Fiato sospeso

Cosa ne sarà dei punti nascita di Vipiteno e Silandro? La domanda torna, a scadenza regolare, a monopolizzare il dibattito pubblico, ma una risposta certa ancora non si conosce. Verosimilmente, come confermato dall’assessora Martha Stocker, qualcosa in più si saprà venerdì 29 luglio, quando l’esecutivo dovrà far sapere come intende procedere per garantire gli standard di qualità richiesti per tenere aperti i punti nascita: un servizio attivo 24 ore su 24 ogni giorno e la presenza di un’ostetrica, un ginecologo, un anestesista e un pediatra. Il Ministero - ricorda il capo Dipartimento dell’assessorato provinciale alla sanità Michael Mayr - ha infatti concesso 90 giorni (che scadono appunto alla fine del mese prossimo) per trovare i medici necessari per coprire le quattro figure professionali indispensabili. Nel frattempo voci di corridoio riferiscono che domani (28 giugno) la giunta provinciale potrebbe decidere di chiudere il punto nascita di Vipiteno così da poter salvare il reparto di neuro-riabilitazione.
Una delle soluzioni plausibili a questo punto potrebbe essere adottare un meccanismo di rotazione del personale, oppure con pronta disponibilità al rientro in servizio attivo in caso di travaglio in corso, aspetto su cui già si sta lavorando in Trentino. Anche la Provincia guidata da Ugo Rossi infatti, in materia di punti nascita, ha le sue grane. Il Ministero ha infatti “salvato” le strutture di Cles e Cavalese ma ha deciso di chiudere quella di Arco (Tione era già stata affossata). Per le prime l’assessore alla salute Luca Zeni ha annunciato di aver dato mandato alla Asl di cercare le figure professionali necessarie con tutti gli strumenti possibili, ora l’imperativo è quello di trovare medici e personale disposti a lavorare negli ospedali di periferia, impresa non facile stando ai risultati degli ultimi bandi, specie per quanto riguarda pediatri e anestesisti. Critiche intanto sono piovute da più parti sulla decisione di Roma di chiudere il punto nascita di Arco esprimendosi sulla richiesta di deroga al requisito minimo di 500 parti l’anno avanzata dalla Provincia, sulla base del decreto ministeriale dell’11 novembre 2015.
Un verdetto “inaccettabile considerata l’importanza che riveste per il territorio il punto nascita di Arco!”, attacca Maurizio Fugatti (Lega nord) ricordando che “in Alto Garda e Ledro risiedono circa 50.000 persone, per cui non è assolutamente accettabile chiudere il punto nascita di Arco, che serve un bacino di utenza tutt’altro che irrisorio”. Proprio ad Arco è prevista per oggi, alle ore 15, una manifestazione davanti al punto nascita in questione per scongiurarne la chiusura. Fugatti parla di una “strategia scellerata messa in atto da questa giunta, che a parole 'sbandiera' la difesa dell’Autonomia trentina e nei fatti si dimostra totalmente asservita alle direttive romane, riduce sempre di più i servizi sanitari erogati nelle strutture periferiche a scapito degli utenti, sia residenti che turisti”. E ancora:
“La ‘specialità’ del Trentino per Renzi e il suo governo vale solamente nei casi in cui si deve 'batter cassa' e chiedere sacrifici economici per coprire i buchi finanziari romani, ma quando si tratta di gestione degli ospedali periferici e servizi ai cittadini ecco che la 'specialità' svanisce ed il 'centralismo' regna sovrano”.
A fargli eco Claudio Cia (Lega nord e Agire per il Trentino) che se la prende con gli assessori competenti che si sono susseguiti: prima Rossi, poi Borgonovo Re e infine Zeni che, “di concerto con Flor e ora il suo successore”, sarebbero colpevoli di aver tracciato “il percorso destinato a mettere una pietra tombale sulla qualità e sicurezza dei servizi in periferia cui ogni cittadino dovrebbe poter accedere. Un finale pianificato da tempo, preludio di una politica che mira a smantellare anche altre unità operative e servizi essenziali nelle nostre valli”. Secondo Cia “l’ipocrisia si è rivelata in tutta la sua indifendibilità nel momento in cui il ministro Beatrice Lorenzin si è dichiarata disponibile a concedere una deroga per i punti nascita con meno di 500 parti annui. Rossi non poteva più vantare un alibi. I tagli al personale medico-infermieristico non potevano più essere giustificati addossando la colpa al governo nazionale, così la Provincia, per proseguire e motivare la sua azione politica, ha preferito giocare la carta ‘Europa’, la cui normativa stabilisce per i professionisti del settore un riposo obbligatorio di 11 ore tra un turno e l’altro”.