Bravo, Maurizio a farci
Bravo, Maurizio a farci conoscere le parti più nascoste e dimenticate della storia della nostra comunità, ridando voce e volto anche alle persone altrimenti senza nome.
Mi accade sovente, quando percorro un tratto dell’erta mulattiera che dall’abitato di Gries sale verso piccola frazione di Cologna, di andare col pensiero alla vita brutalmente troncata di una giovane maestrina, Gerturd Kutin, seviziata e uccisa, in quei luoghi, da un mostro feroce e sanguinario le cui imprese seminarono il terrore dell’Alto Adige dell’immediato dopoguerra.
Riesco ad immaginare una ragazza di appena vent’anni che, in quei mesi della primavera del 1946, sale ogni giorno lungo quel sentiero per raggiungere le poche case di un abitato che si protende sulle pendici del Guncina. Getrud Kutin in quei mesi è una delle tante maestre che stanno affrontando, con coraggio e abnegazione, il compito quasi sovrumano di rimettere in piedi, dal nulla, la scuola di madrelingua tedesca soppressa per oltre vent’anni dal fascismo. Non ci sono strade e quindi linee di trasporto pubblico che colleghino la città al paesino. Occorre andare a piedi su quei sassi levigati dal tempo. Gli stessi che calpesto anch’io, pensando al coraggio di quella ragazza che si muove da sola in un mondo ancora profondamente segnato dalle violenze e dalle aberrazioni della guerra.
Purtroppo per lei qualcuno la osserva, ne studia gli itinerari e le abitudini così come la bestia feroce guarda le possibili prede. Poi attacca e colpisce.
La storia è ormai vecchia ed è stata rievocata diverse volte. Fu uno dei casi più clamorosi della cronaca nera del dopoguerra altoatesino. I giornali, liberati dal divieto del passato regime di dare troppo spazio a crimini e incidenti, vi si gettarono con un impeto talmente furibondo da far finire una pattuglia di cronisti giudiziari sul banco degli imputati per aver violato, così sostenevano i magistrati, le norme sul segreto istruttorio.
Riletta oggi, ad oltre mezzo secolo di distanza, la storia non è altro che una delle tante vicende che hanno visto, in Alto Adige come altrove, le donne come vittime di una furia cieca, di una bestialità liberata dalla miseria dei tempi in cui i fatti si svolsero.
Guido Zingerle, passato alla storia come il “mostro del Tirolo” altro non era che un disadattato, solitario e violento, reduce da un’infanzia difficile che aveva vestito e svestito, anche sotto i panni del disertore le divise dei diversi eserciti, prima e durante la seconda guerra mondiale, imparando probabilmente da quelle esperienze il gusto e le tecniche della violenza. Non si sa se la sua parabola criminale, di uccisore seriale di donne, sia cominciata quel 23 maggio del 1946, sulla mulattiera per Cologna, quando aggredì, violentò e uccise Getrud Kutin. È probabile che l’avesse già fatto prima ed è sicuro che lo fece ancora. La povera ragazza scomparve nel nulla. Quando a casa e a scuola non la videro arrivare fu lanciato l’allarme e partirono le ricerche. Sarebbe bastato uscire di qualche passo dalla mulattiera lungo un piccolo sentierino per arrivare al cumulo di sassi sotto il quale Zingerle, con un tratto caratteristico del suo modus operandi, aveva nascosto il cadavere.
La maestrina di Cologna era scomparsa e, come avviene in questi casi, le indagini si rivolsero in più direzioni andando a coinvolgere anche persone che, col delitto, non c’entravano nulla. Intanto il vero assassino si muoveva, come un vagabondo, rubacchiando e facendo qualche lavoro occasionale, attento a cogliere l’immagine di una nuova probabile vittima.
Le prede a disposizione purtroppo, non erano poche. In quegli anni molto del peso della vita quotidiana, in Alto Adige come in tanti altri paesi appena usciti dalla guerra, era sulle spalle delle donne. Gli uomini erano morti in guerra o attendevano di tornare dalla prigionia in paesi lontani. Alle donne spettava il compito di muoversi, di viaggiare anche in zone isolate e poco sicure, varcando magari quel confine che separava ancora, ad esempio, chi aveva optato per la Germania e si era trasferito, dai parenti rimasti in Italia. Quelle furono le prede preferite da Zingerle: la maestrina che da sola doveva salire un sentiero dove non passava quasi mai nessuno, un’altra ragazza che riuscì fortunatamente a sfuggire alla sua violenza, altre donne sorprese ed uccise sui sentieri di quel confine che per lui non esisteva. Colpì, in quegli anni, sia in Alto Adige che nel Tirolo. Solo dopo parecchio tempo gli investigatori cominciarono a collegare le tessere del mosaico e a capire che si trovavano di fronte ad un’unica mente omicida, che operava secondo uno schema ormai collaudato. Nel marzo del 1947, quasi un anno dopo l’omicidio, anche il mistero sulla fine della povera Getrud Kutin si era risolto. Il cadavere, o quel che ne resta, fu finalmente ritrovato.
Per metter fine alle imprese del suo assassino ci volle molto più tempo. Dopo una caccia condotta senza risparmio di mezzi venne arrestato nell’agosto del 1950. Confessò solo un paio di omicidi, tra cui quello della Kutin. Fu processato, in Corte d’assise a Bolzano, il 27 e il 28 novembre del 1951, davanti a un pubblico rumoroso ed avido di dettagli morbosi, che protestò quando per ovvi motivi alcune parti dell’udienza furono tenute a porte chiuse. Fosse stato giudicato solo qualche anno prima, sarebbe sicuramente stato condannato a morte. La pena capitale però, in Italia, era stata abolita sin dal 1945.Guido Zingerle scontò comunque solo una parte dell’ergastolo, più 81 anni di reclusione, cui era stato condannato. Morì in carcere appena dieci anni dopo la condanna di primo grado.
A Bolzano sono ben poche le persone di una certa età che non ne abbiano sentito parlare, che non abbiano colto, nei racconti dei genitori, l’eco del terrore per le gesta a lungo impunite del mostro.
Molti meno quelli che ricordano il nome e il viso gentile di una povera maestrina vittima, come tante altre prima di lei e dopo di lei, del suo essere donna in un mondo di brutale violenza.
Bravo, Maurizio a farci conoscere le parti più nascoste e dimenticate della storia della nostra comunità, ridando voce e volto anche alle persone altrimenti senza nome.
A parte la criminalità dell´uccisione di donne da parte di uomini sedotti dal potere di possesso e da gelosie fantasiose, ritengo che sia ora di garantire alle donne le stesse chances et gli stessi diritti decisionali di cui gli uomini da millenni godono. E ciò vale sia per le religioni che per le società civili in tutto il mondo; ma incomminciamo da noi europei !