si complica invece se i server sono quelli dell’università, dovendo soddisfare tutta una serie di requisiti sulla privatezza che passano dal consultare il Responsabile della Protezione dei Dati, al richiedere autorizzazioni, al coinvolgere la Commissione etica. Un iter che richiede tempo, e il fattore tempo, va da sé, in questo momento è fondamentale: l’app sarebbe utile adesso.

Con un ritardo sulla tabella di marcia di oltre due mesi il nodo da sciogliere resta quindi uno: dove installare la parte server dell’app reCOVeryaID. Il team non si arrende e nel frattempo sta prendendo contatti con la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, con il quale l’unibz ha già collaborato in passato, alla ricerca di soluzioni. D’altro canto l’applicazione, come dichiarato dagli stessi realizzatori, potrebbe essere vantaggiosa anche nei prossimi mesi e anni, nell’era post-Covid. E forse, altrove, c’è chi dimostrerà più lungimiranza.