Un giorno in Senato
Alle 10* Palazzo Madama è una processione lenta e costante di ventiquattrore, tacchi e cravatte salutati dal picchetto d’onore. Entriamo in Senato dall’ingresso di piazza San Luigi dei Francesi numero 9 per assistere, come ospiti, ai lavori parlamentari, mentre un folto drappello di turisti cerca riparo dal caldo, già impietoso, nell’omonima chiesa accanto che custodisce, fra gli altri, il celebre dipinto del Caravaggio, la Vocazione di san Matteo.
All’ordine del giorno c'è il voto sul decreto legge 22 giugno 2018, n. 73 “recante misure urgenti per assicurare il regolare e ordinato svolgimento dei procedimenti e dei processi penali nel periodo necessario a consentire interventi di edilizia giudiziaria per il Tribunale di Bari e la Procura della Repubblica presso il medesimo tribunale”. Il decreto che dispone, in sostanza, la sospensione fino al 30 settembre dei processi pendenti del tribunale in questione che da diverse settimane si trova a dover condurre i processi nelle tende.
Prima di raggiungere la tribuna, in piccionaia, i commessi ci dicono di lasciare in custodia ogni effetto personale spiegando che all’interno dell’aula non è possibile portare cellulari, computer, né block notes per gli appunti, men che meno masticare chewing-gum. Se ci si siede in prima fila non ci si può assolutamente sporgere ma occorre tenere la schiena ben adesa alla poltrona, vietatissimo indicare; la seduta, insomma, va seguita “passivamente”, ci ammoniscono gli impiegati. Obbediamo al rigido decalogo, entrando quasi in punta di piedi nella maestosità dell’aula, e a colpire sono subito le due iscrizioni, alle spalle della postazione del Presidente del Senato, che citano la proclamazione della Repubblica sancita dal referendum del 1946 e le parole che Vittorio Emanuele II utilizzò per commemorare l’Unità d’Italia.
Come alla tv
L’esame degli emendamenti si supera con qualche sbadiglio, il frenetico spolliciare sugli schermi dei telefonini e le chiamate rigorosamente nascoste da una mano davanti alla bocca, mentre gli stenografi parlamentari entrano ed escono dall’aula dandosi il cambio al “pianoforte” dei verbali. Gli articoli vengono votati sotto la guida dei senatori delle prime file che, a seconda della compagine a cui appartengono, maggioranza oppure opposizione, urlano “rosso” (voto contrario) alzando pollice verso, o “verde” (voto a favore) con pollice all’insù per indicare ai colleghi di partito quale pulsante premere sulla propria postazione, ché non si sa mai. Fra i parlamentari del Pd e quelli del Movimento 5 stelle spiccano gli eletti in Alto Adige, la presidente del gruppo per le autonomie, Julia Unterberger, insieme ai colleghi Meinhard Durnwalder e Dieter Steger (Svp) e Gianclaudio Bressa del Pd.
In una pausa alla buvette, prima del voto finale, riusciamo a scambiare qualche parola con i senatori sudtirolesi. È evidente che la faccenda del Tribunale di Bari non appassiona i nostri (che infatti si asterranno) ma “con il decreto dignità e il decreto milleproroghe sarà tutta un’altra storia. Si tratta di provvedimenti che ci interessano particolarmente”. Nel primo caso per la questione legata ai voucher “che vorremmo estendere al settore del commercio, alle associazioni di volontariato e ai comuni, mentre il decreto milleproroghe per noi conta soprattutto in relazione alla proroga del credito cooperativo, per intensificare l’aspetto della località e dell’indipendenza delle singole banche”, precisa il senatore Durnwalder ormai perfettamente a suo agio fra le stanze del palazzo storico romano, tanto che appena prima di ritornare nei “ranghi” ci indica i pregevoli affreschi della Sala Maccari sul cui soffitto è raffigurata l’allegoria dell’Italia. A lei si riferisce la bellissima scritta che la circonda: “Sei libera. Sii grande”.
Al rientro in aula, poco prima del voto che darà il via libera con 149 sì, 112 no e 4 astenuti (a favore M5s e Lega, contrari Pd, Forza Italia, LeU, FdI) al decreto, va in scena la nostra prima bagarre parlamentare. Succede durante la dichiarazione di voto del grillino Michele Giarrusso. “Il provvedimento mette tutti nelle condizioni di poter accedere alla giustizia in maniera dignitosa, perché non è dignitoso gestire la giustizia sotto le tende, come avete fatto voi con le vostre mancanze ventennali”, tuona il senatore pentastellato riferendosi a Pd e Forza Italia. “Voi della vecchia maggioranza, asse che ha sfasciato questo paese, avete la passione per la parola ‘prescrizione’”, aggiunge provocando un coro di proteste al grido di “vergogna, vergogna” e “onestà, onestà” da parte dell’opposizione, mentre la presidente di turno Paola Taverna (M5s) ha il suo da fare a richiamare tutti all’ordine scampanellando con impeto. A show concluso, quando il tabellone luminoso rivela l’esito del voto, un commesso solerte ci invita immediatamente a guadagnare l’uscita. E così, nel lasciarci alle spalle i palazzi del potere, torniamo nella penombra della regola della giusta distanza (come la intendeva Mazzacurati, però).
*La visita in Senato si è svolta ieri, 26 luglio.