Società | Agricoltura

Meno domanda, più lavoratori residenti

L’impatto della pandemia nel settore agricolo: dal crollo del mercato all’ammanco di lavoratori stranieri o provenienti da altre regioni italiane.
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Foto: (c)Pixabay

L’impatto del coronavirus sull’agricoltura altoatesina si è fatto sentire in maniera evidente quanto diversificata a seconda delle zone e del periodo preso in considerazione. Le prime attività ad essere colpite - fa sapere la Ripartizione lavoro della Provincia - sono quelle relative al diradamento dei campi che avvengono solitamente in primavera. Qui gli agricoltori hanno dovuto sin da subito fare i conti con un ammanco di lavoratori stranieri o provenienti da altre regioni italiane impossibilitati a stabilirsi temporaneamente sul territorio a causa del lockdown. Si stima che mediamente la forza lavoro sia stata sostituita da lavoratori residenti per un numero che ammonta, a seconda del periodo di riferimento, dalle 500 alle 1000 unità in più rispetto agli anni precedenti. Nella maggior parte dei casi i “sostituti” non avevano avuto alcuna esperienza nel settore agricolo.

Nel periodo estivo gli agricoltori ad essere maggiormente colpiti sono quelli attivi nella coltivazione di meleti a causa della parziale riduzione della mobilità internazionale. In questo settore l’impiego dei braccianti proveniente dall'estero è infatti considerevole. Tempi duri anche per i possessori di vigneti, nonostante l’impiego di lavoratori stranieri sia decisamente meno forte rispetto ad altri settori. In questo caso le difficoltà derivano dal crollo della domanda a causa della riduzione delle attività di bar e ristoranti.

Le rimanenti produzioni agricole (che applicano principalmente personale locale) quali patate, frumento, silvicoltura e allevamenti non hanno invece riscontrato particolari problematiche. Lo stesso vale per le attività legate alla trasformazione del prodotto che a livello occupazionale non hanno risentito del lockdown e non dovrebbero avere difficoltà a reperire ulteriore personale grazie all'impiego pressoché totale di persone residenti in Alto Adige.

Va sottolineato che le modalità di impiego di manodopera sul territorio risulta comunque diversificato. Per esempio le restrizioni inerenti alla mobilità dei cittadini rumeni hanno colpito soprattutto la Val Venosta, che nel 2019 vedeva impiegati oltre la metà dei lavoratori non residenti. A Merano e a Bressanone invece il rapporto lavoratori non residenti sul totale si attesta intorno al 25%. L’ammanco di lavoratori slovacchi invece ha colpito particolarmente le zone della media Val Venosta mentre quello relativo ai lavoratori polacchi avrà ripercussioni generalizzate su tutti i territori con un accento particolare sulle zone di Lana e Salorno. La carenza di braccianti provenienti dalla Bulgaria interesserà invece il settore della raccolta delle mele nel Brugraviato e nella Bassa Atesina.

 

Una nuova ondata di incertezza potrebbe derivare dal fatto che i produttori locali rischiano di trovarsi in concorrenza con le diverse regioni italiane ed europee che lamentano anch’esse un notevole ammanco di lavoratori stranieri provenienti dai medesimi paesi d’origine.

L’elevata dipendenza dalla manodopera straniera in Alto Adige è evidente, tanto che nei periodi di punta della stagione del raccolto si registra che la percentuale della forza lavoro, soggetta all’obbligo di comunicazione, proveniente da paesi esteri arrivi a picchi del 60%.

Secondo il direttore della Ripartizione lavoro Stefan Luther diventa pertanto opportuno, se non necessario, definire delle misure finalizzate a rendere più consistente la presenza di forza lavoro residente in Alto Adige all’interno delle attività agricole stagionali.