Società | Voci dalla Piazza

Di cosa hanno bisogno le nostre città?

Di ragazzi, più di ogni altra cosa. Che vengano da altrove per vivere un tempo lungo della propria vita qui. Eppure i ragazzi vanno via e nessuno viene. Servono spazi liberi. Una proposta per piazza Vittoria.
Vecchia Cappelli
Foto: Valentino Liberto/SALTO
  • Di cosa hanno bisogno le nostre città? Di ragazzi, più di ogni altra cosa. E di ragazzi particolari: gente che venga da altrove per vivere un tempo lungo della propria vita qui. Che vadano a farsi un giro i nostri ragazzi, che restino altrove con gioia, il punto è che i loro ragazzi girano ugualmente ma raramente scelgono l’Italia, figurarsi l’Alto Adige. A dispetto di quello che vediamo sui profili social del conoscente invasato di turno (tutti abbiamo un conoscente invasato che crede di vivere nel migliore dei mondi possibili) non viviamo in una terra che attrae i migliori. È incredibile ma è così: soldi ovunque, incentivi per tutto eppure i ragazzi vanno via e nessuno viene. Dove stiamo sbagliando?
    Ci ho pensato tanto in questi giorni e la risposta come sempre “soffia nel vento”. Il vento nuovo l’ha portato nella nostra città il primo Südtirolo Pride, con migliaia di ragazzi, sudtirolesi e non, che hanno invaso le strade della città come un fiume in piena e hanno chiesto gentilmente di fare spazio a quelli che vivono nel silenzio dell’acqua cheta. Il Pride ci ha mostrato che il motto della Thatcher “TINA” (There Is Not Alternative), non esiste alternativa al sistema, può essere messo in discussione. E per mettere in discussione l’esistente bisogna passare dai ragazzi, preferibilmente allevati altrove, allevati nella fame, con il cuore leggero e con voglia di fare.
     

    Sto riascoltando in questi giorni un disco uscito nel 2014. Si tratta di un esordio che ha ottenuto un vasto consenso tra la critica musicale e i cantautori italiani. Il disco è “Manuale distruzione” della cantautrice Levante, pseudonimo di Claudia Lagona. L’apprezzamento dei colleghi per questa opera prima è stato così duraturo che Levante nel 2024 ha deciso di coinvolgere alcuni di loro in un progetto discografico in cui cantano con lei i pezzi del primo album: il disco del 2024 si chiama “Manuale distruzione. 10 anni dopo”. Tra gli altri ci sono artisti che hanno fatto la storia della musica cantautorale italiana negli ultimi 30 anni: Francesco Bianconi, Daniele Silvestri, Malika Ayane, Brunori Sas. Senza dimenticare il sostegno di Max Gazzè che ha lanciato l’artista facendole aprire i suoi concerti nel 2013, facendo conoscere al pubblico, e che pubblico, alcuni dei pezzi che poi sarebbero confluiti nell’album d’esordio.

  • Il libraio Marcello Landi: nel 2023 ha aperto la Nuova Libreria Cappelli in piazza Vittoria a Bolzano. Foto: Valentino Liberto/SALTO
  • A un primo ascolto, l’album sembra una raccolta di brani isolati. Poi capisci che ha due fili conduttori: il disincanto e la voglia di farcela. Io, lo ammetto, ho una vocazione per il disincanto. La strage delle illusioni è una delle cose migliori che possa capitare a un essere umano: come diceva mia nonna, “l’importante è che tu sia infelice” (e lo auguro a chiunque voglia bene). Ma è il secondo filo che qui conta: la fame di emergere.

     

    Senza fame, non nascono artisti veri. Senza fame, le città sono obitori per turisti svogliati.


    Levante ha raccontato spesso quanto sia stato difficile farsi ascoltare. I primi tentativi a tredici anni, quando si presenta con due brani inediti voce e chitarra al Festival degli Sconosciuti. Passano altri tredici anni e lei è ancora lì, a servire ai tavoli di un bar, con la musica in testa e nessuno che la sente davvero. A ventisei anni si trasferisce a Leeds per inseguire un contratto discografico, ma il sogno diventa incubo: «Dormivo su un materassino in un bagno senza gabinetto. Era tutto finto. Sono tornata dopo due mesi distrutta». Da quell’esperienza, e dalla frustrazione del ritorno al bancone, nasce Alfonso, il primo singolo dell’album. 
    Tredici anni di apprendistato, di gavetta vera, con la speranza che brucia e il tempo che corrode i sogni. Sarebbe possibile questo in una terra dei sogni dove tutto ti viene servito senza sforzo?

