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Formare all'antirazzismo

UNITED. Formare operatori giovanili all'antirazzismo, ai diritti umani, all'inclusività. Valentina Spînu: "Ogni giorno c'è chi subisce atti razzisti o d'esclusione."
I partecipanti del training UNITED
Foto: Valentina Spinu

UNITED for Intercultural Action è una ONG nata nel 1993 in Olanda con l’intento di combattere nazionalismi, razzismi e fascismi e di supportare migranti, rifugiati e minoranze. Insieme a un’ampia rete – che conta oltre 560 organizzazioni, associazioni e ONG nazionali ed internazionali – in tutta Europa, UNITED coordina campagne, organizza conferenze, partecipa a progetti e supporta attività di advocacy contro la discriminazione e a favore della creazione di una visione comune per una società più inclusiva.

Ogni anno, UNITED coordina ampie campagne – European Action Week Against Racism, International Refugee Day e International Day Against Fascism and Antisemitism – stimolando associazioni da tutta Europa a organizzare attività volte a combattere il razzismo e le discriminazioni. Inoltre, si occupa attivamente di training, conferenze e laboratori sui temi dei diritti umani, dell’inclusione e della diversità.

Tra le varie iniziative, dal 22 al 26 novembre dello scorso anno, è stata organizzata una settimana di training a Budapest – sede operativa di UNITED – sul tema dell’antirazzismo e del lavoro giovanile. L’invito, inviato a tutta la fitta rete di collaboratori dell’organizzazione, è stato accolto anche da giovani provenienti dall’Italia. Fra questi, Valentina Spînu: torinese d’adozione, oltre alla carriera lavorativa, è attiva da diversi anni nell’ambito dell’associazionismo di comunità. In particolare, con la Federazione delle associazioni rumene e moldave del Piemonte, è vicepresidente del Patto Torino Città Antirazzista, un progetto che vede coinvolte più di 600 realtà del terzo settore su diversi tavoli di lavoro e progettazione, in un accordo con l’amministrazione torinese – nato l’anno scorso – volto a tutelare e fare dell’antirazzismo un bene comune immateriale.

salto.bz: Come è giunta a conoscenza di questa iniziativa? Perché ha deciso di candidarsi?

Valentina Spînu: L’informazione è arrivata dall’Ufficio Diritti, che ha condiviso l’iniziativa con tutti i firmatari del Patto. Ho deciso di mandare la candidatura perché volevo da una parte poter portare a casa e conoscere nuove tecniche di attività da svolgere con i gruppi sui temi trattati, e dall'altra perché volevo conoscere nuove persone che sono attive nelle associazioni e lavorano con i giovani.

Gli obiettivi dell’iniziativa riguardavano proprio la formazione di operatori giovanili sui temi dei diritti umani e dell’antirazzismo. Spesso, chi si occupa con i giovani di queste tematiche, non ha modo di fermarsi per un’intera settimana per riflettere sul proprio operato ed è sempre alla ricerca di nuove pratiche e attività da mettere in campo per migliorare e migliorarsi. È necessaria, dunque, una formazione e un aggiornamento costante, per implementare il bagaglio di conoscenze, strumenti e metodi.

Come opera UNITED a Budapest, in Ungheria, un contesto in cui i diritti umani traballano?

È veramente emblematico, anche noi abbiamo fatto questa domanda. Ci hanno detto che questa realtà è la spinta più grande per il loro lavoro. Il fatto che l’Ungheria non sia esattamente un paese noto per i diritti umani e l’inclusione li spinge a fare molto lavoro anche nel locale, e attirare trainer e persone da fuori, come siamo stati noi, permette di dare veramente un risuono importante a questi temi e a consapevolizzare la società all’interno di uno stato non sicuramente democratico e non sicuramente inclusivo.  UNITED riesce a mandare avanti la sua attività grazie alle partecipazioni da fuori, sicuramente non grazie al contributo del governo ungherese, ma grazie al supporto dell’Unione Europea.

È una bella riflessione da fare, il fatto che la loro situazione valga come spinta e trampolino di lancio.

Chi ha partecipato?

Il training era rivolto a operatori giovanili – e in generale a tutti coloro che lavorano con i giovani – nell’ambito di associazioni e organizzazioni, ma anche ai giovani stessi. Poteva partecipare chiunque risiedesse in un paese membro del Consiglio d’Europa e così alla fine si è formato un gruppo davvero multiculturale, perché oltre a tre torinesi c’erano anche altri due ragazzi siciliani e una ragazza sarda e poi ragazzi dall’Ucraina, Georgia, Bielorussia, Romania, India, Russia, Bangladesh, Olanda, Francia.  Anche i trainer erano giovani e provenivano da vari paesi: anche qui, Italia, Repubblica Ceca, Albania, Ungheria – è stata proprio questa la bellezza di questo training.

