“Ronaldo? Un vero fenomeno”
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92 presenze in serie A, tutte con la maglia del Piacenza e 291 in serie B con le casacche di Verona, Andria, Pescara, lo stesso Piacenza e Genoa. Uno dei bolzanini, nati tra la fine degli anni 60 e i primi degli anni 70 ad approdare nel grande calcio assieme a Stefan Schwoch, Andrea Guerra e Paolo Orlandoni. Lui è Gianluca Lamacchi, che oggi ha 52 anni, e che dopo aver girovagato per l’Italia ad inseguire un pallone, è tornato a vivere nella sua città d’origine e da quando si è ritirato non ha mai più toccato un pallone.
SALTO: Gianluca, ci racconta come è iniziato il cambiamento della sua vita con il passaggio dall’Inter club Bolzano al Siena?
Gianluca Lamacchi: Avevo 14 anni e un giorno al campo di allenamento si presenta Ferruccio Mazzola, fratello di Valentino, che afferma che deve portare un ragazzo della società al Siena. Con l’occasione il nostro presidente gli ha fatto notare come c’era un altro bravo giocatore (proprio Lamacchi ndr) e alla fine sono andato a Siena anch’io: ho fatto una stagione con la formazione Allievi e poi sono passato al Verona.
“C’è da dire che non facevo proprio la vita da calciatore, ma piuttosto sembrava quella di una rockstar. La sera ero sempre in giro”
Il calcio cosa le ha dato?
Tutto. La mia famiglia non poteva permettersi di farmi studiare, tant’è vero che finite le scuole medie sono andato subito a lavorare come idraulico. E l’ho fatto per un mese, poi sono andato al Siena. Il pallone mi ha dato la possibilità di girare di fatto tutta l’Italia, per me il Paese più bello del mondo, e in più mi ha fatto stare bene dal punto di vista economico.
Ha dei rimpianti?
Avrei voluto avere un’altra testa e certamente sarei riuscito a fare di più. Ero un po’ pazzerello e mi sono scontrato spesso con gli allenatori. C’è da dire che non facevo proprio la vita da calciatore, ma piuttosto sembrava quella di una rockstar. La sera ero sempre in giro, in particolare nel periodo in cui ero a Piacenza, ero sempre a Milano a cena e fare baldoria.
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Ha ancora delle amicizie nel mondo del calcio?
No, non frequento, né sento più nessuno. D’altronde normalmente sei molto legato a delle persone, poi ognuno prende la propria strada e piano piano tutto va a finire. Frequentavo molto, tra gli altri, Statuto, Manighetti, Simone Inzaghi e Alessandro Lucarelli.
Qual è il ricordo più bello di quando era calciatore? E quello più brutto?
Il più bello la salvezza ottenuta con il Piacenza con Novellino allenatore. Il più brutto la retrocessione con il Genoa: avevamo vinto il campionato di B quell’anno ma per delle “cavolate” della società (una partita fu aggiustata ndr) retrocedemmo in serie C a tavolino.
Chi è il giocatore più forte con cui ha giocato e quello più difficile da affrontare?
Il giocatore più forte che ho avuto in squadra, certamente Stroppa. Come avversario Ronaldo, il Fenomeno: una roba spaziale.
“Non ho più toccato un pallone da quando ho smesso. Non ce la facevo più, era da quando avevo 5 anni che giocavo”
C’è un allenatore a cui deve dire grazie in particolare?
Novellino. Mi ha fatto crescere come calciatore e come uomo. Lui stravedeva per me, ero quasi un figlio per lui e mi ha fatto fare il contratto della vita a Piacenza. Inoltre era bravissimo ad insegnare calcio.
Si è ritirato nel 2006. A calcio gioca ancora ogni tanto?
Non ho più toccato un pallone da quando ho smesso. Non ce la facevo più, era da quando avevo 5 anni che giocavo. Ho proprio cambiato vita.
Il calcio lo segue comunque ancora
Si guardo le partite, e seguo soprattutto il Verona.
Ora cosa fa nella vita?
Da quando ho smesso di giocare mi occupo di gestire alcuni immobili che ho acquistato nel corso degli anni.
Ad un ragazzo che vuole avvicinarsi al calcio con il sogno di arrivare in A cosa consiglia?
Di crederci, perché soprattutto nel settore giovanile non ti regala niente nessuno.
Per arrivare al grande calcio ha fatto tanti sacrifici?
Quando sono andato al Siena avevo 14 anni e mezzo mi hanno rinchiuso in un collegio con gli altri calciatori. Non si poteva uscire la sera, erano molto severi: i sacrifici però, se vuoi arrivare, li devi fare.