Società | Guerra

Da Bolzano a Leopoli per aiutare

Tre anni fa lo scoppio del conflitto russo-ucraino. Il racconto di due volontari partiti dall'Alto Adige con Mediterranea Saving Humans tornati a inizio gennaio: "Tra le nostre attività anche la musicoterapia con i bambini ucraini".
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Foto: mediterranea
  • Per Federica Romagnoli e Nicola Campigotto - due attivisti che lavorano a Bolzano - quella terminata il 5 gennaio è la prima missione d’aiuto alla popolazione ucraina. Già negli anni scorsi il gruppo locale dell'Associazione di Promozione Sociale Mediterranea Saving Humans, si era recato a Leopoli per “mostrare agli abitanti ucraini che i cittadini di altri Stati ci sono, sono presenti, non sono disinteressati alla questione e si sentono coinvolti”, come aveva raccontato Elisa Caneve ancora nell’ottobre del 2022. La guerra continua dal 24 febbraio del 2022 e le attività di sostegno alla popolazione da parte della comunità internazionale si sono a mano a mano ritirate dal territorio. La novità della prima “missione” del 2025 di Mediterranea, che ha coinvolto diversi attivisti provenienti dal nord d’Est d'Italia, riguarda la musicoterapia, un progetto ideato per unire giovani e giovanissimi, e non solo, in tempo di guerra.

  • Il gruppo di Mediterranea del Nord-Est: si è recato a Leopoli durante il capodanno del 2025. Foto: mediterranea
  • SALTO: Siete partiti verso Leopoli il 29 dicembre dell'anno scorso e siete tornati in Italia il 5 gennaio, avete passato il Capodanno in Ucraina, in un Paese in guerra. Com'è stato e cosa vi ha spinto a partire?
    Federica Romagnoli: Abbiamo attraversato la frontiera ucraino-polacca il 31 mattina. Fortunatamente la nostra associazione non opera nei territori prossimi alla Russia, quindi non abbiamo passato il primo dell'anno in un’area di guerra, ma appunto a Leopoli. Ciò non significa che durante la nostra trasferta in Ucraina non abbiamo potuto vedere e toccare con mano le conseguenze del conflitto. Che poi è ciò che, personalmente, mi ha portato a partire: volevo capire e osservare con i miei occhi una situazione relativamente vicina, geograficamente, ma distante dalla mia vita. 
    Nicola Campigotto: In questi ormai 3 anni di guerra ci si è spesso concentrati, almeno a livello mediatico, sulle dichiarazioni dei politici, dei rappresentanti istituzionali, insomma di coloro che stanno ai vertici. Ma, perlomeno nei media tradizionali, si è trascurata la vita quotidiana delle persone che sono state colpite dal conflitto. Volevo avere nuovi punti di vista.

    Siete riusciti a vedere da più prospettive questo conflitto?
    Federica Romagnoli: Io non ero a conoscenza della condizione in cui si trovano le persone che vivono sul territorio ucraino. E questo perché spesso l'informazione si concentra sulla situazione al fronte, l'avanzamento dell'esercito, lo scontro tra i due Stati. Noi cittadini non sentiamo le voci delle persone che sono lì, quelli che subiscono i “rastrellamenti” perché sono in età di leva, coloro che si lamentano per la scarsità dei servizi. Il nostro obiettivo, come volontari, è quello di stare vicini alle persone che diventano invisibili.

     

    "All'interno di una Chiesa abbiamo visto una navata dedicata ai caduti delle milizie private. C'erano molte foto e tantissimi reperti bellici: bombe, mitragliatrici…"

     

    Cosa vi ha colpito di più?
    Federica Romagnoli:  La concezione che ha la popolazione di questo conflitto. C'è una commistione tra militarismo, patriottismo, sentimenti religiosi e politici. Cose che c’entrano poco le une con le altre, ma che la guerra ha unito.
    Nicola Campigotti: E dall'altra c'è una guerra che va avanti da anni e costringe le persone ad andare al fronte. Chi dice “no” perde il lavoro, deve vivere recluso in casa, nascondersi, perde la possibilità, in futuro, di lavorare nella pubblica amministrazione. C'è una pulsione anti-russa fortissima, ma si percepisce anche il malcontento per la gestione della guerra. 

    In che termini?
    Nicola Campigotti: Ci è capitato di uscire da un ristorante e, aspettando il van, abbiamo notato che a pochi passi da noi la polizia ucraina stava controllando i documenti a tutti i maschi adulti. Era un vero e proprio “rastrellamento” per capire se chi si trovava in città, e non al fronte, fosse autorizzato.

    C'è qualche immagine di questa esperienza che vi è rimasta impressa?
    Nicola Campigotti: Assolutamente. All'interno di una Chiesa, quella degli Apostoli Pietro e Paolo, abbiamo visto una navata dedicata interamente ai caduti delle milizie private. C'erano molte foto e tantissimi reperti bellici: bombe, mitragliatrici…
    Insomma, armi all'interno di una Chiesa nella quale, in quel momento, stava venendo celebrato il rito ortodosso. Una scena paradossale, la celebrazione religiosa e, allo stesso tempo, la presenza delle armi.
    Federica: Romagnoli: Mi ha colpito come gli ucraini non ammettano che si parli in russo neppure in situazioni di emergenza. Mi è capitato di distribuire un questionario in russo a delle persone che si trovavano in difficoltà a leggere in ucraino, ma gli ucraini non volevano veicolare messaggi in russo. Anche all'interno di un ospedale è capitato che chi parlava in russo venisse discriminato.

  • I volontari in Ucraina: insieme ai bambini di Leopoli. Foto: mediterranea
  • Tra le attività che portate avanti a Leopoli, c’è anche la musicoterapia. Di cosa si tratta?
    Federica: Romagnoli: Mediterranea ha sviluppato questo progetto in Ucraina insieme a Music and Resilience, che lo ha ideato nei campi profughi palestinesi in Libano. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi, ma anche diversi adulti possono partecipare a questo laboratorio di musica e canto, che porta con sé anche un aspetto educativo. Si punta a formare dei legami senza aver bisogno della parola, senza che quindi ci sia la necessità di parlare tutti la stessa lingua o appartenere a una stessa cultura. Si usa solo la musica, un linguaggio universale.