Ambiente | Una riflessione

Clima: eppure ce l'avevano detto!

I primi allarmi sullo stato del nostro pianeta risalgono ad almeno cinquant'anni fa. E sono rimasti inascoltati. Le ragioni (postume?) degli ambientalisti.
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Foto: @pixabay

Te l'avevo detto, io! Non so a voi, ma a me risulta insopportabile chi rinfaccia una sua previsione, quando si avvera. Insopportabile non tanto perché dimostra che lui o lei aveva ragione, può capitare. Ma perché ricorda che non ho ascoltato quell'avviso, e non mi sono preparato in tempo alle sue conseguenze. Mi ricorda cioè di essere stato uno stupido. Te l'avevo detto, io!

Scienziati e ambientalisti da almeno cinquant'anni lanciano allarmi sull'insostenibilità del nostro stile di vita, e su come questo stia stravolgendo l'ecosistema al punto da non saper nemmeno immaginare le conseguenze. Ce l'avevano detto, loro! Fa male sentirlo dire oggi, con i tetti delle case distrutti dalla grandine, le foreste sradicate dal vento, i ponti spazzati via dall'acqua, i ghiacciai che crollano e il fuoco che brucia paesi interi. Eppure è così...

“I paesi membri dell'ONU hanno a disposizione a malapena dieci anni per accantonare le proprie dispute e impegnarsi in un programma globale di arresto della corsa agli armamenti, di risanamento dell'ambiente, di controllo dell'esplosione demografica […]. In caso contrario c'è da temere che i problemi menzionati avranno raggiunto, entro il prossimo decennio, dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità di controllo”. Parole dell'allora Segretario generale delle Nazioni Unite, il birmano U-Thant. Sono parole dette nel 1969. Si trovano in apertura al rapporto del Club di Roma su “I limiti dello sviluppo”, primo avvertimento compiuto sulla finitezza delle risorse planetarie e sul rischio di una catastrofe ecologica, pubblicato nel 1972. Ce l'avevano detto, e pure da tempo!

Quel rapporto aveva naturalmente delle imprecisioni, all'epoca i sistemi di calcolo automatico erano meno potenti di un qualunque smartphone che ci gira in tasca. Ma il senso profondo e l'avvertimento erano chiari: la società dei consumi illimitati, basata sui combustibili fossili, sui pesticidi, sul “di tutto e di più”, ci avrebbe portato all'estinzione. Sono seguiti decenni di allarmi scientifici sempre più precisi, e anche di mobilitazioni e campagne popolari ambientaliste. I verdi sono entrati nei parlamenti, il lessico si è fatto green e perfino le industrie petrolifere hanno iniziato a parlare di sostenibilità. Ma al di là della facciata pubblicitaria, quegli allarmi sono stati ignorati, quando non derisi. L'idea che serva mettere un limite alla nostra crescita, che bisogna fare meglio con meno, che occorra una “conversione ecologica” come la chiamava Alexander Langer, semplicemente non ci ha toccato. E infatti cerchiamo ancora giacimenti di petrolio e progettiamo il ponte sullo Stretto, tra una Calabria che crolla e una Sicilia che brucia.

Te l'avevo detto, io! E' ingiusto ricordarlo ora a chi piange i morti, a chi ha la casa scoperchiata o i raccolti nei campi devastati. Ma quanti nei decenni passati potevano prendere decisioni per invertire la rotta e garantire un futuro al pianeta, e non l'hanno fatto, dovrebbero sentirsi addosso la colpa. Chi ha irriso il pensiero ambientalista definendolo arretrato, velleitario o catastrofico, dovrebbe almeno chiedere scusa. E tutti noi, che non abbiamo portato il nostro contributo per cambiare un modello di vita insostenibile, siamo un po' corresponsabili. E' insopportabile doverlo riconoscere, ma ce l'avevano detto!