Società | La ricorrenza

25 aprile, fuor di retorica

La festa della “liberazione” mostra segni di stanchezza? È diventata un cerimoniale svuotato di senso? Alcuni spunti per ridarle vigore.
25 aprile
Foto: commons.wikimedia.org

Una delle minacce che gravano maggiormente sulle ricorrenze – su ogni tipo di ricorrenza – è quella di abbandonarsi alla “retorica”. La parola “retorica” ha qui un senso diverso da quello tecnico (tradizionalmente: l'arte del dire, del parlare, e più specificatamente del persuadere con le parole) e allude a un modo di esprimersi vuoto, oppure, peggio, carico – e quindi latore – di un'ideologia precostituita, ancorché essiccata. Ora, il 25 aprile – festa della liberazione dal nazi-fascismo – corre il rischio di essere percepita come una ricorrenza di questo tipo? Detto altrimenti: chi la celebra, chi si schiera dietro le bandiere, i canti e i rituali che la accompagnano, sta compiendo un atto retorico nel senso deteriore (e non tecnico) appena schizzato? Infine: per evitare questa supposta retorica sarebbe forse il caso di non festeggiarla più, magari seguendo il consiglio di Alessandra Mussolini, la quale ha dichiarato: “Il paese sta con le pezze al c... e ancora parliamo del 25 aprile, mi sembra veramente l’ultimo dei problemi, mi sembra addirittura una provocazione. Ci sono altre priorità: il lavoro, la ripartenza, il 25 passa in cavalleria, dobbiamo andare avanti, anche perché il problema della gente è arrivare a fine mese. Bisogna andare avanti con pragmatismo, non con le fregnacce di questi che parlano di fascismo”?

Il 25 aprile è un atto di elementare cura della nostra memoria, serve a conoscere chi siamo e da dove veniamo

Cerchiamo di fare chiarezza e rispondiamo in prima battuta alla domanda se la ricorrenza del 25 aprile sia ormai diventata un'occasione di “vuota” esibizione retorica. “Vuotezza” e “pienezza”, come categorie semantiche, sono percepibili solo in rapporto agli eventi e ai significati a partire dai quali tale ricorrenza trae o trarrebbe la sua giustificazione. E quindi: è opportuno, oggi, ricordare la fine della seconda guerra mondiale, è proficuo tornare a valutare la configurazione che la rese possibile e lo scenario che la dissolse permettendo il passaggio a una fase successiva? E ancora: è possibile rinvenire tracce di quegli elementi ideologici che costituirono, allora, l'ostacolo da superare per raggiungere, appunto, questa nuova fase? Se datiamo la nascita della vita repubblicana a partire dalla lotta contro la dittatura nazi-fascista, è chiaro che ricordare quell'evento è un atto di elementare cura della nostra memoria, per conoscere chi siamo e da dove veniamo. Parimenti, non ci troviamo purtroppo neppure nella fortunata condizione di non avere più intorno a noi individui che da quella vicenda storica traggono un'interpretazione antitetica a quella consolidata (e sono proprio questi quelli che parlano di “retorica”), individui, cioè, che intendono la lotta partigiana e più in generale la sconfitta del nazi-fascismo come un evento poco dignitoso per la Patria (per loro, anche se hanno qualche fatica a dirlo, sarebbe stato infatti più dignitoso proseguire la guerra al fianco dei tedeschi, sia per mantenere “fede alla parola data”, sia, essendo davvero impossibile disgiungere i due aspetti, per proseguire nella politica di bieco nazionalismo razzista che quell'alleanza informava e sosteneva).

Cantare “Bella ciao” dai balconi della declinante quarantena va bene, ma può apparire anche un'idea un po' scontata

Chiarito ciò, stabilito dunque che è ancora necessario coltivare la memoria, passiamo a verificare se sarebbero allora le modalità della ricorrenza ad esigere un qualche restyling, un'attualizzazione delle sue forme. Qui, francamente, il dibattito può restare aperto e sarebbe bene venisse esteso oltre la cerchia che di solito si occupa di queste faccende rievocative. In effetti certi discorsi, certi rituali, certi canti possono risultare un po' incartati su posizioni consumate. Cantare “Bella ciao” dai balconi della declinante quarantena, per esempio, va bene, ma può apparire anche un'idea un po' scontata (a meno di non considerare “lo straniero” il Coronavirus, cosa francamente risibile). Si possono trovare nuove modalità, nuovi spunti per ricordare e tematizzare la stessa necessità del ricordo. Si tratta, insomma, di cogliere lo spunto della ricorrenza per attualizzarne le prospettive, cogliendone dunque più lo spirito che la lettera. Faccio solo un esempio (e valga davvero come esempio: non intendo giudicarlo in altro modo). Il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, ha lanciato un'iniziativa per raccogliere fondi da destinare alla Croce Rossa e alla Caritas proprio sfruttando il momento aggregativo della festa. L'economista Tito Boeri, al quale è stato dato l'incarico di gestire la destinazione del denaro, ha dichiarato: “Il 25 aprile è sempre stata un'occasione molto importante in famiglia. Era il giorno in cui i miei genitori raccontavano cose di cui solitamente non amavano parlare. Certo, mio padre interveniva ad eventi pubblici. Ma delle sue esperienze preferiva parlarne con chi le aveva vissute insieme a lui. Era stato comandante di una brigata partigiana in val d'Ossola. Mia madre era una staffetta partigiana. Insomma la resistenza era stata un'esperienza importante in casa nostra. Forse anche per questo al liceo non mi sono mai perso un corteo del 25 aprile”. Come si vede: la memoria personale e familiare s'intreccia qui alla storia della nazione, ma non per esaurirsi in una dimensione puramente archeologica, bensì per rilanciarsi, indicando scenari più ampi (e contemporanei). In questo senso, e sperando che la chiusa non vi sembri troppo retorica: buon 25 aprile a tutti, non solo in nome del ricordo o dell'antifascismo storico (che, pure, non deve diminuire), ma anche in quello della solidarietà presente e della fiducia in una società futura possibilmente migliorabile.