La reinvenzione del padre

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Il protagonista di Paternal Leave è Luca Marinelli e, non so voi, ma io a Marinelli voglio bene. Quindi anche se il lungometraggio della regista tedesca Alissa Jung, presentato nella sezione Generation dell’ultimo Festival di Berlino, non è dei più memorabili, la prova attoriale supera i meriti (e ce ne sono) del film stesso. Non è poco.
Cos’è
Il film di Jung, al suo debutto dietro la macchina da presa, racconta la storia dell’adolescente tedesca Leo, interpretata dalla portentosa esordiente Juli Grabenhenrich, che una volta scoperta l’identità del suo padre biologico italiano, Paolo (Luca Marinelli), decide di prendere il treno verso la riviera romagnola per andare a conoscerlo e capire perché anni prima l’abbia abbandonata.
Al suo arrivo in Italia Leo troverà un padre maldestro, irrisolto, che ha paura delle proprie responsabilità, a disagio nell’instaurare un rapporto con lei e incapace di giustificare la sua lunga assenza. Leo nel frattempo stringe amicizia con Edoardo (Arturo Gabbriellini), un ragazzo che vive con un padre violento, e la piccola Emilia (Joy Falletti Cardillo), la figlia che Paolo ha subito riconosciuto come sua, nata da un’altra relazione fallita.
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(c) Vision Distribution
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Com’è
Paternal Leave è una storia di formazione, un film sulla paternità, sull’identità familiare, sulla ricerca di sé e sulle distanze generazionali. Pur essendo temi abbondantemente affrontati al cinema il film si muove con una sua solidità attraverso strade già battute. Nonostante qualche ingenuità e una poco complessa caratterizzazione psicologica dei personaggi Paternal Leave è un film sincero e autenticamente umano che ruota attorno al tentativo di ricostruire i frammenti di una relazione incompleta.
L’arrivo di Leo destabilizza Paolo, schiacciato dal peso delle aspettative che finora era riuscito a evitare e che non sa da dove iniziare per connettersi con la figlia. Oltre a non conoscersi i due non parlano nemmeno la stessa lingua, una barriera che accentua il senso di incomunicabilità, con l’inglese che fa da congiunzione fra i due mondi.
C’è la vulnerabilità di Paolo da una parte, paradigma di una certa mascolinità e dell’inadeguatezza di una generazione di maschi 40enni rispetto al ruolo di genitore così come lo hanno appreso crescendo; dall’altra Leo, determinata, ribelle, furente, già adulta. L’equilibrio è fragile, la crescita di entrambi inattesa ma inevitabile, il rifiuto reciproco diventa lentamente comprensione. Ed è quando l’emozione ha la meglio. A insufflare poi l’effetto malinconia alla storia ci pensa l’ormai inflazionata location del mare d’inverno, con consueto urlo liberatorio verso l’orizzonte e l’aggiunta di fenicotteri metaforici: potevamo farne a meno? Sì, ma non stiamo qui a fare i tromboni, su.
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