  • Uno spazio libero, ma libero veramente

    Anna Carol con il suo album Principianti racconta proprio questa fame: non la miseria, ma il desiderio di dire qualcosa, la volontà di rischiare, la vocazione a sperimentare prima ancora che arrivi il successo (fame, in inglese). In un’intervista ha detto di Bolzano: «È fin troppo casa. Qui chi ha talento viene cullato e coccolato, e questo rischia di smorzare fame ed entusiasmo. È più facile campare di arte e musica, ma col tempo viene a mancare quello spirito di necessità, quella mancanza di sofferenza che ti spinge a dare di più e a provare nuove strade». Senza fame, non nascono artisti veri. Senza fame, le città sono obitori per turisti svogliati.

    Per questo Bolzano ha bisogno di uno spazio “occupato”, non nel senso dei centri sociali anni ’90 (abbiamo tutti troppo da perdere, non siamo all’altezza), ma nel senso di un luogo libero dai vincoli e dai soldi provinciali – il vero oppio della cultura altoatesina. Serve un contenitore vuoto, senza programmi preconfezionati, gestito da chi lo vive, non da chi lo finanzia.

     

    Ex Cappelli di piazza Vittoria? Ora si parla di darlo ai privati per farne l’ennesimo bar. Moriremo tutti seduti a un tavolino, con lo spritz tiepido e la musica di sottofondo sempre uguale.

     

    Qualcuno aveva pensato bene di destinare l’ex locale Cappelli in piazza Vittoria a… Alto Adige Riscossioni. Quale idea più mortificante per un luogo come Piazza Vittoria che da trent’anni si dice di voler “rendere vivo”? Uffici grigi, nel cuore della città, perfetti per chi sogna una “Bolzano ospizio”, coi servizi letteralmente sotto casa, ma senza ragazzi nei paraggi. Ora si parla di darlo ai privati per farne l’ennesimo bar. Ancora bar. Moriremo tutti seduti a un tavolino, con lo spritz tiepido e la musica di sottofondo sempre uguale.

    Questa fretta di riempire ogni spazio tradisce una paura che abbiamo tutti: la paura del vuoto. Se uno spazio non lo mettiamo subito a reddito, ci sembra sprecato; se non lo carichiamo di progetti, loghi e finanziamenti, pensiamo che muoia. Ma il vuoto è l’unico terreno fertile per l’atto creativo: lì l’arte immagina senza essere immaginata, cresce senza padrini e senza bollini provinciali. Un luogo che resta vuoto, anche solo per un po’, è un luogo che può davvero nascere libero.

  • Un evento pubblico negli spazi della ex Cappelli: uno spazio libero per i giovani? Foto: Valentino Liberto/SALTO
  • Perché non fare invece di quello spazio un laboratorio permanente di creatività, aperto a tutte le arti, autogestito e autofinanziato da chi lo usa? Un comitato di quartiere potrebbe eleggere ogni anno un direttivo volontario che programma eventi, concerti, mostre, senza chiedere permessi alla politica e senza dipendere da contributi provinciali. Chi partecipa sostiene le spese con piccole donazioni, pagando l’affitto alla Provincia. Nessun padrone, nessun filtro, nessun anestetico culturale.

    Il quartiere per due anni di seguito ha mostrato proprio nello spazio della ex Cappelli che è possibile fare e fare senza. Il centro storico di Bolzano è perduto dentro una bolla speculativa e di turisti che non danno tregua alla città nemmeno nel mese di marzo. E non ci sono speranze che le cose cambino. C’è bisogno di spostare il baricentro della città verso luoghi più vivibili per chi in città ci vive e la vive.

    Se vogliamo che Bolzano diventi una città viva, dobbiamo darle fame. Fame vera, fame di ragazzi, fame di chi viene da fuori per cambiare le cose. Fame di principianti.

  • Voci dalla piazza

    Le piazze sono il cuore pulsante delle città: luoghi di incontro, di memoria e di trasformazione. Piazza Vittoria, con la sua storia complessa e il suo valore simbolico, continua a interrogare Bolzano e chi la vive ogni giorno. Con questo contributo SALTO apre uno spazio di confronto e partecipazione dedicato al futuro di questa piazza: un invito a riflettere insieme su cosa rappresenta per noi, e su come potremmo immaginarla domani. Il futuro degli spazi comuni nasca dal dialogo, dall’ascolto e dal desiderio condiviso di costruire insieme la città che vogliamo abitare. Per questo invitiamo lettrici e lettori, artisti, studiosi e studenti i a condividere pensieri, proposte e visioni scrivendo a [email protected]. Ogni voce sarà parte di un racconto collettivo che, passo dopo passo, potrà aiutarci a ridisegnare il volto — e il senso — di Piazza Vittoria.