Come si è svolto?

Abbiamo passato una settimana totalmente immersi nelle attività dedicate ai temi dell’antirazzismo, della multiculturalità, dell’inclusione, ma ci siamo occupati anche della gestione dei conflitti, del hate speech. Principalmente abbiamo fatto un sacco di “giochi”, o meglio, attività di educazione informale, tutte dinamiche, interattive e coinvolgenti. Abbiamo riflettuto sugli argomenti mettendoci in gioco, ad esempio scrivendo poesie, ideando “supereroi”, condividendo metodi, riflessioni, pensieri. C’è stato anche modo di raccontare quelle cose che magari non si sa come dire – episodi toccanti, storie, concetti – in modo originale e ogni attività era costruttiva perché ti permetteva di capire qualcosa di nuovo. Molte poi erano dedicate alla coesione del gruppo, alla fiducia reciproca. Ogni volta eravamo divisi in gruppi diversi e poi, alla fine di ogni giornata, oltre a presentare il risultato delle attività, c’era un momento in cui si tiravano le somme e si rifletteva sul lavoro fatto.

 

 

Avete avuto modo di creare relazione, quindi.

Sì, siamo rimasti in contatto, tramite social oppure scambiandoci i numeri di telefono. È stato molto bello perché tutti erano entusiasti e avevano voglia di fare. Ci si può anche non sentire per mesi, ma si tratta di un tipo di relazione costruita in un ambiente sicuro e in una circostanza di cui tutti serbiamo un ricordo piacevole, quindi si finirà sicuramente per rispondersi, a un eventuale messaggio. Tutti gli altri ragazzi poi lavorano o sono a capo di associazioni, insegnano, sono a contatto con i giovani e hanno un occhio di riguardo per i diritti umani – davvero persone interessanti. Ovviamente è rimasto anche il contatto con UNITED, che è una realtà che dà disponibilità anche in caso di altre progettazioni, soprattutto in ambito europeo. L’esperienza in generale dà speranza per il futuro, insieme abbiamo condiviso ragionamenti, buone pratiche, idee.  

Che risultati ha portato questo training?

UNITED offre come risultato, all’Unione Europea, diverse attività nuove – elaborate nel corso del training –che saranno poi introdotte tra le altre attività a disposizione su una piattaforma, da cui altri operatori giovanili potranno poi scegliere, per proporle nel proprio paese. L’Unione Europea finanzia queste tipologie di training proprio per questo motivo: innanzitutto per sensibilizzare, ma anche per avere attività e materiali per il futuro. Fra i diversi argomenti trattati centrale era ovviamente quello dei diritti umani – si è parlato quindi di creare spazi sicuri e dell’importanza di avere valori condivisi. Nell’ottica di creare altre e nuove progettualità – perché poi era questo l’obiettivo, insegnare a creare altri progetti – occorre prestare attenzione ai valori e idee che si vogliono trasmettere, senza sottovalutare i rischi che si possono presentare.

Le platee sono ampie, non si sa mai chi si ha davanti – e non tutti siamo inclusivi, antirazzisti, eccetera.

Cosa le ha lasciato quest’esperienza?

Dal punto di vista personale è stata un’esperienza davvero arricchente, sia per quanto riguarda le relazioni – il fatto di conoscere nuove persone veramente in gamba, forti, attive, di spessore, con cui sicuramente manterremo i rapporti… con qualcuno abbiamo anche detto di creare dei progetti insieme - sia dal punto della speranza, mi ha permesso di capire che è possibile creare un ambiente così armonioso ma anche ricco di contenuti, interessante. Dal punto di vista professionale mi porto a casa 20 possibili partner in giro per l’Europa – non solo dentro l’Unione ma anche fuori – con cui si può collaborare, sui progetti da fare, sulle proposte per le comunità, perché quello che può funzionare altrove magari può funzionare anche qui.

Crede che sia ancora necessario lavorare sull’antirazzismo? Perché?

Credo che ci sia ancora un grande lavoro da fare sul campo dell'antirazzismo, dell'inclusione e dei diritti umani!

Ogni giorno ci sono storie, realtà e momenti di persone che purtroppo subiscono atti, parole, sguardi razzisti o di esclusione - o di persone che ne sanno ben poco, purtroppo, di diritti umani.

Per questo è importantissimo essere e far arrivare a più persone possibili i valori dell'inclusione, dell'unicità di ogni persona e della vita che ognuno si merita, indipendentemente dalle scelte di vita che fa.