Il reato di femminicidio non basta
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In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, anche la Camera ha approvato il disegno di legge voluto dal Governo che introduce nel Codice penale il reato di femminicidio. Il 577 bis prevede infatti una nuova fattispecie che punisce con l’ergastolo chiunque cagiona “la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali”.
“La nuova fattispecie non sembra incrementare l’effettività della tutela penale, ma assume una valenza meramente simbolica”, dichiara la professoressa Elena Mattevi dell’Università di Trento, che ha presieduto il convegno “Violenza di genere, il ruolo del diritto penale, tra risposte punitive e non punitive” tenutasi oggi a Trento, durante il quale molte giuriste, nel ribadire l’assoluta importanza delle iniziative di contrasto alla violenza contro le donne, hanno manifestato contrarietà a questa proposta di riforma per diverse ragioni.
Secondo la penalista, la nuova fattispecie non sarebbe giustificata dall’obiettivo di colmare un vuoto di tutela, non fungendo da deterrente ma anzi, rischierebbe di sconfinare nella tendenza a delegare al diritto penale la risoluzione di problemi sociali complessi. L’altra critica mossa alla riforma è che l’idea di puntare sulle misure simboliche anziché sulla prevenzione, risparmierebbe invece al Governo la necessità di stanziare dei soldi per prevenire il fenomeno. “Qualsiasi intervento repressivo svincolato da azioni di perequazione sociale ed economica e da strategie di prevenzione è del tutto inefficace. L’obiettivo prioritario deve essere il contrasto alle molteplici forme di discriminazione e violazione dei diritti umani che sono considerate “fisiologiche” della differenza di genere e che impediscono la piena affermazione dei diritti delle donne e la corretta percezione delle condotte di prevaricazione e abuso”, afferma Mattevi. Inoltre, legge italiana prevede già un’aggravante specifica per la maggior parte delle uccisioni che possono rientrare nel fenomeno del femminicidio, ma non un reato a sé.
“Ancora una volta si interviene sul piano repressivo, riconoscendo però che il nodo centrale è spesso l’incapacità di accettare l’autonomia e il rifiuto di una donna. Mi chiedo se la repressione sia lo strumento sufficiente per combattere la violenza di genere”, commenta Silvia Basile, avvocata e presidente Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli avvocati di Bolzano. “Un aspetto che invece trovo molto positivo – commenta Basile – è l’introduzione di obblighi formativi specifici per la magistratura sui temi della violenza. In passato abbiamo visto decisioni che utilizzavano un linguaggio inappropriato o riproponevano stereotipi anacronistici e lesivi della dignità delle vittime. Una formazione adeguata è fondamentale per evitare che ciò continui ad accadere. Ritengo che questi percorsi formativi dovrebbero essere previsti anche per l’avvocatura”.
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L'introduzione di questo…
L'introduzione di questo reato è positivo.
Detto ciò, è incomprensibile come possa essere costituzionale nel rispetto del principio di uguaglianza.
Però vabbeh, la nostra Corte Costituzionale comunque non rispetta la Costituzione da decenni e sicuramente non inizieranno a farlo in questo caso.