Società | Violenza di genere

Più chiamate ai centri antiviolenza

I contatti aumentano del 9,5%. Clignon, presidente Gea: "C'è maggiore consapevolezza". L'82% dei maltrattanti sono partner o ex, crescono gli accessi alle case protette.
Gegen Gewalt an Frauen
Foto: Manuela Tessaro
  • Nel 2024 le richieste di aiuto delle donne ai centri antiviolenza sono state 832 in Alto Adige, il 9,5% rispetto al 2023. Il dato, fornito dall’Istituto provinciale di statistica ASTAT, è ancora più rilevante se si guarda al 2022, con un aumento in due anni del 38,7%. Un indicatore, spiega ASTAT, che può essere letto sia come un aumento dei casi di violenza che come un’espressione di una maggiore consapevolezza e fiducia nei servizi territoriali di supporto. “Credo che l’aumento sia dovuto in gran parte da una maggiore coscienza sul tema, che ha ricevuto un’attenzione notevole”, spiega Christine Clignon, presidente del Centro Antiviolenza e la Casa Delle Donne GEA.  

    In molti casi la violenza subita è la combinazione di più tipologie, a prevalere è quella psicologica, subita dal 90% delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza in Provincia, seguita da quella fisica, presente nel 64% dei casi, e da quella sessuale denunciata dal 23% delle donne. Rispetto al 2023 si registra un aumento della violenza economica (+6,3%), mentre il fenomeno dello stalking interessa il 15% dei casi.

  • Christine Clignon: "È evidente che la violenza contro le donne è un problema maschile" Foto: Manuela Tessaro
  • Più della metà delle donne che iniziano un percorso di uscita dalla violenza sono di età compresa tra i 30 ed i 49 anni (51%), seguite dalle giovani tra i 20 ed i 29 anni (21%). “Le generazioni più giovani hanno una consapevolezza diversa. Uno spartiacque in questo è stato il femminicidio di Giulia Cecchettin, che ha comportato un momento di riflessione sul fenomeno della violenza per un’intera generazione”, afferma Clignon. 

     

    “Se vogliamo una soluzione a lungo termine l'unica via è quella dell'educazione sessuale e affettiva”

     

    Le giovanissime, fino ai 19 anni, che escono dalla violenza rappresentano il 4%, mentre le cinquantenni il 10% e le over 60 appena il 7%. “C'è una polarizzazione di queste generazioni più giovani – aggiunge Clignon – da un lato le donne fanno meno fatica a uscire dal silenzio, dall'altro ci sono ancora degli stereotipi fortemente presenti proprio in questa fascia di età.Ad esempio, l'accettazione della violenza nel gruppo dei giovani tra i 18 e i 29 anni è molto superiore ad altri gruppi di età. Non solo, il 16% accetta liberamente il controllo della propria comunicazione (cellulare e social) dal partner e addirittura il 5% ritiene che uno schiaffo di tanto in tanto sia accettabile”.

    Nell’82% dei casi l’autore della violenza è il partner (62%) o l’ex partner (20%), mentre nel 12% dei casi le violenze sono perpetrate da altri familiari o parenti. I dati ASTAT mostrano che solo in un caso su cento l’autore è una persona estranea alla sfera affettiva o familiare della vittima. “È evidente che la violenza contro le donne è un problema maschile. Il 99% degli autori di stupro sono uomini, così come il 92% delle persone imputate per omicidio. Non esistono soluzioni semplici per fenomeni complessi, se vogliamo una soluzione a lungo termine l'unica via è quella dell'educazione sessuale e affettiva, a iniziare dalle scuole se non prima”, commenta Clignon. 

    “Non è sufficiente limitarci a delle misure securitarie, è proprio il caso che la società tutta, sia donne che soprattutto uomini, prenda posizione su questo. Lo possiamo fare come individui nella nostra cerchia amicale, lo dobbiamo fare come rappresentanti di istituzioni nel nostro posto di lavoro”, aggiunge la presidente di Gea.

  • Foto: Manuela Tessaro
  • Le donne accolte in emergenza all’interno delle strutture protette sono state 135 nel 2024, in aumento rispetto al 2023, quando erano 100, mentre le accoglienze programmate hanno riguardato 57 donne. In aumento anche i minori accolti in emergenza insieme alle madri, passati da 83 nel 2023 a 130 nel 2024, mentre nelle accoglienze programmate sono stati 81 contro i 69 del 2024. La durata della permanenza nelle strutture è molto variabile, da pochi giorni a oltre un anno. Gli appartamenti a indirizzo segreto, destinati a ospitare le donne vittime di violenza sono 38, per un totale di 106 posti letto, troppo pochi secondo Clignon: “In Alto Adige gli alloggi a disposizione non sono sufficienti se guardiamo i bisogni del territorio, soprattutto tenendo presente che è un fenomeno che tenderà ad emergere sempre più. Teniamo presente che l'80% delle donne che si rivolgono al Centro Antiviolenza di Bolzano per una struttura arriva con dei minori. Ad esempio, non possiamo accogliere nessuna donna che abbia più di due figli. Su 95 richieste del 2024 ne sono state accolte 23 donne con 19 minori”, spiega Clignon. 

  • La Frauenmarsch dell'autunno 2024. Foto: Seehauserfoto
  • “Di queste, 5 sono rientrare nella propria abitazione senza la presenza del maltrattatore, un dato per nulla scontato. Un terzo ha interrotto ogni contatto con il centro antiviolenza e non ha rinnovato la richiesta d'accoglienza. Un quarto ha trovato posto in un'altra casa a rifugio in Provincia, e questo comporta ovviamente un completo sradicamento sia per la madre che per i figli, che devono cambiare scuola, vita, abitudini. Altre 25 donne sono state collocate in emergenza in strutture ricettive, con delle enormi spese ed un enorme punto interrogativo per quanto riguarda ad esempio la sicurezza e la dignità. Immaginate di avere più di due figli, magari anche in un'età interessante, ed essere chiusa in una stanza d'albergo”. 

    I Centri antiviolenza rappresentano ancora il principale canale di accesso alle strutture protette, nel 2024 infatti il 39% delle donne accolte hanno iniziato il percorso di uscita dalla violenza proprio a partire dai CAV; seguono l’accesso diretto da parte delle donne alle strutture (17%), la segnalazione dalle forze dell’ordine (15%), da familiari e conoscenti (11%) ed infine l’ingresso dai servizi sanitari (9%) e sociali (8%). 

    Per quanto riguarda la cittadinanza delle donne vittime di violenza, negli anni precedenti si è registrata una distribuzione differente tra i due servizi: le strutture protette accoglievano in prevalenza donne straniere, mentre i centri antiviolenza seguivano un numero maggiore di cittadine italiane. Nel 2024, invece, la situazione è cambiata: il 54% delle donne ospitate nelle strutture protette e il 64% di quelle seguite dai centri antiviolenza sono di cittadinanza italiana.